Il caldo inverno della Regione siciliana è già cominciato. Il 4 gennaio la commissione Bilancio inizierà ad analizzare il disegno di legge sull’autorizzazione all’esercizio provvisorio, approvato dalla giunta, che l’aula di Sala d’Ercole dovrà esitare al più presto per impedire il blocco della spesa. Per gli ultimi giorni di festa, infatti, la Regione sarà in gestione provvisoria: potrà garantire soltanto le spese indifferibili e obbligatorie per Legge. Nient’altro.
La ‘manovrina’ è il primo passo verso il ritorno alla normalità che tutti reclamano. L’arrivo di Renato Schifani, con una giunta rinnovata al 75 per cento (restano tre assessori di Musumeci), non ha dato lo sprint auspicato. Anzi il nuovo governo è finito nelle trappole contabili ereditate dalla passata gestione. Una situazione prevedibile per chi afferma di voler proseguire l’opera di Armao & Co.: tra questi Marco Falcone, il neo assessore all’Economia, che per cinque anni aveva rivestito l’incarico di responsabile delle Infrastrutture. La sospensione del giudizio di parifica da parte della Corte dei Conti ha creato due preoccupazioni: da un lato come recuperare gli 866 milioni che Armao non aveva accantonato nei precedenti esercizi; dall’altro come aggirare l’ostacolo e le contestazioni, evitando di consegnare il proprio destino alla Consulta, che dovrà esprimersi sul dilemma posto dai magistrati contabili: ossia se il disavanzo può essere ripianato in dieci anni oppure no.
Falcone pensava di impugnare il dispositivo del giudizio di parifica sul rendiconto 2020, formulato lo scorso 3 dicembre dalla Corte dei Conti, ma Schifani non è stato d’accordo: così, nell’ultima riunione di giunta, si è deciso di riporre le pistole nella fondina. Il governatore ha spiegato che “è cessata la materia del contendere”, anche se in realtà l’ultima parola spetta alla Corte Costituzionale. La norma “Salva Sicilia”, una sorta di salvagente che il governo Meloni ha messo a disposizione dell’Isola, riprende il decreto legislativo del 27 dicembre ’19, contestualmente all’accordo Stato-Regione stretto da Conte e Musumeci, e lo rimette sul piatto. Con un piano di rientro da onorare. Anche se il primo Accordo di cui dovrà occuparsi Schifani è quello raggiunto al Mef lo scorso 16 dicembre, e che le opposizioni continuano a contestargli in maniera accanita.
L’ultimo intervento, in ordine di tempo, porta la firma di Cateno De Luca. L’ex sindaco di Messina ha ripescato il video delle dichiarazioni programmatiche del 1° dicembre, a Palazzo dei Normanni, in cui Schifani richiedeva “il dovuto riconoscimento finanziario, per la mancata attuazione dei commi 830, 831 e 832 dell’articolo 1 della legge 296 del 2006 che è stata già oggetto di riconoscimento in sede tecnica nel confronto tenutosi tra i rappresentanti regionali e i rappresentanti ministeriali”. Cioè i commi che avrebbero dovuto garantire alla Regione introiti per quasi 9 miliardi di euro in virtù dell’aumento della compartecipazione alla spesa sanitaria, che lo Stato aveva applicato “unilateralmente” senza provvedere – come promesso – alla retrocessione delle accise.
Quindici giorni dopo le parole pronunciate di fronte all’Assemblea, Schifani è tornato da Roma con la rinuncia a qualsiasi forma di compensazione finanziaria. “Ci chiediamo – ha scritto De Luca – se il Presidente sia forse transitoriamente affetto da un disturbo dissociativo di identità, anche noto nella letteratura psichiatrica come disturbo di personalità multipla, dal momento che a seguito delle legittime prese di posizione delle forze politiche parlamentari, ha a più riprese a mezzo stampa smentito sé stesso affermando che “quei miliardi non sono scritti da nessuna parte, perché il credito non viene riconosciuto””. Fare chiarezza una volta per tutte, magari presentandosi in parlamento come chiede (fra gli altri) il Movimento 5 Stelle, sarebbe un modo per mettere a tacere le malelingue.
Al caos contabile, che non sarà risolto dai 200 milioni accordati da Giorgetti, dovrà seguire una serie d’iniziative indifferibili. Per la credibilità della Regione stessa. Intanto l’approvazione di una Legge di Bilancio e di stabilità che rispetti i tre macro obiettivi posti dal governatore: cioè occupazione, sanità e supporto agli enti locali. Poi servirà un’operazione trasparenza sui conti, che l’assessore Falcone per altro ha già promesso in aula. Passando per un piano di riforme contenuto nello specchietto retrovisore del “Salva Sicilia”: dai Consorzi di bonifica ai Forestali, senza tralasciare il recepimento delle direttive in materia di dirigenza pubblica, con l’abolizione della terza fascia (una riforma della Pubblica amministrazione, in sostanza). E’ un patto sottoscritto con Roma, che la Regione dovrà onorare. Prevede, fra le altre cose, una gestione morigerata delle partecipate, e la chiusura delle società in liquidazione e degli enti in dismissione da anni. E, per inciso, il blocco del turnover dirigenziale: ma essendo il personale della Regione depauperato e avanti con l’età, questa cosetta bisognerà ridiscuterla.
Ci sarà tanto da fare sotto il profilo delle infrastrutture. Anche se in questo scorcio finale di 2022, solo per la Sicilia, RFI ha mandato in gara interventi per miliardi di euro: a partire dalla progettazione esecutiva e realizzazione dei lavori per i lotti Caltanissetta Xirbi-Lercara e Fiumetorto-Lercara (lungo la tratta ferroviaria Palermo-Catania-Messina), finanziati anche coi soldi del Pnrr; o per l’elettrificazione della linea ferroviaria Palermo-Trapani via Milo (tratta Cinisi-Alcamo diramazione Trapani) per un importo di 41 milioni di euro. Nelle prossime settimane saranno assegnati i lavori per i quattro lotti della Ragusa-Catania, un’incompiuta storica della nostra regione. Anche se il sogno, che il prossimo anno dovrà (o dovrebbe) rendere concreto, è quello del Ponte sullo Stretto, tornato uno dei principali temi di conversazione al bar la mattina. Schifani e Salvini arriveranno dove nessun altro ha osato? Intanto bisognerà definire un iter per rimettere a posto le autostrade groviera: “Lo stato della Palermo-Catania – ha detto il governatore – è offensivo del buon senso dei siciliani, è identico al periodo della campagna elettorale. Ci sono mezze corsie. A gennaio incontrerò l’amministratore delegato di Anas e parleremo di investimenti che l’Anas intende realizzare, ma chiederemo pure un rigoroso cronoprogramma per la sistemazione o per riportare in vita un’autostrada che langue”.
Per la serie “diremo faremo” resta un grosso punto interrogativo sulla questione termovalorizzatori. La Regione ha da poco disimpegnato circa 300 milioni di fondi europei, che dovevano servire alla costruzione di nuovi impianti pubblici, perché i progetti non erano pronti. Verranno riutilizzati in altre operazioni (anche di spesa corrente). Ma l’emergenza monnezza, in Sicilia, è sempre dietro l’angolo. E raggiungerà il picco, prevedibilmente, la prossima estate, quando non ci sarà più spazio per abbancare la frazione secca in discarica. Con la differenziata ai minimi termini, i termovalorizzatori restano l’ultima spiaggia (nel lungo termine). Peccato che i due bandi promossi da Musumeci si siano persi tra le scartoffie dell’assessorato all’Energia, e nessuno sa spiegarne il motivo. L’unica operazione in corso d’opera è smontare la commissione Via-Vas, quella che concede le autorizzazioni ambientali, perché “ha paralizzato la Sicilia”.
Mentre sul fronte della sanità bisognerà solo “dimostrare”: la rivoluzione promessa da Schifani, con l’impegno a ridurre le liste d’attesa, passa dall’approvazione della nuova rete territoriale di assistenza, che come ogni cosa in itinere è una scatola vuota (in attesa di completare gli ospedali e le case della comunità). Così come l’intenzione di avviare una nuova fase, slegata dalla politica, per la selezione pubblica dei direttori generali delle Asp.
Resta una preghiera in materia di musica e spettacoli: risolvere, finalmente, i problemi dell’Orchestra Sinfonica. Con una nota di ieri le organizzazioni sindacali denunciano che “in due anni di commissariamento nessuna energia è stata spesa per dotare la Fondazione di una pianta organica stabile e completa, che aprisse le porte alla stabilizzazione dei tanti precari storici e un giusto riconoscimento a chi da anni svolge mansioni non adeguate ai loro livelli”. E che “a fronte di una stagione concertistica costata quasi due milioni non c’è stato nessun sostanziale aumento di pubblico”, mentre latitano le tournée e i progetti per i giovani. Il nuovo assessore avrà il coraggio di spezzare il filo col passato? Il nuovo presidente glielo lascerà fare? Il carrello della spesa – tutti ne sono consapevoli – è oltremodo capiente. Ma per il momento è ancora vuoto. Buon anno alla politica.