Ha un cuore palermitano e un corpo napoletano questo Gaetano Cosìcomè personaggio che dà il titolo al nuovo testo teatrale di Salvatore Rizzo, giornalista e scrittore del capoluogo siciliano. Cuore palermitano perché il copione è stato partorito qui, Filippo Luna che lo interpreta è dei paraggi (San Giuseppe Jato) e Vincenzo Pirrotta che lo dirige è di Partinico ma comunque entrambi palermitani d’adozione da decenni. Corpo napoletano perché a produrlo ed ad allestirlo è il Teatro di Napoli, lo Stabile partenopeo (seppur diretto da un altro palermitano, Roberto Andò), uno dei teatri di prosa pubblici che possono fregiarsi del titolo di Teatro Nazionale. Debutto giovedì prossimo, 12 gennaio, repliche fino a domenica 22 gennaio al Ridotto del Teatro Mercadante.
Quasi a non smentire il “non c’è due senza tre” Luna affronta per la terza volta un testo di Rizzo, dopo Le mille bolle blu che miete ancora successi da 15 anni e Se’ nùmmari: «È un lingua teatrale che ho ormai fatto mia – dice – particolare anche nel dialetto, la mastico, la adatto alla mia recitazione, alla mia sensibilità sulla scena, una lingua che racconta pure sottotraccia attraverso sfumature, modi di dire, parole cadute in disuso». Qui c’è un nuovo personaggio, dopo il barbiere Nardino de Le mille bolle blu e l’operaio Orazio di Se’ nùmmari, Gaetano Cosìcomè per l’appunto. «Questa volta il protagonista si confronta con le sue radici che lo hanno reso insicuro, fragile, infelice e alle quali non riesce a sottrarsi: sa che l’unico modo per farlo è quello di affermare se stesso ma non sa se ce la farà. E in questo percorso mischia passato e presente, dolore e forse anche speranza. Lo fa dando voce ad altri personaggi – la madre, la sorella, un vicino di casa – che però evoca lui stesso come fossero fantasmi della sua condizione».
In questo passaggio è stata decisiva l’idea di Vincenzo Pirrotta che dopo Se’ nùmmari (allestito nel 2014 per lo Stabile di Catania) si trova per la seconda volta tra le mani un testo di Rizzo. «Intanto – dice il regista reduce dal successo del suo esordio cinematografico dietro la macchina da presa con Spaccaossa e prossimo ad un altro debutto teatrale stavolta anche da attore con Luigi Lo Cascio a Modena – ho recluso Gaetano in una sorta di gabbia di tubi di metallo con pezzi di specchio che gli ruotano intorno (la scena è di Marianna Antonelli, ndr.) e gli faccio evocare il suo passato – la violenza del padre, una madre succube, una sorella sospettosa – attraverso gli altri personaggi quasi come fosse un ventriloquo, come se quel magma di memoria collettiva scaturisse solo da lui. Riuscirà a liberarsi dai suoi demoni, riuscirà ad affermarsi per quel che è? Sarà il finale a rivelarlo».
L’autore è il più parco di parole «nonostante – dice – le parole sono state e sono il mio pane quotidiano. Ma quella del palcoscenico è un altro tipo di scrittura, un processo creativo che non è il mio mestiere per cui consegno il copione, auguro buon lavoro a tutti e fuggo. Poi mi godo la “prima” con il gusto della sorpresa, spettatore tra gli spettatori. Ancora una volta ho a garanzia Luna e Pirrotta e la grande struttura professionale di un Teatro Stabile come quello di Napoli».