Prendete gli ultimi provvedimenti del governo Schifani: sembra di essere tornati indietro di (almeno) una decina d’anni. La resurrezione delle ex province, mediante un disegno di legge da discutere in aula, e lo stanziamento da 45 milioni ai Comuni per smaltire i rifiuti all’estero, sembrano l’operazione nostalgia – riuscitissima per altro – di un esecutivo che conferma le sue lacune in tema di pianificazione ed altrettante debolezze negli interpreti (basti per tutti il caso della sanità). Che annuncia e non mantiene. E che ancora una volta si copre le spalle dal possibile insorgere di vecchie e nuove emergenze, come nel caso della munnizza, che durante la campagna elettorale si diceva di voler affrontare a petto in fuori.
La risposta, invece, è l’inconcludenza. La soluzione individuata, infatti, è la più semplice e la meno futuribile: l’assessorato all’Energia, retto dall’autonomista Roberto Di Mauro (uno che ha già fatto sapere di essere contrario ai termovalorizzatori), ha stanziato infatti 45 milioni di euro “per sostenere i costi extra del conferimento dei rifiuti all’estero dei Comuni del Catanese, del Messinese, del Ragusano e del Siracusano”. Il provvedimento è un escamotage per superare la saturazione delle discariche e coprire le vergogne di alcuni grossi centri che intasano il sistema con percentuali risibili di differenziata: Palermo e Catania in primis. Si tratta dei problemi (irrisolti) che Musumeci aveva trasferito ai suoi successori. Con la promessa, però, di chiudere il ciclo con la realizzazione di due termoutilizzatori. A zero effetti collaterali per l’ambiente. Per un investimento da circa un miliardo.
Una proposta immediatamente respinta da Di Mauro per i costi troppo onerosi, nonostante Schifani – che adesso propone di costruirne solo uno – si fosse materialmente speso, prima delle elezioni, perorandone la causa. L’iter burocratico si è interrotto bruscamente lo scorso febbraio, dopo la manifestazione d’interesse che ha aveva portato alla competizione fra sette diverse società, il cui compito, dopo la costruzione degli impianti, sarebbe stato quello di gestirli. Macché. Prima di rimettere mano alla questione, e decidere dove realizzarli (oltre a Gela e Catania, resiste l’ipotesi Bellolampo) bisognerà aggiornare il piano rifiuti che Musumeci e il suo ex assessore Pierobon avevano fatto vidimare dal Ministero dell’Ambiente e dal Cga per il rotto della cuffia. In sostanza bisognerà ripartire daccapo.
Così, per evitare di sprofondare nella spazzatura (in estate il rischio è sempre tangibile), la soluzione è il trasporto all’estero. “Si avvia un percorso funzionale – ha dichiarato l’assessore Di Mauro – per sostenere quei Comuni che conferiscono all’estero e devono adottare il Piano esecutivo di gestione (Peg) aderente ai reali costi del servizio. A causa dell’invio dei rifiuti in ambito extra regionale – spiega – le spese per lo smaltimento sono aumentate da 250 a 400 euro a tonnellata. Con questa iniziativa, condivisa con le Srr dei territori coinvolti, daremo ai Comuni un contributo che terrà conto dell’effettiva spesa sostenuta e della capacità di raccolta differenziata”. O i sindaci, in alternativa, saranno costretti a riversare i costi del servizio sui contribuenti. Cioè sui cittadini.
Anche l’altra soluzione del governo per colmare “un vuoto nei processi decisionali e amministrativi che ha penalizzato in maniera evidente l’erogazione di servizi importanti per i cittadini e per la tutela del territorio”, appare un po’ datata. Ebbene sì: Schifani ha scelto di lanciarsi nella missione impossibile di ripristinare le province. Un nobile ente decaduto. Spazzato via dalla demagogia di Crocetta, che una decina d’anni fa, per risparmiare sui costi della politica, annunciò la loro abolizione in diretta tv. Il danno fu doppio e impattante: da un lato “spogliare” gli enti d’area vasta delle loro funzioni più elementari (come quelle relative all’edilizia scolastica o in materia di disabilità); dall’altro concedere il palcoscenico ai più sfrenati populismi, che di recente sono tornati a impadronirsi della scena con la polemica sull’adeguamento Istat per i parlamentari.
La proposta di Schifani avrebbe anche senso se la Sicilia fosse in grado di autodeterminarsi. Cosa che non è. “L’entrata in vigore della legge, dopo l’approvazione in Assemblea regionale, è condizionata all’abrogazione della legge Delrio da parte del Parlamento nazionale”, si legge in una nota di Palazzo d’Orleans. In passato alcuni tentativi di ritorno alle origini, proposti dal parlamento siciliano, finirono impugnati da Palazzo Chigi. E Musumeci non riuscì neppure a sancire il ritorno alle elezioni di secondo livello (per sindaci e consiglieri comunali), che vennero rinviate più volte da leggine dell’ultim’ora. E’ vero che il clima è cambiato e che la “Delrio” potrebbe avere le ore contate, ma un governo regionale che si limita alla reintroduzione degli enti intermedi per dare sfogo ai problemi della Sicilia, mostra tutte le sue difficoltà nell’approcciare la realtà.
Il progetto, che da alcuni punti di vista potrebbe apparire meritevole, nasconde le sue insidie. Rischia di passare come l’ennesimo tentativo di allargare a più soggetti la sfera decisionale. Di creare nuove poltrone e nuovi professionisti della politica. Di ripagare i delusi del sottogoverno. Come? Riciclandoli con qualche incarico. Per le province con popolazione superiore al milione di abitanti, ad esempio, sono previsti 36 consiglieri e massimo 9 assessori; per quelle tra cinquecentomila e un milione di abitanti, 30 consiglieri e fino a 7 assessori, mentre quelle con meno di 500.000 abitanti potranno eleggere 24 consiglieri e le giunte avranno massimo sei assessori.
L’unica cosa certa è che ancora una volta, come già accaduto per la Finanziaria e per l’aumento delle indennità, Schifani ha trovato una condivisione trasversale. Dal Movimento 5 Stelle, che un tempo si sarebbe strappato le vesti, non è arrivato alcun cenno di protesta. Il Pd, di cui Crocetta era il massimo rappresentante, si dice addirittura d’accordo: “Dopo il lungo iter che ha portato alla definizione dei Liberi Consorzi – argomenta il capogruppo all’Ars Michele Catanzaro -, durante i cinque anni del governo Musumeci abbiamo atteso invano le elezioni degli organi degli enti. A questo punto di fronte ad una costante incertezza, ai ritardi del centrodestra ed alla necessità di riassumere la piena governance delle competenze degli enti, ad iniziare da scuole e strade, meglio un ‘ritorno alle province’ piuttosto che lasciare tutto in questo limbo istituzionale”. Ricucire con una pezza dieci anni di nulla è, di per sé, un tentativo. Ma chiedete a un siciliano quali questioni avverte come prioritarie: difficilmente le ex province saranno in cima alla lista.