Renato Schifani sembra ancora in campagna elettorale. Non ha una squadra di governo, né un provvedimento all’attivo, se non fosse per la dichiarazione dello stato di crisi per i territori colpiti dal maltempo e per la pubblicazione del nuovo bando per i collegamenti marittimi con le isole minori. Prosegue nel soliloquio di tutti i giorni, nell’attesa di smontare e rimontare il puzzle che gli offrono i giornali. Mancano meno di dieci giorni alla prima seduta dell’Assemblea regionale, poi s’insedierà il nuovo esecutivo. Anche se non c’è traccia degli assessori: specie quello alla Salute, che dovrebbe risollevare le sorti della sanità siciliana, smaltire le liste d’attesa e gli arretrati a specialisti e laboratori analisi convenzionati (dato che le Asp non riescono neppure a liquidare i pagamenti). “Ho in mente il profilo – ha dichiarato Schifani, prendendo altro tempo -. Nei prossimi giorni la rosa di nomi su cui sto ragionando si restringerà ulteriormente”.

In questa fase difficile, in cui il presidente della Regione si ritrova a gestire tutte le deleghe assessoriali (compresa quella al Lavoro, che gli ha permesso di prorogare i navigator fino al 31 dicembre) si susseguono le promesse. L’ultima invenzione di Schifani è una task force per fare luce sulle mille problematiche che attanagliano i pronto soccorso degli ospedali: “Mi riprometto di chiedere al neo-assessore alla Sanità, dal giorno dopo del suo insediamento, di costituire, all’interno dell’assessorato, una task force ristretta e qualificata – ha detto a Live Sicilia – che, in tempi brevissimi, realizzi un rapporto approfondito sullo stato dei luoghi di tutte le aree d’emergenza siciliane, sottolineando eventuali disfunzioni e soluzioni”. Significa tutto e niente: il quadro delle criticità non dovrebbe essere già chiaro? Inoltre, dopo aver rimosso Tuccio D’Urso dal suo incarico di soggetto attuatore per l’emergenza Covid, aveva annunciato che i lavori per il Policlinico di Palermo saranno ultimati entro la metà di novembre. Sarà vero?

Sempre a proposito di cabine di regia, il presidente della Regione, proprio oggi, ha annunciato la costituzione di quella che ha il compito di supportare e coadiuvare i dipartimenti regionali nella programmazione e nella spesa dei fondi del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr). Ma niente magistrati in pensione. Sarà presieduta dal segretario generale della Regione, Maria Mattarella, e composta da: Giovanni Bologna, avvocato generale della Regione; Ignazio Tozzo, ragioniere generale; i dirigenti generali Federico Lasco, della Programmazione; Vincenzo Falgares, dell’Arit; Carmen Madonia, della Funzione pubblica; e dal capo di gabinetto vicario del presidente, Vitalba Vaccaro. “Il Pnrr – ha detto Schifani ai dirigenti – è un’opportunità straordinaria per lo sviluppo della Sicilia e non possiamo sprecarla. Tanto è già stato fatto ed è nostra intenzione continuare su questa strada. Con la collaborazione di tutti, faremo tutto quanto nelle nostre possibilità e metteremo in campo ogni sforzo per superare le eventuali criticità che dovessero presentarsi”.

Schifani vede persone e dice cose. Alcune di natura politica. Come, ad esempio, il modello di giunta che ha in mente: sarà costituita “da soli eletti”. Anche se qualcuno gli avrà fatto notare le non poche difficoltà nel portare avanti un simile esperimento: intanto perché gli assessori, spesso in missione, finirebbero per non poter garantire la propria presenza in commissione, lasciando campo libero alle opposizioni; poi, perché non sempre nel perimetro di Sala d’Ercole, si riescono a individuare quei tecnici utili a risolvere alcune magagne (anche i Rifiuti, oltre alla Sanità, costituiscono un fronte delicatissimo; e che dire dell’Economia, con questi chiari di luna?).

Ecco perché l’annuncite rischia di risultare improduttiva. Come sul fronte delle ex province: che non funzionino e siano allo sbando, lo sappiamo tutti. E’ nelle cose. Ma da qui a ipotizzare una legge per reintrodurre le elezioni di primo livello, senza valutare l’impatto di una eventuale tagliola della Corte Costituzionale – che in passato ha già bocciato iniziative simili – ce ne passa. “Non è un fattore squisitamente elettorale o campanilista, ma oggi mancano gli interlocutori per alcuni servizi di base – ha messo le mani avanti il governatore -. È necessaria una presenza istituzionale sul territorio più efficace, più capillare. Presenteremo un disegno di legge in questa direzione”.

In un mese trascorso da uomo solo al comando, Schifani ha fatto il massimo delle proprie possibilità. Che – in un contesto regionale – non è tantissimo. L’ex presidente del Senato non ha mai armeggiato con l’amministrazione, fattore di cui la Sicilia ha bisogno per ripartire. A dispetto delle 72 primavere e di un passato illustre sotto il profilo politico e istituzionale, serve un’esperienza consolidata – sul piano amministrativo, appunto – per rimodellare questa terra dalle macerie del passato. L’esperienza che Schifani chiede ai suoi colleghi di governo prossimi venturi, non gli appartiene. Non in maniera naturale. Al di là delle parole e delle passerelle, sarà fondamentale la gavetta.

Ecco che – col senno di poi – avrebbe potuto provare ad accelerare per la formazione della squadra di governo: visti i precedenti litigiosi fra partiti della coalizione, specie tra Forza Italia e Fratelli d’Italia, questi giorni di stallo (in attesa che si completasse a Roma la squadra della Meloni) sarebbero potuti servire per innescare un cambio di marcia sotto il profilo delle responsabilità e del dialogo; per allontanare i cattivi consiglieri e i paragoni scomodi; per ricercare i profili competenti di cui il presidente si riempie la bocca; per passare al setaccio i rami secchi della burocrazia e scegliere, coraggiosamente, di reciderli. Fin qui ha governato da solo, e gli ha andata di lusso: non esiste ancora un’opposizione (il segretario del Pd è sospeso fra l’Ars e la Camera dei Deputati), De Luca è ai box per qualche problema di salute, e i Cinque Stelle solo nelle ultime ore hanno perfezionato la geografia degli eletti. Ma da questo momento bisogna cambiare marcia, perché sono i siciliani a richiederlo.

Il primo banco di prova, che rischia di complicare il seguito a causa delle sue implicazioni economiche, resta il giudizio di parifica della Corte dei Conti. Su cui nessuno osa soffermarsi: materia troppo tecnica anche per gli addetti ai lavori. Ma partire con un miliardo di deficit, o con una questione di legittimità costituzionale da sbrogliare di fronte alla Consulta, sarebbe un pessimo viatico. Poi non va amministrata soltanto la Sicilia, ma il rapporto con gli alleati: quello con Gianfranco Micciché, secondo gli ultimi retroscena, non è idilliaco. La pretesa del governatore di poter scegliere da solo gli assessori di Forza Italia, senza passare da un confronto preventivo con il commissario regionale del partito, è un lusso che nemmeno Musumeci e La Russa (in tempi diversi). Tra pochi giorni, quando si voterà il nuovo presidente dell’Ars, il quadro dovrà essere più chiaro o il rischio è di assistere, da subito, a un revival della precedente esperienza di governo. Scendere nell’anfitrione della politica, significa sporcarsi le mani. Assumere decisioni (anche impopolari). Stringere compromessi (nell’accezione migliore del termine). Essere presenti non soltanto a parole.