Non sono i tempi della Diciotti, e del clamoroso sfogo di Gianfranco Micciché che diede dello “stronzo” a Matteo Salvini, all’epoca Ministro dell’Interno, per aver ‘rinchiuso’ 150 migranti sulla nave della Guardia Costiera (era l’agosto di quattro anni fa). Ma poco ci manca. Forza Italia torna a spaccarsi sul tema degli sbarchi. La polemica divampa nello stesso luogo di allora, il porto di Catania, dove il deputato regionale Nicola D’Agostino, fresco di conferma all’Ars, ha attaccato i suoi per aver aderito alla linea della fermezza di Piantedosi e Meloni: “Forza Italia è un partito di centro che dovrebbe far valere le sue ragioni – è stato l’affondo di D’Agostino -. Non credo ci si possa “confondere” per qualche centinaio di migranti, utilizzandoli come elemento di contrattazione. E’ chiaro che l’Europa dovrebbe mostrarsi più solidale, ma non si possono tenere sequestrate delle persone a bordo di una nave. E’ disumano. Anziché attenuare il disagio, lo stiamo alimentando”. E ancora: “Molti dei miei colleghi sono in imbarazzo, anche se non lo dicono”.
Parole che non sono piaciute al conterraneo on. Marco Falcone, ex assessore alle Infrastrutture e leader di una minoranza molto rumorosa dentro FI, che in una nota firmata assieme a Stefano Pellegrino, un altro dei falchi forzisti nel corso della scorsa legislatura, ha scaricato il collega: “Forza Italia, dai massimi vertici fino al presidente della Regione Siciliana, ha già espresso un pieno, chiarissimo e coerente sostegno al lavoro del governo nazionale di cui fa parte. Chi tra gli azzurri parla inopinatamente di “sequestro di rifugiati” lo fa a titolo personale, abbracciando posizioni che nulla hanno a che vedere con la linea” del partito. Una presa di posizione durissima, maturata a seguito dell’uscita di D’Agostino. Che rappresenta, al netto della questione in sé, una spia pericolosa alla vigilia del ritorno in aula. Dove D’Agostino, Falcone e tutti gli altri si ritroveranno seduti negli stessi banchi e sosterranno (?) il medesimo governo.
La tensione è palpabile ormai da settimane. Il partito di Berlusconi, che nei cinque anni di Musumeci si è lacerato nel profondo, ha messo da parte le divergenze per il periodo della campagna elettorale. Poi il clima è tornato elettrico e la presenza di Schifani non ha portato a niente di buono. Anzi, qualcuno – a cominciare dal coordinatore regionale Gianfranco Miccichè – paventa il rischio di una “reincarnazione” del governo Musumeci. Un turbamento accentuato da parecchi indizi: dal bacio della pantofola nel corso del convegno autocelebrativo di Razza (sulla sanità) a Catania, fino alla scelta/imposizione di un paio di assessori in quota Forza Italia, forse tre, senza passare da una regolare “contrattazione” coi vertici del partito. Schifani ha deciso che della sua giunta faranno parte lo stesso Falcone, questa volta all’Economia, e quasi certamente Edy Tamajo che – Micciché dixit – “non so se scelto da Schifani o direttamente Totò Cardinale”. Della serie: io non ho toccato palla.
Non è che Musumeci gliene facesse toccare molte. Anzi. Micciché, che dalla lite con l’ex presidente della Regione ha portato a casa “un governatore di Forza Italia” dopo venticinque anni di astinenza e di generosità, sperava in ben altra collaborazione. Invece, probabilmente, sarà costretto a mandar giù anche il terzo e ultimo nome della squadra di governo. Quello del prossimo assessore alla Sanità. “Se l’assessore ce l’ha già è imposto, non condiviso”, s’è fatto scappare in un colloquio con ‘La Sicilia’ all’indomani del vertice con Schifani che doveva rimanere segreto. Ma di segreto in questa lotta fratricida non c’è più nulla. E il malessere monta ora dopo ora, come dimostrano le dichiarazioni sui migranti. Schierarsi è una “scelta di coscienza”, come la definisce D’Agostino; ma Forza Italia è un partito moderato che in passato s’è ben guardato dal proporre blocchi navali e “sbarchi selettivi”. “Il linguaggio usato in queste ore – ha tuonato il parlamentare – rischia di riportarci a 70-80 anni fa. Mi appello a Schifani perché dica parole chiare che ancora non sono state dette”.
Per la verità, Schifani s’era già espresso. Male. Parlando anch’egli di “selezione che mette in salvo le categorie fragili”. Il governatore è stato punzecchiato dal direttore dell’edizione palermitana di Repubblica, Matteo Patucchi, che citando Ezio Mauro ha segnalato l’utilizzo di “un linguaggio prefettizio ligio alla svolta politica ma estraneo alla civiltà italiana. Se non da Piantedosi, che in effetti prefetto è, almeno da Schifani ci saremmo aspettati parole degne del suo prestigio politico e del suo profilo di moderato”. Il governatore siciliano in queste ore si sta ritrovando nell’arena, costretto a sgomitare pancia a terra. E finisce spesso per farsi condizionare dal suo ‘cerchio magico’, collezionando uscite improvvide; come l’accusa a Mario Barresi, collega de ‘La Sicilia’, di destabilizzare “strumentalmente una fase delicata come quella che prelude alla costituzione di una giunta di alto livello”, solo per aver fatto qualche ipotesi sul futuro esecutivo; o la scelta di utilizzare il “metodo Thatcher” rispetto alla stampa “ostruzionistica”; o la permalosità di vedere dietro la critica di un giornale l’ombra nefasta di Miccichè.
Forza Italia avrà pure un presidente di bandiera, ma non ha affatto superato gli scontri, le divergenze, i veti di cinque anni trascorsi al guinzaglio di Musumeci. Dove la fronda governista, pensando di poter esautorare il capogruppo Calderone, scelse di votarsene uno in separata sede: l’elezione di Caputo, però, andava contro il regolamento e risultò nulla. Non è bastato neppure l’intervento di Licia Ronzulli, scesa più volte nell’Isola, per placare la brama dei separatisti (e filomusumeciani). A partire da quel Gaetano Armao che non potendo più imporre i propri desiderata al partito, decise di fare le valigie e mollare tutto alla vigilia delle elezioni.
Schifani, che fa la voce grossa coi migranti, non è ancora riuscito a mettere ordine nel partito da cui proviene, e che ha provveduto a farlo eleggere. Tra l’altro, con lo stesso numero di voti (quasi) di Fratelli d’Italia. E mentre nei confronti dei patrioti la sudditanza psicologica è quasi acclarata – ne è prova l’accordo con Musumeci, svelato da ‘La Sicilia’, per cercare di salvaguardare Ruggero Razza – con la sua Forza Italia l’ex presidente del Senato tende a mostrare i muscoli. E decidere da solo. Questa storia sembra di averla già sentita da qualche parte…