21 febbraio 2020, ore 00.45. L’Ansa batteva questa notizia: Un trentenne ricoverato all’ospedale di Codogno, nel milanese, è risultato positivo al test del Coronavirus. “Sono in corso le controanalisi a cura dell’Istituto Superiore di Sanità”, ha detto l’assessore al Welfare della Regione Giulio Gallera aggiungendo che l’italiano “è ricoverato in terapia intensiva all’ospedale di Codogno i cui accessi al Pronto Soccorso e le cui attività programmate, a livello cautelativo, sono attualmente interrotti”. Era il primo caso di italiano positivo a quello che qualche mese dopo sarebbe diventato “Covid”. L’uomo, il suo nome era Mattia, non era mai stato in Cina ma, forse, si ipotizzava, aveva cenato con una persona di ritorno dal paese asiatico. Prima di lui due turisti cinesi erano risultati positivi a Roma, ma la notizia del trentottenne di Codogno ricoverato in provincia di Lodi scosse il paese perché, fino a quel momento, l’attenzione era tutta rivolta solo a chi tornava dalla Cina, peggio se da Wuhan, la città dove i primi casi del nuovo virus si erano registrati già a fine 2019. Chi era in Italia e non aveva fatto viaggi in posti a rischi, si diceva, era al sicuro. Avrebbe dovuto lavare le mani qualche volta in più del solito, mantenere il distanziamento, ma niente panico per qualche linea di febbre: il tampone si faceva solo a chi aveva avuto, direttamente o indirettamente, contatti con la Cina.
Prima di quel caso, prima del “paziente zero”, in un’atmosfera che racchiudeva insieme panico e incertezza, le autorità avevano deciso di testare i passeggeri provenienti dalla Cina, ma solo se con volo diretto. A stretto giro, a fine gennaio, invece avevano optato per lo stop ai voli diretti da e per il paese asiatico. C’erano task force quotidiane, si ventilavano possibili restrizioni, ma come qualcosa di futuribile, non di concreto. E c’era chi prendeva in giro le pochissime persone che iniziavano a indossare la mascherina. E che riuscivano a comprarne, soprattutto, di mascherine. Visto che di lì a poco sarebbero diventate merce rarissima. C’era, insomma, un clima di totale spaesamento, in Italia e nel mondo
In quei momenti di paura e incertezza – che potrebbero finire sul banco degli imputati insieme con l’allora premier Giuseppe Conte, l’allora ministro della Salute, Roberto Speranza, Attilio Fontana, presidente della Regione Lombardia, Giulio Gallera, assessore alla Salute, poi dimessosi, nonché una serie di altre persone, esperte a vario titolo, che ebbero in mano la gestione dei primi tempi della pandemia, dopo che la procura di Bergamo ha chiuso l’inchiesta sulla mancata zona rossa in Val Seriana – sono state prese decisioni che, a guardarle oggi, con varie dosi di vaccino ricevute e un virus che fa meno male, possono essere giudicate lunari. Ma che in quel momento erano sembrate le migliori possibili. Non a caso poi il modello italiano è stato seguito anche all’estero. Continua su Huffington Post