Di Caterina Chinnici, politicamente parlando, non ci sono più notizie da mesi. Dal pomeriggio del 26 settembre quando, senza nemmeno allestire un comitato, attese da casa sua, a Caltanissetta, l’esito delle urne. Un massacro per lei e per il Pd. Doveva essere il volto gentile, la ‘salvatrice’ di un partito che fatica a tornare in pista dopo i disastri dell’era Crocetta, dove persino Crocetta ha più voce dell’eurodeputata in cui tanti, troppi, avevano creduto. L’ex governatore, infatti, è intervenuto qualche giorno fa per replicare alle accuse di Schifani riguardo al buco di bilancio ereditato dal suo governo, mentre la Chinnici (probabilmente) prepara nel silenzio la sua terza scalata a Bruxelles: il Pd potrebbe riconoscere il suo “sacrificio” e ricompensarla, ottenendo in cambio una messe di voti.

Il sospetto, per com’è andata, è che non sia tutta colpa della figlia del giudice Rocco, poco avvezza ai ring della politica; ma di chi ha provato a snaturarla, spingendola a un passo dal ritiro mentre le regole della competizione cambiavano. L’uscita del Movimento 5 Stelle dalla porta di servizio, appena superato Ferragosto, di fatto fece svanire una coalizione costruita laboriosamente a palazzo d’Orleans, in cinque anni di dura e sentita opposizione, e messa a dura prova dalla baruffa nazionale fra Conte e Letta. La Chinnici, che doveva rappresentare il centravanti di una formazione solida ed eterogenea, s’è ritrovata col cerino in mano, dopo una campagna elettorale trascorsa ad imbonire alleati e rivali, smussando ogni eccesso. Dichiarando che voleva occuparsi solo di se stessa, senza nemmeno citare i competitor e le loro malefatte.

Ma la politica “europea”, così asettica e diplomatica, impreparata alla lotta nel fango, in Sicilia non ha dato frutti. Gli unici a pagare il pegno di quell’esperienza sono stati Claudio Fava, rimasto fuori dal parlamento siciliano con la sua lista, che ha scelto di ritirarsi dalla politica; Giuseppe Lupo, ‘epurato’ da palazzo dei Normanni, nonostante la preparazione e la stima bipartisan, a causa di un processo che non s’è mai concluso; e gli altri “compari” sacrificati sull’altare di una questione morale che oggi riprende improvvisamente verve (chiedere per conferma al forzista Riccardo Gennuso, che si è appena autosospeso dalla vicepresidenza della commissione Antimafia).

Il Pd siciliano che Chinnici doveva trascinare alla vittoria, e che comunque avrebbe faticato anche in coalizione con i grillini, oggi si ritrova senza la sua punta di diamante. Che ha salutato a stento prima di togliere il disturbo e ritornare fra i banchi di Bruxelles (pur raccogliendo l’applauso del partito). E’ tornata ad occuparsi di macroquestioni – la legalità, la lotta alla mafia, i giovani – tralasciando il pantano della trincea, dove il Pd non ha ancora trovato un ricostituente utile a rilanciarsi. Il segretario Barbagallo, impegnato nel duplice ruolo di parlamentare regionale e deputato alla Camera, ha dato una riverniciata alla segreteria e reggerà il partito fino al prossimo congresso. Per il momento è riuscito a placre la brama (di alcuni) di rimuoverlo dopo la deludente prestazione alle Regionali e alle Politiche, culminata nell’umiliazione dei ‘paracadutati’. Lo sguardo di tutti è rivolto al congresso nazionale, anche se i temi della Sicilia – come sempre – rischiano di rimanere tangenti rispetto allo scenario complessivo.

Le varie correnti del Pd, seguendo gli spostamenti dei leader, provano a orientarsi fra Bonaccini e Schlein. Ma per il momento non sembrano avere alcuna voglia di esternarlo. Spendersi per qualcuno, e ottenere come risposta la candidatura di Bobo Craxi all’uninominale di Palermo, o di Anna Maria Furlan per il Senato, non è certo il miglior viatico per un processo che si fondi sull’inclusione e sulla partecipazione. Nel capoluogo è nato un comitato, con 150 firmatari, per sostenere la scalata dell’ex vicepresidente della regione Emilia-Romagna, l’ultima dei giovani rampanti. Nel frattempo Cracolici, un vecchio saggio, è divenuto presidente della commissione Antimafia dopo aver mandato giù il boccone (amarissimo) della bocciatura a Palazzo Madama, dove sperava di issarsi dopo la lunga gavetta all’Assemblea regionale. E’ solo un rimbombo di poltrone e di posate. Con la consapevolezza di dover trascorrere altri cinque anni all’opposizione, toccando palla di rado. Un ruolo degnissimo, per carità, ma strategico fino a un certo punto. Per questo non si esclude che qualche big, già prima del congresso, possa togliere il disturbo.