Per il Pd funziona meglio l’alleanza col Terzo polo che quella con il Movimento 5 Stelle. I grillini, alle Amministrative, non sono mai andati bene. Ma questa inferiorità manifesta – o, se volete, sudditanza psicologica – non giustifica la media da retrocessione del partito di Giuseppe Conte. L’unico capoluogo in cui sfoggiava un candidato di bandiera era Brindisi, dove, nonostante la conquista del ballottaggio, il candidato del campo progressista dista dieci punti dal competitor di centrodestra. Saranno due settimane in salita. Al netto dei dati aggregati, a far presa sono i numeri da prefisso telefonico (internazionale) del M5s: a Terni sembrerebbe un risultato lusinghiero, il 6,53%, ma i giornali locali fanno notare il crollo rispetto alla competizione di cinque anni fa, quando la lista aveva ottenuto il 24. Circa il quadruplo. Altrove è un disastro, con performance fra l’1 e il 3%, con pochissime eccezioni.
Il consenso di cui sembrava godere Giuseppe Conte (artefice di una discreta rimonta alle ultime Politiche) comincia a traballare, anche se fonti parlamentari, citate dal Corriere della Sera, sottolineano come si tratti “di un quadro parziale, manca ancora la Sicilia dove possiamo essere determinanti”. “Per i grillini niente di nuovo – scrive sul Foglio Simone Canettieri -: i voti per i sindaci dimostrano lo scarso appeal che nemmeno Giuseppe Conte, dunque il nuovo corso, è riuscito a ribaltare (in compenso c’è chi se la prende con Paola Taverna, vicepresidente con delega agli enti locali, mai salita su un palco: ultimo post lo scorso gennaio). Ma il M5s è un comprimario in questa partita”. E potrebbe diventare comprimario anche nell’Isola, da sempre granaio di voti e di consensi, dove a fine maggio di eleggono i sindaci e i consiglieri comunali di 128 comuni. Il M5s presenta il proprio simbolo in 11 città su 15 sopra i 15mila abitanti (e dunque al voto col doppio turno). Nel complesso, considerata la presenza di alcuni candidati all’interno delle liste civiche, ci sarà in una trentina di comuni. Con qualche velleità di successo, forse.
A Priolo Gargallo corre l’ex capogruppo Giorgio Pasqua. A Catania è una partita impari fra il docente Maurizio Caserta (il suo vice dovrebbe essere l’ex ministro Nunzia Catalfo) ed Enrico Trantino, espressione della corazzata di centrodestra. A Siracusa la scelta lungimirante di puntare su Donata Giunta, sostenuta anche dal Pd. A Ragusa quella meno razionale di correre in solitaria, con Sergio Firrincieli, lasciando sguarnito lo spazio a sinistra del candidato di Pd e +Europa, il giovane avvocato Riccardo Schininà. A Trapani l’esperimento con Cateno De Luca, a sostegno di Francesco Brillante. Non c’è un filo conduttore. Le scelte dei colonnelli pentastellati somigliano sempre più a quelle dei rappresentanti degli altri partiti, che si orientano sulla base di logiche prettamente locali. E’ l’unico modo per non perdere sempre. E non basta la presenza salvifica di Giuseppe Conte, che riesce ancora a riempire le piazze – pur senza lo spauracchio del Reddito da agitare – ma fa fiasco nelle urne.
Il nuovo capo politico, che sarà in tour nell’Isola il 25 e 26 maggio, ha faticato ad avviare la ricostruzione nei territori. Ne è prova il fatto che la nomina dei coordinatori provinciali del M5s, in Sicilia, è giunta solo qualche giorno fa e non si è ancora completata (manca Caltanissetta). E che alle ultime Regionali, nonostante i sacrifici di Nuccio Di Paola (che ha onorato la competizione col quarto posto), abbia regnato la confusione. Prima di Ferragosto, dopo aver perorato la causa delle primarie (vinte da Caterina Chinnici), la decisione di separare le strade con il Pd, utilizzando come alibi la ‘questione morale’. Poi il frastuono per l’addio di Giancarlo Cancelleri, leader storico del Movimento, approdato in Forza Italia. Se c’è un luogo dove i grillini riescono a ritrovare compattezza è Sala d’Ercole, sede dell’Assemblea regionale, dove alcuni deputati si sono messi in mostra per la capacità di sapersi opporre agli inciuci e agli scandali. La denuncia sulle spese pazze di SeeSicily alla voce ‘comunicazione’ è opera dei Cinque Stelle.
L’ultima tentazione, a metà fra moralismo e populismo, è quella che ha ispirato nella sua battaglia Antonio De Luca, attuale capogruppo all’Ars, e la giovane collega Martina Ardizzone, che propongono una sforbiciata agli stipendi dei deputati più assenti (una sorta di legge del taglione rispetto all’adeguamento “passivo” delle indennità al costo della vita). Inoltre è agli atti la proposta degli onorevoli Ardizzone e Cambiano, l’ex sindaco di Licata divenuto famoso per il contrasto all’abusivismo, che rilanciano sul voto elettronico per i fuorisede: “Si tratta di una forma di astensionismo ‘involontario’ che va assolutamente stoppata. Il disagio ovviamente non è solo per i siciliani: cinque milioni di italiani sono costretti, ad ogni tornata elettorale, a fare biglietti aerei a prezzi esorbitanti per tornare a casa o a rinunciare alla partecipazione democratica. È un’anomalia solo italiana che va risolta al più presto, la Sicilia potrebbe essere pioniera su questo terreno e fare da apripista per le altre regioni”.
Tra le proposte del M5S di modifica al ddl Enti locali c’è anche l’introduzione, per l’elezione del sindaco, della maggioranza assoluta dei voti validi al posto della soglia attualmente prevista del 40 per cento delle preferenze, come nelle altre regioni. Idee legittime, la cui ricaduta elettorale è però incerta. I Cinque Stelle, Reddito a parte, non riescono più a interpretare le battaglie dei siciliani. Finita la magia del sussidio di Stato, e visti i risultati alle ultime Regionali (intorno al 15 per cento), dovranno inventarsi qualcos’altro per rimanere a galla. O rischiano di risultare ininfluenti come nel resto d’Italia. La Sicilia dirà se siamo più vicini al rilancio o all’estinzione.