Il 40% dei percettori del Reddito di cittadinanza rischia di rimanere a piedi. Senza sussidio. E’ il dato che si ottiene incrociando le dichiarazioni programmatiche di Giorgia Meloni, ieri alla Camera, e l’ultimo report dell’Anpal, pubblicato dal Sole 24 Ore, da cui emerge che sui 2,3 milioni di percettori (un milione di nuclei) in 920 mila sono considerati in grado di lavorare. Del discorso della nuova premier, applaudito settanta volte in meno di un’ora, il messaggio più incisivo riguarda il Mezzogiorno d’Italia e la Sicilia. Che di reddito, in questi anni coi Cinque Stelle al governo, hanno imparato a campare.
La Meloni, che non è mai indietreggiata neppure in campagna elettorale, ha ribadito che “vogliamo mantenere e, laddove è possibile, migliorare il doveroso sostegno economico per i soggetti effettivamente fragili non in condizioni di lavorare: penso ai pensionati in difficoltà, agli invalidi, a cui va aumentato in ogni modo il grado di tutela, e anche a chi privo di reddito ha figli minori di cui farsi carico. A loro non sarà negato il doveroso aiuto dello Stato, ma per gli altri, per chi è in grado di lavorare, la soluzione non può essere il reddito di cittadinanza, ma il lavoro, la formazione e l’accompagnamento al lavoro”. Su queste parole, che hanno raccolto l’ovazione dell’intero centrodestra, anche quelli del Terzo polo sono scattati in piedi. Perché effettivamente l’assistenzialismo è una piaga della società moderna: specie per quei soggetti, al secolo “divanisti”, che si accontentano degli aiuti di Stato e non muovono un’unghia per cercarsi un’occupazione (neanche stagionale, come raccontano le cronache) o confermare la bontà del proprio ruolo sociale.
In Sicilia sono quasi 700 mila i beneficiari della misura introdotta nel 2018 dal governo gialloverde, di cui faceva parte anche la Lega. Anche nel corso dell’ultima competizione elettorale, l’Isola si è mostrata assai riconoscente del M5s e di Giuseppe Conte che, nei quartieri popolari di Palermo, veniva accolto come il “papà del Reddito”. Ed è proprio nella roccaforte grillina, la Sicilia, che l’Avvocato del popolo ha innescato la rimonta (si è persino aggiudicato due collegi uninominali che alla vigilia erano dati per persi). Ecco: Meloni ha innescato la quarta e se, come dice, è lì per “stravolgere i pronostici”, anche il Reddito – per come lo conosciamo oggi – rischia di vacillare: “Per come è stato pensato e realizzato il reddito di cittadinanza ha rappresentato una sconfitta per chi era in grado di fare la sua parte per l’Italia, oltre che per se stesso e per la sua famiglia”, ha detto la neo premier.
Divanisti e furbetti, che hanno alimentato la sfiducia e le perplessità, hanno i giorni contati. Per arrivare a fine mese possono solo sperare di trovare lavoro, anche se una buona fetta di questa platea non è “appetibile” agli occhi delle imprese: tre su quattro non ha mai avuto un contratto di lavoro dipendente nei tre anni precedenti, oltre il 70 per cento ha un titolo di scuola secondaria inferiore. “Serve colmare il grande divario esistente tra formazione e competenze richieste dal mercato del lavoro – ha insistito la premier – con percorsi formativi specifici, certamente, ma ancora prima grazie a una formazione scolastica e universitaria più attenta alle dinamiche del mercato del lavoro”. Magari rafforzando i Centri per l’Impiego, che nell’Isola solo di recente sono tornati ad assumere. Ma che nemmeno con l’ausilio dei navigator (oggi una platea di 300 persone, assai ridotta rispetto a tre anni fa) sono riusciti a garantire la transizione dalla fase-1 alla fase-2 del Rdc, quella delle politiche attive. “In media fanno un colloquio al giorno”, ha eccepito la Meloni.
Che pur senza mai nominare la Sicilia, l’ha tirata in ballo fuori parecchie volte durante il suo intervento. Ma nella melassa di retorica che molti fra gli addetti ai lavori – opposizione compresa – le imputano, non c’è per fortuna il richiamo al Ponte sullo Stretto, cavallo di battaglia del Ministro Salvini che conta di far partire il cantiere entro 5 anni, creando al contempo 100 mila posti di lavoro: “Il Sud non più visto come un problema, ma come un’occasione di sviluppo per tutta la Nazione – si è limitata a dire la presidente del Consiglio -. Lavoreremo sodo per colmare un divario infrastrutturale inaccettabile, eliminare le disparità, creare occupazione, garantire la sicurezza sociale e migliorare la qualità della vita. Dobbiamo riuscire a porre fine a quella beffa per cui il Sud esporta manodopera, intelligenze e capitali che sono invece fondamentali proprio in quelle regioni dalle quali vanno via. Non è un obiettivo facile, ovviamente, ma il nostro impegno su questo sarà totale”.
La retorica si è un filino accentuata parlando di lotta alla mafia, un tema ridotto a mere enunciazioni di principio sulla scorta di qualche esempio strappa-applausi. “Quando, dopo aver letto la lista dei Ministri, sono venuta a trovare il Presidente Fontana, un paio di giorni fa, sono entrata a Montecitorio e, quando ho trovato, all’inizio dello scalone e alla fine dello scalone, una foto di Paolo Borsellino, ho pensato che si chiudesse un cerchio. . Io ho iniziato a fare politica a 15 anni, come ormai molti sanno, all’indomani della strage di via D’Amelio (…) Il percorso che mi ha portato oggi a essere Presidente del Consiglio italiano nasce dall’esempio di quell’eroe”. Poi, citando ad uno ad uno, le vittime di Cosa Nostra (dai politici ai magistrati, passando per gli agenti della scorta e i sacerdoti come Pino Puglisi), la leader di Fratelli d’Italia ha spiegato che “la legalità sarà la stella polare dell’azione di Governo”. “Mi è sembrata la portavoce di un gruppo di cacciatori che garantisce per il benessere degli animali”, è stato il commento caustico dell’ex grillino Ignazio Corrao, europarlamentare dei Verdi””.
E ancora: “Affronteremo il cancro mafioso a testa alta, come ci hanno insegnato i tanti eroi che con il loro coraggio hanno dato l’esempio a tutti gli italiani, rifiutandosi di girare lo sguardo o di scappare anche quando sapevano che quella tenacia probabilmente li avrebbe condotti alla morte”, ha detto Meloni. Ma non c’è solo la mafia. C’è anche la corruzione. Che oggi ammorba la pubblica amministrazione a tutti i livelli, o, come in Sicilia, la Sanità, l’Eolico, i Rifiuti. Su questo bisogna imparare a vigilare, per bene, auspicando che le Regioni, quella siciliana in primis, facciano lo stesso.
Un passaggio è stato riservato anche all’economia del Mare, “che può e deve diventare un asset strategico per l’Italia intera e in particolare per lo sviluppo del meridione”. Ma qui è mancato un accenno – volutamente? – alle innumerevoli (sic!) possibilità prospettate dalla delega assegnata a Musumeci, neo ministro senza portafoglio. Meloni si è limitata a dire che il dibattito sui porti appassiona soltanto le opposizioni, e che nella sostanza non cambia nulla (rispetto a prima?). Matteo Salvini, a Porta a Porta, è stato ancora più preciso: il ministero delle Infrastrutture “si occupa di terra e di mare”. A chi gli domanda se quello del Mare toglierà la competenza al suo dicastero, ha risposto con un “assolutamente no”. Non se ne parla nemmeno…