Per raggiungere il livello di logoramento di Renato Schifani in tre mesi, ai suoi predecessori sono serviti anni. Nonostante i numeri (Musumeci in confronto era un ‘pivello’) e la paventata compattezza del centrodestra, il governatore fatica a tenere le redini del comando. Così cade dal pero, annaspa, redarguisce, revoca. Senza mai dare l’impressione di riuscire ad amministrare questa Regione dannata. Emerge chiaramente dalle note di alcuni colleghi della maggioranza all’indomani dell’attacco di Manlio Messina, che ha definito Schifani “l’unico responsabile” del provvedimento che ha stanziato 3,7 milioni (senza bando) per l’organizzazione di una mostra fotografica al Festival di Cannes. A Forza Italia, già frantumata al suo interno, è toccato l’ingrato compito di ricordare ai compagni d’avventura la “grande esperienza e saggezza” con cui Schifani “sta guidando la nostra Regione ed affrontando con successo emergenze che soltanto grazie alla sua autorevolezza hanno potuto trovare soluzione”.
Rispolverare il curriculum e le doti morali del governatore, vantando chissà quali successi, non è bastato a impedire il polverone. E’ accaduto con Cannes, e con l’attacco sfrontato di Manlio Messina, stanco di veder addossare responsabilità al suo partito per un affidamento diretto che non è giustificato da alcuna clausola di “esclusività” (almeno secondo l’Avvocatura della Regione). Ma Fratelli d’Italia può permettersi di fare la voce grossa e di ottenere in cambio silenzi. Schifani non ha reagito alle parole dell’ex assessore per evitare di indispettire la leader Giorgia Meloni e il presidente del Senato Ignazio La Russa, che gli hanno offerto “asilo” a Palazzo d’Orleans dopo aver disarcionato Musumeci. E non ha battuto ciglio quando, alla vigilia della nomina degli assessori, da Roma gli avevano appioppato Francesco Scarpinato ed Elena Pagana. Arrivando a sconfessarlo sul metodo – si era detto di fare una giunta di “deputati eletti” – e sulla capacità di non cedere alle influenze esterne.
Ad attorcigliare ogni brutto passaggio della breve storia di Schifani al vertice della Regione ha contribuito anche il suo carattere difficile, rasposo, spigoloso. Che lo ha spinto ad esasperare lo scontro con Miccichè, divenuto da subito il bersaglio preferito del governatore. Poco importa che la lite intestina abbia trasformato Forza Italia in un circo, con la creazione di due gruppi parlamentari all’Ars, le dichiarazioni sguaiate sulla stampa, e la sofferenza di Berlusconi. Quel circo andava esibito perché avrebbe permesso di mettere all’angolo il commissario azzurro, arrivando a sottrargli il gruppo parlamentare e conquistando posizioni nelle gerarchie. Si tratta di un primo clamoroso inciampo che Miccichè s’è legato al dito: “Mi hanno tolto tutto e ci sono riusciti. Ero convinto che fosse meglio di Musumeci e invece il signor Schifani ha fatto la più grande sciocchezza della sua vita: aveva Forza Italia pronta a proteggergli le spalle e invece adesso è solo”, ha spiegato a Repubblica il vicerè berlusconiano, fresco d’iscrizione al gruppo misto.
Forte coi deboli e debole coi forti. Anche la Corte dei Conti rappresenta una potenziale minaccia per il futuro della Regione, se solo si pensa alla disastrosa condizione economica emersa dall’ultimo giudizio di parifica. Che, infatti, è stato sospeso in attesa che la Consulta si pronunci sulla legittimità costituzionale della spalmatura del disavanzo. Ma i magistrati contabili, con in testa il procuratore Zingale, hanno aperto altri fronti e non intendono recedere: troppi sprechi si sono accumulati negli anni per non provare a capire se i 6 milioni sborsati per la Absolute Blue, in tre diverse edizioni del Festival di Cannes, possano rappresentare un danno all’erario; o se i 67 milioni bruciati dall’hub vaccinale della Fiera del Mediterraneo (in 21 mesi) per vaccini e tamponi siano effettivamente uno sproposito.
La Regione, in attesa di sbrogliare i nodi del bilancio, ha approvato l’esercizio provvisorio per due mesi e s’è consegnata armi e bagagli a Roma, stipulando un accordo – cosiddetto ‘Salva Sicilia’ – che ripropone la spalmatura del deficit in dieci anni a partire dal 2022. In cambio bisognerà garantire una serie di riforme mai attuate prima. E la proroga del blocco dei concorsi, che nei prossimi anni, a meno di una deroga, finirà per spopolare il 70% degli uffici. Mentre con una mossa ritenuta improvvida dalle opposizioni, Schifani ha sospeso ogni tipo di richiesta di compensazione finanziaria – dal 2007 in poi – ottenendo in cambio dal ministro Giorgetti una mancia da 200 milioni. “S’è svenduto la Sicilia”, ha attaccato De Luca, prima che Cannes sommergesse il resto. Anche l’ennesimo errore contabile – la mancata pubblicazione della nota d’aggiornamento al Documento di economia e finanza – che ha allungato i tempi per la redazione della Legge di Bilancio e di Stabilità.
Che sarà mai un errore procedurale rispetto agli scandali in corso? All’assessorato all’Economia, dove stanno facendo i conti con la problematica eredità di Gaetano Armao, avranno tirato un sospiro di sollievo. Durato poco. Qualche giorno fa, infatti, il presidente della commissione Antimafia Antonello Cracolici ha fatto emergere un’altra questione sospetta: ossia l’aggiudicazione di un bando da mezzo miliardo (più volte rettificato) per la riscossione dei tributi nei Comuni. Alla gara, suddivisa in cinque lotti, avevano partecipato cinque operatori. Tutti vincitori. Un’anomalia che ha costretto l’assessore Marco Falcone a metterci una pezza: “Abbiamo concordato e dato mandato al dirigente dell’ufficio Cuc (Centrale unica di committenza) di sospendere la procedura di affidamento dell’accertamento e della riscossione tributi degli enti locali della Regione. La sospensione si rende necessaria, dopo aver preso atto anche di aspettative parlamentari, per valutare attentamente ogni aspetto utile a verificare la linearità dell’iniziativa a garanzia dei principi di trasparenza e di libera concorrenza e, ove fosse necessario, a procedere all’annullamento della gara”. E intanto chi riscuote i tributi?
Ma il logoramento vero e proprio ai danni di Schifani era cominciato qualche mese fa. A causa della parcella milionaria relativa alle prestazioni di due avvocati – l’ex assessore all’Energia Pier Carmelo Russo e Francesco Stallone – che avevano difeso la Regione nella causa contro i colossi dei termovalorizzatori, a seguito di un Avviso pubblico revocato dal governo Lombardo. Dopo una transazione con l’Ufficio legale e legislativo della Regione, che aveva garantito la liquidazione di una parcella complessiva da cinque milioni (di cui 3,5 per Russo), i pagamenti sono stati congelati in attesa di chiarimenti. Schifani ha chiesto di poter analizzare ogni singolo atto ci cui, ovviamente, era all’oscuro (come per Cannes, per il bando della riscossione e per gli arredi della sua residenza). La contromossa dei due legali è stata quella di rivolgersi al Tribunale di Milano per il ricalcolo delle spettanze. Stavolta senza sconti.
Anche sulle nomine di sottogoverno il percorso ha avuto parecchi intralci e Schifani, che pensava di mettere Vito Riggio alla guida di Airgest (la società di gestione dell’aeroporto di Trapani), ha dovuto rimangiarsi tutto. Mentre ha spinto su Tommaso Dragotto, che andrà a gestire l’Irfis pur non avendo chissà quali competenze in materia creditizia. Non è mancato un altro pasticcio bello grosso: cioè la nomina di Federico Portoghese come commissario straordinario della Città metropolitana di Catania. Per l’Ufficio legale della Regione non ha i requisiti necessari per guidare la macchina amministrativa che un altro componente di Fratelli d’Italia, Salvo Pogliese, aveva gettato nella confusione a causa delle sue vicende giudiziarie (prima di volare al Senato).
Renato Schifani vorrebbe gestire tutto come un generale, ma troppi ufficiali giocano alle sue spalle, costringendolo a magre figure; e FdI gli mette le ganasce quando serve. E poi è la solita storia: anni di frequentazione del Senato e di Palazzo Giustiniani, e il consolidamento di una cultura parlamentare e diplomatica, non preparano ad affrontare i gangli di una Regione infima come quella siciliana. Gridare allo scandalo senza risolverne uno non basta. Cadere continuamente dal pero non serve. Il tempo comincia a stringere.