Sul piatto della prossima programmazione europea destinata allo sviluppo regionale (PO Fesr 2021-27), ci sono 5,8 miliardi da spendere. Una valanga di soldi. Peccato che la Sicilia sia rimasta con oltre due miliardi di arretrati (da certificare all’UE) per quanto riguarda l’ultima programmazione, quella relativa agli anni 2014-2020, che dovrà chiudersi improrogabilmente entro il 31 dicembre 2023. Questo significa una cosa soltanto: che bisognerà correre e confezionare il secondo miracolo di questa legislatura. Il primo, a cui l’assessore Falcone diceva di credere fortemente, era l’approvazione della Finanziaria entro la fine di quest’anno, evitando il ricorso all’ennesimo esercizio provvisorio. La Corte dei Conti, però, ha spazzato via il sogno di una notte di mezzo autunno.

Non c’è ancora la certezza matematica, ma a indicare questa sorta di galleggiamento è il calendario dei lavori d’aula a Palazzo dei Normanni. Il presidente Galvagno, con le vacanze di Natale alle porte, ha convocato i deputati per martedì 20 dicembre: all’ordine del giorno la surroga dell’on. Calderone (che va a Montecitorio) e generiche “comunicazioni”. La giunta ha iniziato a lavorare venerdì sull’ipotesi di una Legge di Stabilità snella, con una quindicina di articoli, con qualche misura a sostegno degli enti locali. Ma per approvare la manovra, considerato l’iter parlamentare, non sembrano esserci più i tempi. A mancare, però, è soprattutto il modo, dato che la Regione è reduce dalla sospensione del giudizio di parifica della Corte dei Conti, che ha evidenziato un ‘buco’ da 866 milioni di euro e la necessità di attendere il pronunciamento della Corte costituzionale sulla dilazione del disavanzo da 2,2 miliardi. La pressione del governo regionale su quello nazionale, per l’approvazione di una norma che faccia cadere il “motivo del contendere” di fronte alla Consulta, non ha (per il momento) generato profitti. Così facendo, nella prossima Legge di Stabilità andrebbe accantonata la cifra contestata. Di fatto molti capitoli resterebbero a zero. Impensabile.

L’assessore al Bilancio, pur affermando che la sentenza della magistratura contabile non fosse “paralizzante”, si è un attimo stoppato. Tergiversa nell’attesa di buone nuove. Potrebbero arrivare nei prossimi mesi – c’è una richiesta pendente di 600 milioni a titolo di compensazione per l’aumento della compartecipazione alla spesa sanitaria – ma da qui al 31 dicembre difficilmente qualcosa si sbloccherà. Così gli uffici saranno impegnati su un altro fronte, quello dell’Europa, per raggiungere il target di spesa previsto per fine anno. Come? Rendicontando i 72,8 milioni che mancano. Anche se la vera sfida è un’altra, e riguarda il 2023, quando bisognerà rendicontare 1,8 miliardi. Anche il direttore del dipartimento Programmazione, Federico Lasco, ammette che è lavoraccio: “Abbiamo piena coscienza dello sforzo che ci troviamo davanti, e con la Commissione europea stiamo lavorando fianco a fianco, con spirito di collaborazione e approccio operativo, per risolvere le problematiche e centrare tutti gli obiettivi previsti, nel rispetto dei principi di efficacia e qualità della spesa”.

Del PO Fesr 2014-20, com’è emerso in questi giorni dal Comitato di Sorveglianza che s’è svolto a Palermo, la Regione siciliana ha finanziato 5.500 progetti e impegnato 4,2 miliardi (di cui 2,6 già pagati). Ma quasi due miliardi, come detto, restano da certificare. Se ciò non dovesse avvenire, i soldi dovranno essere restituiti. Sulle difficoltà di questa operazione spunta un’analisi illuminante della Cgil: “In soli 12 mesi – osservano il segretario generale regionale Alfio Mannino e il componente di segreteria Francesco Lucchesi – si dovrebbero spendere e rendicontare più di due miliardi di euro, quasi la stessa cifra spesa dal 2014 ad oggi della quale è stato rendicontato per ogni anno solo il 7%. Il rischio concreto – sottolineano – è che la corsa contro il tempo faccia sprecare queste risorse in progetti non utili allo sviluppo, oppure che si debba restituirle”.

Schifani ha garantito che “neanche un euro sarà restituito a Bruxelles, ma spenderemo fino in fondo tutte le somme che l’esecutivo comunitario ha assegnato alla Regione. E lo faremo superando le criticità, con progetti che saranno coerenti con la mission iniziale del Programma”. Sarà. Nel frattempo, però, è in corso la rimodulazione di circa 600 milioni, perché i progetti su cui erano appostati non vedranno più la luce. Una parte di questa cifra, come annunciato dall’esecutivo, verrà dirottato sugli aiuti alle imprese per fronteggiare il caro bollette: “Benché dare risorse ai siciliani per questa emergenza sia un fatto positivo – è il commento della Cgil – non si può pensare di farlo senza aver messo in campo anche tutte le iniziative che erano previste nel PO Fesr 2014/20 come l’efficientamento energetico o un piano regionale d’investimento sulle rinnovabili. Ci vuole un piano per le risorse energetiche siciliane che possa abbattere il costo energetico in modo strutturale e non solo per l’emergenza, sostenendo un nuovo modello di sviluppo basato su fonti pulite e rinnovabili”.

Ma quella della rimodulazione è una storia vecchia come il mondo. Pur di non disperdere le risorse, si decide di svuotare i capitoli d’investimento e finanziare la spesa corrente. E’ accaduto durante la pandemia (quando le Finanziarie di Armao si reggevano sui fondi europei). Con l’effetto di tamponare eventuali emergenze, ma, al contempo, di interrompere bruscamente lo sviluppo produttivo e infrastrutturale dell’Isola. L’assessore Falcone ha spiegato che “alcune procedure del 2014-2020 che non potranno essere completate entro l’anno prossimo verranno traghettate nel 2021-2027. È questo il principio di continuità per ridurre i gap della Sicilia”. Mannino e Lucchesi, però, sottolineano che “sulla riprogrammazione presentata, la Commissione europea ha già sollevato diverse obiezioni e chiesto ulteriore documentazione. Si rischia infatti che la mission della programmazione 14/20 – affermano i due esponenti della Cgil – venga snaturata, tralasciando molti dei suoi obiettivi”. Ad esempio, “non si può immaginare di acquistare dei treni che si muovono attraverso un sistema ibrido, elettrico e diesel, con le risorse del Fesr quando le linee programmatiche della Ue spingono per forme di trasporto che impattano sull’ambiente in modo poco pervasivo, come i treni a idrogeno o elettrici. Non ha senso spendere importanti risorse per treni che già oggi sono superati dalla tecnologia”.

Questo ragionamento, per altro, è orientato all’oggi. Nel senso che si tratta di dinamiche che – comunque vada – si esauriranno nel 2023. Mentre il pacchetto da 5,8 miliardi a valere sul PO Fesr 2021-27 è una prospettiva futuribile, che andrà ad aggiungersi al pacchetto di misure reso possibile dal Pnrr. La domanda che tutti si pongono è la seguente: riusciremo a utilizzarli? Schifani, da buon ottimista, è convinto di sì: “Il programma promuoverà progetti di sviluppo sostenibile delle imprese e degli enti locali dell’Isola fino al 2029. Con il PO Fesr la Regione mira alla crescita della competitività in Sicilia attraverso investimenti nella transizione verde, nella ricerca e nella digitalizzazione delle imprese e della pubblica amministrazione. Sul fronte della competitività del sistema produttivo, il Programma – aggiunge il presidente Schifani – sosterrà gli interventi, l’internazionalizzazione e l’accesso al credito delle piccole e medie imprese”. Una prospettiva rosea che non si è ancora imbattuta, però, nella lentezza della burocrazia, nelle ristrettezze d’organico, nei calcoli della politica. Quando accadrà, vedremo i risultati.