Fratelli d’Italia esce a pezzi dallo scandalo della sanità catanese. Non Enrico Trantino, che alla vigilia delle Amministrative del 28-29 maggio, fa fuori in un colpo solo due (ex) competitor: Giuseppe Arcidiacono, ex assessore di Salvo Pogliese e ultimo a ritirarsi nella competizione interna a FdI per Palazzo degli Elefanti, finito ai domiciliari per corruzione; e Ruggero Razza, ex assessore regionale alla Salute, indagato per turbata libertà degli incanti, che con Trantino condivide lo studio legale e un selfie, scattato all’indomani della nomination che ha investito il figlio di Enzo. Anche Razza è stato in ballo per la candidatura a sindaco, ma alla fine si è defilato senza troppo rumore. D’altronde, ha già avuto le sue ricompense politiche (a partire dalla moglie in giunta con Schifani) e continua ad essere imputato nel processo sui dati falsi Covid.
Trantino avrà un motivo in più per chiedere alla Meloni e agli alleati di avere mani libere sulla scelta degli assessori, tema che da qualche giorno tiene sulle spine l’intera coalizione. E anche Fratelli d’Italia, dove Arcidiacono, ad esempio, sembrava poter ipotecare il bis. Il partito senza macchia, di cui Meloni ha sempre elogiato il rigore e la legalità, è stato messo profondamente in imbarazzo dalle ultime vicende giudiziarie. Una storia di corruzione e turbative che ha fatto emergere il marcio dei concorsi truccati, delle raccomandazioni facili, delle imposizioni spregiudicate. Per qualche migliaio di euro. Qualcuno in FdI ha parlato di “giustizia a orologeria”, ma le carte e le intercettazioni testimoniano un pezzo di verità disarmante. Raccontano malcostumi e prepotenze. Al netto di quello che sarà l’esito della vicenda.
I patrioti arrivano alla competizione elettorale di Catania da netti favoriti, e come accaduto in altre sedi – vedi Palermo alla vigilia delle Comunali dell’anno scorso – non risentiranno granché degli arresti e degli scandali. Tuttavia, specie nel capoluogo etneo, sono reduci dall’intricata vicenda giudiziaria dell’ex sindaco Salvo Pogliese, condannato in primo grado a 4 anni e 3 mesi per peculato (la vicenda è quella delle spese pazze alla Regione, quand’era capogruppo del PdL). E “ostaggio” della Legge Severino, che ha segnato le sue alterne fortune alla guida dell’Amministrazione comunale. Un lungo tira e molla che si è concluso con le dimissioni il giorno prima della presentazione delle liste al parlamento nazionale: un posticino in Senato non si nega a nessuno.
Oggi Fratelli d’Italia paga lo scotto di magre figure, sotto il profilo politico e giudiziario, che neppure la presenza assidua e impregnante nei palazzi della Regione è riuscita a cancellare. L’operato del governo Schifani, voluto fortemente da Ignazio La Russa, è ben al di sotto delle aspettative. E le uniche vetrine che il partito della Meloni è riuscito a guadagnarsi riguardano un paio di vicende opache: il caso Cannes, e il ritiro del provvedimento in autotutela da parte del presidente della Regione (miccia di uno scontro infinito con l’ex assessore al ramo, Manlio Messina), che quasi certamente avrà una coda nelle inchieste della Procura di Palermo e della Corte dei Conti; e l’operazione SeeSicily, un piano spregiudicato per dirottare i fondi destinati agli albergatori e ai turisti sul capitolo della comunicazione, gonfiato a dismisura per garantire un ritorno d’immagine ai politici anziché al brand dell’Isola. Un altro pasticcio cui Schifani, come sempre caduto dal pero, ha pensato di ovviare costituendo una specie di cabina di regia per valutare e coordinare (ma soprattutto “controllare”) le spese dei singoli assessorati in materia di comunicazione. Troppo tardi, forse.
In pratica, il presidente della Regione prova a rimediare ai pasticci provocati dal partito che l’ha voluto lì, sul trono d’Orleans, all’indomani della rinuncia a Musumeci. Ma non può dargli addosso, perché rischia di capitolare. Così è costretto ad accettare le prove muscolari dei vari Messina e Lollobrigida, che impongono la presenza in giunta di Elena Pagana e Francesco Scarpinato, nonostante il presidente avesse stabilito altri requisiti (cioè che gli assessori fossero anche deputati). O, ancora, si trovi nelle condizioni di non poter cambiare un assessore – Scarpinato, dopo la pessima figura sul caso Cannes – perché qualcuno promette la rappresaglia, limitandosi a uno scambio di deleghe con la Amata. L’importante per FdI è non mollare il turismo. E’ esibire i muscoli. E’ far capire al mondo chi comanda.
I primi sei mesi di legislatura non hanno dato altri spunti. Anche se adesso, da una parte e dall’altra, ci si sta rendendo conto che questo immobilismo amministrativo non giova a nessuno. Né a Schifani né ai suoi maggiori alleati. Per quanto ancora si potrà vivere di rendita? Dopo l’elezione di Trantino a sindaco di Catania (auguri!), si cominceranno a tirare le somme. Mettendo da parte i plissé della giustizia e l’ego dei sondaggi, bisognerà rimettere mano alla politica. Sempre che qualcuno sappia ancora come fare.