Qui il politico navigato sembra Gaetano Galvagno, 37 anni, cresciuto all’ombra di Ignazio La Russa, e capace di trovarsi (da solo) i voti per diventare la massima carica dell’Assemblea regionale. Il presidente più giovane. Vero: fino a un paio di giorni fa – con appena una legislatura sulle spalle – era sconosciuto al grande pubblico. Ma ha spadroneggiato nella sua Paternò, dove ha raccolto più di tremila preferenze, facendo volare la lista di Fratelli d’Italia. E poi, all’interno dei palazzi, s’era fatto un nome e una strada. Gli sono bastati cinque anni, e una serie di buoni rapporti, per passare all’incasso. Tra quelli che Galvagno ha ringraziato nella prima conferenza stampa, subito dopo l’elezione, c’era un altro giovanissimo (d’età e di spirito): Danilo Lo Giudice. Ex deputato regionale, sindaco di Santa Teresa di Riva, coordinatore dei gruppi parlamentari di ‘Sud chiama Nord’ e ‘Sicilia Vera’, ha spinto persino uno come Cateno De Luca, recalcitrante ai compromessi, ad appoggiare – in toto o in parte, chissà – la discesa in campo del neo presidente.
Pare, infatti, che Galvagno abbia goduto di un consenso trasversale. Anche tra i Cinque Stelle. Che hanno approfittato dello scrutinio segreto per rivendicare le undici schede bianche ritrovate nell’urna. Non sono tutte loro, suggerisce qualcuno. Anche Gianfranco Miccichè, ad esempio, avrebbe lasciato tutto in bianco. Eppure, anticipando il voto in dissenso rispetto alla maggioranza, aveva rassicurato baby Gaetano: “Lui è un mio vero amico, ma alle prime due votazioni non lo voterò, se alla terza gli servirà il mio voto glielo darò”. Non è servito. Anche in aula, per le dichiarazioni finali, Galvagno ha dimostrato di avere buon gusto. E di essere preparato in materia di politica. Ha ringraziato tutti, mettendoli in fila a uno a uno: primo Micciché, avendo ricoperto per cinque anni il ruolo di deputato segretario nel “suo” Consiglio di presidenza; poi Claudio Fava, da cui è stato ‘forgiato’ in commissione Antimafia; ma anche Riccardo Savona, per averlo “istruito” nell’ingrato compito di sbattere la testa sulle carte della commissione Bilancio. Da destra a sinistra, non mancava nessuno: né Musumeci, tanto meno La Russa e Meloni. E infine Lo Giudice, “un fratello” appunto.
Galvagno, con queste premesse, potrà diventare un ottimo presidente dell’Ars. Dovrà essere garante di tutti, o quanto meno diventarlo. Cioè la stessa cosa che i partiti del centrodestra, in fase di scelta, avevano chiesto a Renato Schifani: dopo Musumeci, sarebbe servito un presidente in grado di incarnare le varie anime di una coalizione frammentata, distrutta. Capace di riportare tutti quanti al dialogo e alle ragioni di stare insieme. Schifani, che di anni ne ha 72 e che per il suo passato da presidente del Senato sembrava la miglior sintesi possibile, in realtà sta faticando. Ha già rotto con Micciché e, adesso, dovrà essere abile a gestire i fermenti di Fratelli d’Italia nella scelta dei quattro assessori. Cedere alle pressioni romane, ispirate dal ministro Lollobrigida, significherebbe dover cedere sovranità decisionale; ma soprattutto dover smentire se stesso.
Schifani ha detto che in giunta ci vanno solo “deputati eletti”. Ma ha già deciso di contravvenire a questa regola, piazzando nell’assessorato più ambito un tecnico: l’ex direttore sanitario del Policlinico Giaccone, Giovanna Volo, una totalmente fuori dalla politica. Un precedente assai pericoloso, come ha sottolineato la nota di ieri di Totò Cuffaro: “Rispettiamo la posizione del Presidente e quindi la decisione di assessori che siano parlamentari e siamo partecipi del difficile compito per garantire le posizioni di tutta la coalizione. È chiaro però che se si dovesse aprire a scelte di assessori esterni, anche la DC vorrà partecipare a designare il suo tecnico. Anche se la cosa è ovvia, è bene dirlo”.
Per di più si è dimostrato poco elastico, Schifani. Ad esempio nella partita con Micciché, al quale ha tolto diritto di prelazione sulle tre caselle che spettano a Forza Italia. Su tutte e tre. “Ho spiegato a Licia Ronzulli che il nostro partito è stato di fatto messo in minoranza dallo stesso Schifani”, ha detto il commissario di Forza Italia, chiacchierando con Repubblica. “Berlusconi approvava pienamente la mia linea sugli assessorati: ha chiamato Schifani che nemmeno gli ha risposto”. Se così fosse, sarebbe grave. Significherebbe smarcarsi dal tuo stesso partito. Cedere ai personalismi. Cioè tutto il contrario di quanto stabilito negli accordi estivi. Cercare il compromesso – dimostra Galvagno – non significa farsi tirare la giacchetta a destra e a manca (cosa da cui Schifani, giustamente rifugge). Ma avere la capacità di fare sintesi e di non crearti nemici che, alla lunga, potrebbero diventare un fastidio.
E ce ne saranno di fastidi per il centrodestra. Fosse stato per Schifani – forse – l’elezione di Galvagno sarebbe stato un terno al lotto. E si sarebbe protratta fino alla terza votazione. Il neo governatore, che molti descrivono come ‘permaloso’, ha deciso di gestire la Regione affidandosi a un cerchio magico ristrettissimo, persino più ristretto di quello di Musumeci (ça va sans dire), di cui fanno parte pochissimi ‘eletti’: dal nuovo capo di gabinetto Salvatore Sammartano, ex ragioniere generale in pensione; passando per Maria Mattarella, che manterrà l’incarico di segretario generale della Regione e presiederà la cabina di regia a supporto dei dipartimenti per la gestione del Pnrr; senza dimenticare Roberto Ginex, il giornalista/consigliere che lo ha già esposto a un paio di gaffe. L’avvertimento del ‘metodo Thatcher’ contro la “stampa ostruzionistica”, e l’accusa a un collega de ‘La Sicilia’, Mario Barresi, di voler “destabilizzare strumentalmente” le scelte di Schifani per la composizione della giunta (a causa di un totonomi). Non ce n’era bisogno, non così presto. Un’altra mossa un po’ avventata è stata aver fatto filtrare il nome del viceprocuratore generale di Palermo, Anna Maria Palma, come possibile assessore alla Sanità. La più gradita, prima di convergere su Giovanna Volo.
Nessuno vuole togliere a Schifani la prerogativa di fare le proprie scelte, e di sbagliare se necessario. O di affidarsi alle persone che ritiene più adatte e più capaci per portare avanti un incarico che, in questa fase storica, farebbe tremare i polsi a chiunque. Ma per qualche appunto, che sia di politica o di gestione della crisi, si prega di citofonare Galvagno. Ha già dimostrato di avere la scorza.