La voragine dei conti è spaventosa, sfiora il miliardo, e i magistrati della Corte dei Conti lo segnano a dito come l’autore del più grande disastro finanziario della Regione. Ma lui, l’ex assessore Gaetano Armao, campione nazionale del cambio di casacca, non si arrende nemmeno di fronte all’evidenza. Per dirla alla francese, è sempre lì a piétiner sur place: a presidiare le proprie postazioni di potere, a pestare la stessa acqua nel mortaio. Anche se elezioni del 25 settembre hanno certificato il suo fallimento politico – con un due per cento alle regionali, un risultato per il quale chiunque proverebbe rossore – lui fa finta di niente. Anzi. I bene informati dicono che è diventato l’eminenza grigia più influente di Renato Schifani, al quale consiglia gli uomini da piazzare negli ingranaggi più delicati dell’amministrazione, e al quale suggerisce strumenti e strategie per riparare i danni che lui stesso ha creato. Non solo. Si dice anche che il nuovo presidente della Regione gli avrebbe promesso addirittura la presidenza dell’Irfis, l’istituto di credito che per cinque anni è stato il bancomat di Palazzo d’Orleans. Tutto vero?

Io dico che in Sicilia, per dirla in rima baciata, c’è una stirpe difficile da estirpare. E’ quella che, a differenza dei comuni mortali, riesce a sovvertire ogni legge della natura. Se tu hai fatto solo disastri e hai alimentato soltanto scandali; se tu sei stato il consulente di un avventuriero come Ezio Bigotti, l’uomo che con un censimento fasullo ha sottratto oltre cento milioni alla Regione e li ha trasferiti in un paradiso fiscale, tu dovresti prima o poi cospargerti il capo di cenere e farti da parte. Invece qui, in questa terra sospesa tra il Terzo Mondo e il paradiso terrestre, succede il contrario. Succede che personaggi come Gaetano Armao trovino sempre una mano alla quale aggrapparsi, una giacchetta da tirare e un principe che li accoglie nella propria corte: ieri Nello Musumeci, oggi Schifani.

Sarà il gioco delle lobby o delle logge, sarà anche la forza del destino, sta di fatto che la confraternita degli intramontabili è sempre più ferrigna, sempre più longeva, sempre più cinica e indisponente. A loro non importa se la Sicilia affonda, se l’inflazione cresce e la crisi costringe le imprese a chiudere i battenti; a loro non interessa se la gente fatica a mettere insieme il pranzo con la cena o se le bollette del gas e della luce hanno sfiorato livelli insostenibili. L’unica preoccupazione che li affligge è quella di piétiner sur place, di restare sempre e comunque sul palcoscenico del potere e mantenere i propri privilegi.

L’arroganza del potere dev’essere, oltretutto, un vizio contagioso. Qualche giorno fa, come tanti altri giornali, Buttanissima ha raccontato che Giusy Bartolozzi – compagna di Armao, magistrato ed ex deputata di Forza Italia – è diventata vice capo di gabinetto di Carlo Nordio, neo ministro della Giustizia. Abbiamo rievocato una vecchia storia bizzarra e incomprensibile: il pignoramento dello stipendio al marito assessore; e abbiamo pure ricordato il suo scontro in aula, su una questione di giustizia, con Marta Fascina, quasi moglie di Berlusconi, con il conseguente passaggio polemico al Gruppo Misto. Solo cronaca, nient’altro che cronaca. Ma apriti cielo. Lady Armao mi ha inviato un acido whatsapp, sottolineando “che il tempo è galantuomo”. Che significa? Tutto e niente. Nihil et omnia, sottolineava Sant’Agostino. Ma parlava di Dio, non di magistrati in servizio al ministero.