Nell’elenco dei ‘buoni e cattivi’ redatta da Renato Schifani, i primi non esistono quasi più. Degli altri si perde il conto. Ci sono l’amministratore delegato di Ryanair, Eddie Wilson, quello di Ita Airways, Fabio Lazzerini, il patron di Autolinee Siciliane, Luigi Crispino. Alcuni burocrati regionali, un paio di assessori, i capi cantiere di Anas, la ditta di Favara che non ha completato i lavori del Castello Utveggio. E persino Antonio Tajani, potente ministro degli Esteri, sempre più insidiato nel ruolo di coordinatore nazionale di Forza Italia. Ma questo incipit è funzionale a un’altra riflessione: cioè che il presidente della Regione, dopo aver amministrato per circa un mese senza giunta (fino a metà novembre), ha mollato il colpo per dedicarsi a questioni più grandi di lui e della Sicilia. Le pubbliche relazioni e le tresche di partito.
Schifani si occupa di tutto, tranne che di governo della Regione. C’è chi, come il suo vice Luca Sammartino, lo giustifica così a ‘La Sicilia’: “Il presidente deve anche poter fare altro rispetto al tanto che sta già facendo”. Senza precisare, però, quel è questo “tanto”. Quali sono le riforme epocali che bollono in pentola. Quali i provvedimenti urgenti per modificare l’Accordo Stato-Regione col ministro Giorgetti (che impedisce alla Regione di assumere personale). Quali le contromosse per convincere il Ministro Fitto – colazioni di lavoro a parte – a liberare il tesoretto da 800 milioni, a valere sui Fondi di coesione e sviluppo, per superare l’impugnativa della Finanziaria. Le classiche risposte che ci si attenderebbe da un presidente “sommerso dai problemi quotidiani”, per dirla con Sammartino.
Che i problemi ci siano è indubbio. Che si siano aggravati rispetto al quinquennio Musumeci, pure. Che vengano affrontati, invece, non si direbbe. Anche dal quartier generale di Fratelli d’Italia, a Roma, giungono i primi mugugni perché “non si intravede la luce in fondo al tunnel”. I maggiorenti della coalizione di governo, che hanno imposto la candidatura di Schifani per andare oltre Musumeci (e Micciché), si sono resi conto del fuoco di paglia: l’Assemblea regionale è ferma e lo rimarrà almeno fino a giugno, dopo le elezioni Amministrative. Al netto di qualche interrogazione – che peraltro finisce per palesare l’inadeguatezza di alcuni assessori, come la Volo – non si muove foglia. La Sicilia è il deserto delle idee e delle azioni. Ma non delle interviste sui giornali, dove un giorno sì e l’altro pure, Schifani si fa bello. L’ultima prova muscolare è ai danni di Ryanair, che dopo aver abbandonato l’aeroporto di Comiso, minaccia di fare lo stesso con gli altri scali se dal presidente della Regione non dovesse arrivare (almeno) la conferma di un appuntamento: “Ai comportamenti scorretti di Ryanair rispondo con soluzioni concrete, come ho fatto con l’aeroporto di Comiso trovando la disponibilità di Aeroitalia”, ha detto Schifani.
Che nello spazio della stessa intervista a Repubblica ha bruciato qualsiasi ipotesi di collaborazione con Ita, la compagnia di bandiera pronta a passare sotto le insegne di Lufthansa: “Ita mantiene imperterrita un atteggiamento di strozzatura verso i siciliani. Quindi non c’è motivo di incontrarli”. L’altra stoccata, invece, è rivolta al patron di Aerolinee siciliane, Luigi Crispino, che aveva chiesto regole uguali per tutti (e che tuttavia non ha mai ricevuto il certificato di volo da parte dell’Enac): “Ascolto con attenzione tutte le compagnie. Quelle che esistono solo sulla carta e che non hanno aerei, non mi interessano”, ha detto il capo del governo. Sprezzante. Ci sono altri imprenditori, per la verità, che ancora attendono un segnale.
Fonti ben informate narrano della freddezza con Pasqualino Monti, presidente dell’Autorità portuale di Palermo, che starebbe aspettando il via libera per trasferirsi all’Enav, dov’è stato nominato amministratore delegato. Alla base delle lungaggini ci sarebbe un “contenzioso” legato a un invito incompleto che Monti avrebbe formulato a suo tempo a Schifani – in qualità di senatore semplice – per l’inaugurazione di un terminal a Palermo. Un rancoretto, insomma. Mentre è più difficile spiegare la scarsa attenzione che il governatore avrebbe riservato a Renato Mazzoncini del colosso dell’energia A2A, giusto “tredici minuti” di colloquio, nonostante l’azienda del Nord Italia abbia manifestato pubblicamente il proprio interesse per la realizzazione di uno dei due termovalorizzatori in contrada Pantano d’Arci, a Catania, per un investimento da 400 milioni (prima che l’iter si interrompesse bruscamente). Piccole cadute di stile che non alimentano il mito del grande diplomatico e ancor meno quello di uomo del fare.
Schifani, in questo andirivieni da Roma, è stato anche a Milano per la convention di Forza Italia, dove ha assistito al ritorno in campo di Silvio Berlusconi e al debutto di Caterina Chinnici. Ha portato con sé l’amico Giancarlo Cancelleri, appena prelevato dai Cinque Stelle. Ma il giochino del presidente siciliano, entrato nel vivo con la campagna acquisti più recente, non è passato inosservato nemmeno sui media nazionali. “Il più forte focolaio di dissenso, nei confronti di Tajani e del governo, si è acceso al Sud – si legge su Repubblica, in un pezzo a firma di Emanuele Lauria -. Le parole del governatore siciliano Renato Schifani, non sono passate inascoltate: quel «così andiamo male» consegnato alla platea è un grido di battaglia. C’è malessere, nei grandi bacini elettorali del Meridione, perché al contributo dato in termini di voti non corrisponde quell’«attenzione» reclamata da Schifani. Una rappresaglia che è pronta a manifestarsi sull’autonomia differenziata («Il nostro sì non è scontato») ma è anche un segnale di forza lanciato a Tajani da un esponente storico di Forza Italia che due settimane fa ha radunato a Palermo un numero di fedelissimi non inferiore a quello della convention milanese. Schifani, che a Milano ha disertato la cena offerta da Tajani a dirigenti e parlamentari – si legge su Repubblica -, vede come unica soluzione per la continuità nel partito la discesa in campo di Marina Berlusconi. E intanto punta a far fronte comune con altri colleghi del Sud, a partire dal governatore calabro Roberto Occhiuto”.
I grattacapi interni a Forza Italia, da mesi, tolgono il sonno all’ex presidente del Senato. Che prima, scientemente, si è messo a capo di una corrente per spodestare il commissario regionale Gianfranco Micciché (e c’è riuscito), affidando le sorti del partito a Marcello Caruso, la sua ombra. E adesso, con la sua presenza ingombrante a Milano, vorrebbe ritagliarsi un ruolo da protagonista anche a livello nazionale, evidenziando le crepe (già sostanziose) all’interno di un partito che è reduce dallo strappo fra Marta Fascina e Licia Ronzulli. Nelle foto di gruppo scattate e pubblicate sui social di Schifani, a margine della kermesse di sabato scorso, mancava soltanto Cancelleri. Ma il messaggio, a corredo della corazzata, era eloquente: fatece largo che passamo noi. La Sicilia può attendere. E i patrioti, che hanno bisogno di mettere qualcosa a consuntivo per giustificare la propria presenza alla Regione, pure.