Dal cilindro di Renato Schifani, assediato dai problemi un giorno sì e l’altro pure, è venuta fuori l’idea degli “assessori paralleli”. Si tratta per lo più di amici, con un briciolo di competenze in materia e una storia politica alle spalle, che siano in grado di sopperire alle scelte – fin qui sbagliate – del governatore. Qualcosa non funziona? Anziché assumersi la responsabilità di sostituire il responsabile e fare mea culpa, il presidente ha deciso di affiancare agli assessori in bilico delle figure di garanzia. Finendo, in pratica, per commissariarli.
E’ questo il caso di Gaetano Armao, la cui nomina a esperto in materia di fondi extraregionali, è arrivata all’indomani dell’impugnativa della Finanziaria da parte dello Stato. Dopo che il ministro “amico” Raffaele Fitto ha imputato al governo regionale di aver inserito in manovra capitoli di spesa senza copertura. In realtà, l’assessore Falcone aveva dato per scontato che il tesoretto dei fondi di Sviluppo e Coesione promesso alla Sicilia fosse nell’immediata disponibilità di Palazzo d’Orleans. Così non era. Galvagno ha parlato di “operazione rischiosa” da non ripetere e lo stesso Schifani aveva assicurato che “non succederà più”.
Nel frattempo, però, ha assoldato Armao per mandare in porto l’operazione di riscossione di questi 800 milioni. E per vigilare, magari, sul destino dei fondi del Pnrr che l’Isola non può permettersi il lusso di sprecare. Un piccolo inciso meritano le clausole contrattuali: Armao rimarrà in carica un anno, fino al prossimo aprile, alla modica cifra di 60 mila euro. E poco importa che alla vigilia delle ultime Regionali si sia sganciato dal centrodestra per candidarsi alla presidenza col Terzo polo e abbia tradito Berlusconi con Calenda. E’ uno dei rarissimi casi in cui il rancore personale non c’entra.
Alle stesse condizioni di Armao, con “delega” a energia e trasporti, è stata assunta un’altra figura di rilievo dell’universo schifaniano: Simona Vicari. Da sempre nel giro di FI, è stata sottosegretaria (alle Infrastrutture) nei governi Letta, Renzi e Gentiloni, quando aveva risposto alle sirene del Nuovo Centrodestra e di Alfano, seguendolo a braccetto con il Pd. La Vicari, che all’ultimo giro ha mancato l’elezione a sindaco di Cefalù, sarà la reggente di un altro assessore scomodo: l’autonomista Roberto Di Mauro. Reo, fin dall’inizio della legislatura, di mettere i bastoni fra le ruote, specialmente in materia di rifiuti.
Le prime dichiarazioni di Di Mauro, braccio destro di Raffaele Lombardo, aprirono una riflessione sulla economicità dei termovalorizzatori. Poi l’esponente del Mpa finì nel mirino di Schifani per aver rallentato l’iter autorizzativo per la realizzazione degli impianti di energia rinnovabile (che lui stesso, in seguito, arriverà a bloccare). Un episodio che costrinse il governatore a convocare Di Mauro per una “verifica sulla linea politica”. Al vertice di fine gennaio è seguito una lunga tregua. I due non si piacciono. E così ecco la Vicari, “in ragione delle competenze acquisite” in materia.
L’ultimo tassello, competente se ce n’è uno, è Salvatore Iacolino, appena nominato alla guida del dipartimento Pianificazione strategica. Dovrà rimettere in carreggiata l’assessorato alla Salute e scrivere le risposte alle interrogazioni rivolte all’assessore Giovanna Volo, altro pupillo di Schifani, che in questi mesi ha rimediato soltanto magre figure. Iacolino, però, è un tecnico. Ha superato un bando di selezione dai requisiti rigidissimi e in pochi mesi aveva spolverato da cima a fondo il Policlinico di Palermo (dove è riuscito a inaugurare un Pronto soccorso che pareva stregato). Ha le carte in regola per ripristinare ordine e disciplina in un settore allo sbando: dove le ASP non eseguono gli ordini perché non c’è nessuno che comanda realmente.
Le soluzioni adottate da Schifani per riparare ai suoi errori, visti i nomi in campo, potrebbero avere fortune alterne. Ma c’è un altro problema – politico – che il governatore per il momento elude. Schifani, infatti, non sembra aver colto fino in fondo il dato proveniente dall’Ars. Che non è l’assenza dei deputati di maggioranza (soprattutto) e di opposizione. Quelli sono sempre stati assenti, ad ogni legislatura. E specie durante le fasi più concitate di una campagna elettorale. Il dato che Galvagno ha consegnato ai giornalisti mercoledì mattina, prima della sfuriata in aula, riguarda la totale estraneità del governo rispetto ai processi del parlamento. Non c’è una sola proposta che possa essere analizzata, “manca la carne al fuoco”. Per tutta risposta, Schifani che fa? Convoca i capigruppo di maggioranza e i presidenti delle commissioni legislative dell’Ars “per fare il punto sull’attività fin qui svolta e per promuovere un confronto programmatico”. Così recita una nota della presidenza, che aggiunge: “L’incontro rientra nell’ambito di quella verifica periodica dell’attuazione del programma di governo promossa dal presidente, attraverso una serie di appuntamenti con le forze di maggioranza, come quello svolto lo scorso 10 marzo”.
Che la convocazione sia arrivata l’indomani delle dichiarazioni di Galvagno, però, non può essere un caso. Ma anche stavolta l’obiettivo è errato: cosa c’entrano i capigruppo e i presidenti delle commissioni dell’Ars? E’ il governo a non produrre disegni di legge e ad assentarsi, talvolta, pure di fronte alle interrogazioni e alle interpellanze dei deputati. E’ il governo a non aver partorito una singola proposta di riforma da discutere in parlamento. Ed è questo atteggiamento che ha indispettito non solo Galvagno, ma anche Fratelli d’Italia, nelle sue emanazioni romane. Che non ci sia particolare simpatia fra Schifani e l’assessore al Turismo, Manlio Messina, è storia arcinota. Ma che venisse a mancare in così poco tempo il supporto di Ignazio La Russa, il regista di questa disgraziata esperienza, è tutto dire.
E’ stato La Russa a pescare il nome di Schifani da una finta rosa di nomi “offerta” da Forza Italia per rimpiazzare Musumeci (e destituire una volta per tutte Micciché). E’ stato l’attuale presidente del Senato, legatissimo a Galvagno, a inventarsi un ruolo di politica attiva per l’ex presidente di Palazzo Madama, quasi sorpreso dall’investitura. E ora è lui, in un certo senso, a risponderne. Per Giorgia Meloni la Sicilia è diventata un granaio di voti, ma anche di deputati e senatori eletti: pertanto non si può sbagliare. Invece Schifani, dopo aver esaudito i desideri dei patrioti (in termini di deleghe e assessori), ha abbandonato le operazioni di governo e ripreso con la vita frenetica di partito, assicurando nuovi innesti a Forza Italia. Anche l’indicazione di un palermitano nella giunta Trantino a Catania, il commissario azzurro Marcello Caruso, è stato vissuto come un gesto di sfida inutile e dannoso dai patrioti etnei, sempre molto gelosi della loro identità territoriale.
Quello di Galvagno era un affondo politico dalle molteplici sfumature. Convocare i capigruppo non arresterà il logorio.