Tanto rumore per nulla. Basta mettere insieme due o tre elementi e appare subito chiaro che gli scandali, dei quali si discute tanto in questi giorni, saranno lentamente assorbiti dal sistema. L’ingenuo Scarpinato, un maresciallo dell’esercito con ambizioni politiche, resterà al comando dell’assessorato al Turismo e continuerà a fare gli interessi dei suoi gerarchi superiori. Manlio Messina – che è stato per tre anni il fedele sovrastante, per la Sicilia, di Francesco Lollobrigida, potente cognato di Giorgia Meloni – continuerà a godersi a Roma i frutti della sua sudditanza e dei servizi resi al partito. E se qualcuno gli chiederà conto e ragione delle scempiaggini risponderà probabilmente, com’è suo costume, con un sonoro “suca”. Patrik Nassogne, l’avventuriero del Lussemburgo che ha intascato, nel suo paradiso fiscale, sei milioni per una passerella a Cannes che poteva inventarsi chiunque, anche l’ultimo liceale di Sicilia, spenderà o spartirà quei soldi come meglio crede perché non ci sarà nessuno che busserà alla sua porta: né un sostituto procuratore della Repubblica, né un magistrato della Corte dei Conti, né un ispettore di Palazzo d’Orleans, né il presidente dell’Antimafia siciliana, Antonello Cracolici, distratto dai giochi interni del suo partito, il Pd, in vista delle primarie e dell’elezione del nuovo segretario. Il Lussemburgo è troppo lontano dalla Sicilia ed è anche il luogo ideale per ogni impunità. Ricordate Ezio Bigotti, l’avventuriero piemontese che rifilò alla Regione un censimento farlocco e incassò un malloppo di oltre cento milioni, trasferito immediatamente e puntualmente in Lussemburgo? Non patì alcuna conseguenza. Non lo inseguì né la giustizia penale né la giustizia contabile. L’ha fatta franca.
Il partito degli affari – diciamolo – ha un grande alleato: la casta. Con le sue leggi, le sue complicità, i suoi privilegi. La casta raccoglie nel suo ventre tutte le confraternite sparse nel territorio. Le nutre, le protegge e le tiene al riparo da ogni interferenza esterna. Prendete le ultime cronache di Palazzo d’Orleans dove regna un governatore, Renato Schifani, che è stato presidente del Senato e che giorno dopo giorno predica moralità, onestà, legalità. Una sorta di trittico da alons enfant, o da maccheronica commedia francese: moralité, onesté, legalité. La notte in cui credeva di avere definito la lista degli assessori ha subìto dai gerarchi superiori di Fratelli d’Italia una violenza inaudita: l’imposizione di due nomi, Francesco Scarpinato ed Elena Pagana, che lui aveva escluso. L’umiliazione – Repubblica lo ha ridotto al rango di un Don Abbondio – avrebbe dovuto spingerlo a tenere lontano da sé tutto il mondo riconducibile alle faccette nere di Nello Musumeci e di Manlio Messina, detto il Balilla. Invece è prevalso lo spirito di casta e Schifani non ha mai rallentato le sue genuflessioni nei confronti del precedente governo. Anzi, ha ingaggiato come sue portavoce Roberto Ginex, che per tre anni aveva servito, come addetto stampa, proprio Manlio Messina, il gerarca minore che ha inventato Cannes – ora fonte di uno scandalo difficile da insabbiare – e un vergognoso sistema di spreco di denaro pubblico con il quale ha lucidato non solo i bilanci del lussemburghese Patrick Nassogne, ma anche quelli di Mediaset, della Rai, di “Ballando con le stelle” e di Urbano Cairo, editore de La7, del Corriere della Sera e del Corriere dello Sport.
Schifani ha ripetuto lo schema della casta – copertura & solidarietà – anche con Gaetano Armao, che è stato assessore al Bilancio con Raffaele Lombardo e Nello Musumeci; che è stato consulente con solo di Ezio Bigotti, l’avventuriero piemontese del censimento farlocco, ma anche di Stefano Ricucci il quale, manco a dirlo, lo ha pagato con le azioni di un trust svizzero e lo ha impelagato in una brutta e dura vertenza con l’Agenzia delle Entrate. Schifani se l’è trovato di fronte come competitor del Terzo Polo nelle elezioni per il presidente della Regione e, subito dopo, se l’è ritrovato davanti come artefice del disastro di Bilancio che ha spinto la Corte dei Conti a sospendere la parifica sul rendiconto del 2020 e a gettare nelle angosce il futuro della Regione. Ma nonostante gli schiaffi ricevuti, a Palazzo d’Orleans è scattata anche nei confronti di Armao la tribale e omertosa legge della casta. Schifani anziché scavare tra i tanti misteri della passata gestione – lo scandalo dell’Ente Minerario grida ancora vendetta – ha preferito celebrare la festa del perdono: ha mantenuto l’ex assessore al Bilancio tra i suoi consiglieri più riservati e più ascoltati; gli ha assicurato ampia copertura nominando come suo successore in via Notarbartolo l’amico comune Marco Falcone e, per garantirlo pure sull’ordinaria amministrazione, ha inserito nel proprio gabinetto di presidente della Regione due funzionari – una è la fedelissima Donatella Milazzo – che negli ultimi cinque anni hanno accompagnato Armao nelle sue scalate al governo e al sottogoverno, nelle spericolate arroganze, nelle sue opache spregiudicatezze. C’è anche chi giura che tra due o tre settimane sarà pure data ai giornali la notizia più clamorosa e anche più imprevedibile: Schifani affiderà ufficialmente al disastroso Armao la consulenza per la Programmazione dei fondi comunitari e gli darà mano libera per piritolleggiare ancora per qualche anno tra Roma e Bruxelles.
Potenza della casta. Il maresciallo Scarpinato e il gerarca minore Manlio Messina possono dormire dunque sonni tranquilli. Ci sarà, ancora per qualche giorno, un po’ di rumore tra Palazzo d’Orleans e Palazzo dei Normanni; ci saranno i giornali che parleranno di scandali e i velinari che faranno finta di nulla; ci sarà il solito teatrino delle opposizioni, con il giochino irrilevante delle interrogazioni e delle interpellanze, con le immancabili parole forti e definitive. Ma alla fine tutto finirà in brodaglia. Avete saputo più nulla degli scandali della Sanità? Avete notizie della finta commissione d’inchiesta che avrebbe dovuto riferire sulle ragioni che ha spinto l’Oasi di Troina, a defenestrare il proconsole inviato, in una proprietà di Santa Romana Chiesa, dall’assessore Ruggero Razza?
La casta è come la mamma: abbraccia e assolve tutti i suoi figli. Anche il figliol prodigo. Al quale viene sussurrato all’orecchio un versetto nascosto tra le Sacre Scritture: “Tanto ti ho perdonato perché tanto hai peccato”. Razza ha avuto da Schifani non solo il perdono, addirittura un premio: la moglie, Elena Pagana, è diventata assessore al Territorio e Ambiente. Contro tutto e tutti: onesté, moralité, legalité. Alons enfant.