Ma che faceva Nello Musumeci, per cinque anni presidente della Regione, mentre Manlio Messina, da assessore al Turismo, apparecchiava la tavola per il Grand Galà milionario all’Hotel Majestic di Cannes o quando Gaetano Armao, assessore al Bilancio e gran consulente di avventurieri di alto rango come Ezio Bigotti o Stefano Ricucci, congegnava un maxi-appalto da mezzo miliardo per assegnare a ciascun concorrente la sua fetta di paradiso? Forse si distraeva ad Ambelia, a due passi dalla sua Militello, dove amava e ama ancora giocare con i cavallucci. O, molto più semplicemente, si girava dall’altra parte. La sua unica strategia, di fronte alle scempiaggini dei bravi ragazzi, era il silenzio.
Per cinque lunghi anni lo ha terrorizzato l’idea di firmare una carta o di mettere il ditino nell’acqua calda. A lui interessava tenere alta la bandierina dell’onestà-tà-tà. Gli altri – cioè i suoi assessori – potevano, tutto sommato, fare ciò che volevano: potevano riempirsi la bocca di trasparenza e all’un tempo bullizzare le più elementari regole del buongoverno; potevano straparlare nei convegni di legalità e all’un tempo devastare le casse del denaro pubblico; potevano piritolleggiare tra Roma e Bruxelles e all’un tempo farsi inseguire dall’Agenzia delle Entrate per i mai saldati debiti col fisco.
Il governatore venuto da Militello, pensate, se n’è stato muto e assente anche quando, prima dalla stampa e poi da un’incresciosa cronaca parlamentare, gli è stato segnalato lo scandalo dell’Ente Minerario: un percorso limaccioso che ha preso le mosse da una delibera – proposta dal vice presidente Armao e approvata dalla giunta mentre lui era assente – che cambiava senza alcuna ragione il commissario liquidatore e creava di fatto i presupposti per un gioco d’azzardo su venti milioni: soldi che non sono finiti ad una finanziaria di Londra perché un funzionario addetto al controllo delle Partecipate ha bloccato in extremis la delibera. Musumeci non ebbe nemmeno la curiosità di guardare quella delibera pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale nel febbraio del 2018. Temeva che con il solo sguardo potesse sporcarsi le mani.
Forse lo ossessionava il destino beffardo assegnato dalla storia ai suoi predecessori: da Rino Nicolosi a Raffaele Lombardo, da Totò Cuffaro a Rosario Crocetta. Presidenti onesti, onestissimi, ma accumunati da una cattiva sorte: dopo avere vissuto per cinque anni gli onori e gli splendori di Palazzo d’Orleans sono stati costretti a subire, nei successivi dieci anni, gli incubi e i dolori dei palazzi di giustizia: processi, inchieste, afflizioni, sputtanamenti, umiliazioni. Cose che Musumeci, per fortuna, non ha conosciuto. La strategia del silenzio – un distaccato silenzio – lo ha salvato. Non solo. Di silenzio in silenzio il presidente dell’onestà-tà-tà è arrivato fino a Roma, dove ora siede tra i ministri del governo presieduto da Giorgia Meloni, leader di Fratelli d’Italia.
Beati gli occhi che non vedono perché saranno premiati.