Anche Renato Schifani sembra aver capito che il punto debole della Regione siciliana è rappresentato dai conti ballerini. Fra le prime insidie del suo mandato, infatti, c’è il giudizio di parifica che la magistratura contabile si appresta a pronunciare sul rendiconto 2020, l’ultimo disponibile. Anche se, in realtà, non si è ancora conclusa la lunga querelle riferita a quello precedente (anno 2019), che la Procura regionale della Corte dei Conti ha impugnato, citando Musumeci e Armao di fronte alle Sezioni riunite in composizione speciale, a Roma, per discutere di alcune irregolarità riscontrate.

Il lungo braccio di ferro tra i magistrati contabili e l’ex assessore all’Economia è stato il leit motiv degli ultimi cinque anni di governo. E ha finito per influire sulle tempistiche di approvazione della Finanziaria, consegnando ai posteri un record poco invidiabile: la Regione, per cinque anni di fila, non è riuscita ad approvare la Legge di Bilancio e di Stabilità entro la scadenza del 31 dicembre, e ha finito per affidarsi sempre all’esercizio provvisorio (con la spesa in dodicesimi e vincolata alle poste dell’anno precedente). Quest’anno, addirittura, per quattro mesi. In un paio di occasioni, inoltre, è precipitata in “gestione provvisoria”: cioè la fase in cui la spesa è bloccata del tutto, e si può provvedere soltanto al pagamento degli stipendi dei dipendenti regionali, e alle bollette della luce.

Non bisogna essere dei tecnici per capire che la situazione si è spesso rivelata al limite e che a risentirne, specie negli anni della pandemia, sono stati lavoratori e imprese che vedevano nel tesoretto di Mamma Regione una delle poche fonti di speranza per non sprofondare. Tutti, invece, ricorderanno i prodigi della Finanziaria di guerra (anno 2020), in cui la stragrande maggioranza delle misure fu sbloccata a distanza di mesi o anni. Alcune, invece, finirono per naufragare perché legate a un meccanismo di rimodulazione della spesa (i famosi fondi Poc) troppo complicato. Insomma: la Regione siciliana non è mai riuscita a sopperire con tempismo al grido di dolore dei suoi figli.

Ma torniamo alla parifica: un meccanismo che permette di cogliere le anomalie del bilancio – i buchi, gli errori – allo scopo di “sanare” i conti ed equilibrare entrate e uscite. Nel 2021 si è deciso di non attendere la pronuncia dei magistrati contabili, e di accantonare una quota per la copertura di eventuali disavanzi. Per legge si poteva fare, anche se la presidente facente funzioni della sezione di Controllo della Corte dei Conti, Anna Luisa Carra, aveva sventolato il cartellino giallo: “Le norme – aveva detto durante l’inaugurazione dell’anno giudiziario – prevedono che il rendiconto sia approvato per portare i saldi e i disavanzi. Ovviamente il legislatore può approvare quel che vuole. Certo è che in mancanza di un rendiconto il disavanzo è presunto e quindi il bilancio di previsione del 2021 si fonda su dati che non hanno certezza”.

Come se non bastasse, il tira e molla sul rendiconto 2019 proseguì. Ottenuto il giudizio di parifica (in ritardo e pieno di rilievi), l’assessorato all’Economia apportò le correzioni richieste, senza però attendere l’esito del ricorso presentato dal pm Pino Zingale (e legato a un supplemento d’indagine romana). E così il rendiconto aggiornato, alla fine di settembre, fu trasferito all’Assemblea regionale per il voto conclusivo. Nonostante l’ennesima diffida, questa volta proveniente dai vice procuratori generali Adelisa Corsetti e Sabrina D’Alesio che segnalavano “l’intento dell’amministrazione regionale a perfezionare il procedimento legislativo regionale senza attendere la pronuncia di codesto Supremo Consesso. La Procura generale evidenzia che l’eventuale approvazione del rendiconto regionale nelle more della decisione sul ricorso proposto darebbe luogo a un vulnus di tutela delle ragioni sottostanti alla proposizione del gravame”. Ma la partita è andata avanti. Peggio: non è mai terminata. Tant’è che sulla testa di Schifani pendono due rendiconti “sospetti”, e non uno soltanto.

A oltre un anno di distanza, però, la situazione è diversa: non c’è la parifica, ma nemmeno il governo. Il rendiconto 2020 è stato approvato dalla giunta lo scorso febbraio e la Corte dei Conti ha avuto tutto il tempo per ragionarci su. Il fatto che non si esprima potrebbe dipendere dai riscontri ottenuti finora che, secondo i bene informati, lascerebbero più di un interrogativo. Ad ogni modo, Schifani non ha ancora fatto accenno alla sua giunta, tanto meno al prossimo assessore all’Economia. Il quale avrà l’onere di rimettere mano ai conti e di curare le ferite (economiche e istituzionali) del passato. E di scrivere una Finanziaria che sia basata sulle effettive esigenze delle casse regionali, oltre che dei cittadini, tralasciando formule e alchimie varie. Negli ultimi tempi, ad esempio, Armao aveva sperimentato il congelamento delle risorse in attesa di sbloccare gli accordi di finanza pubblica con lo Stato. I soldi erano appostati, ma non si potevano spendere fino al pronunciamento di Roma. Un modo utile per confezionare manovre incerte, scritte sulla sabbia.

Una cosa, però rimarrà simile. Almeno in questo primo spezzone di legislatura. E cioè che nemmeno Schifani, con tutta la buona volontà di questo mondo, riuscirà ad approvare Bilancio e Finanziaria prima della fine dell’anno. La Regione andrà ancora una volta in esercizio provvisorio e non riuscirà a rispondere alle esigenze del territorio, dei lavoratori, delle imprese, delle associazioni, del terzo settore. Non riuscirà ad ovviare a una crisi sempre più profonda, che colpisce i tessuti deboli della popolazione, e soprattutto i giovani. Quelli che vorrebbero ancora credere nel futuro senza dover passare, per forza, dai sussidi.

L’ultima beffa, però, è stata segnalata da Ignazio Corrao, ex europarlamentare del M5s (oggi ai Verdi): “L’Avviso 22 ha calpestato i sogni e i diritti di oltre 1700 giovani in Sicilia e dimostrato come i fondi UE per l’inserimento lavorativo vengano in realtà usati per lo sfruttamento lavorativo – ha esordito il parlamentare di Alcamo -. La misura emanata dalla Regione e finanziata con il FSE (Fondo sociale europeo) per un totale di 30 milioni, doveva favorire l’ingresso nel mondo del lavoro con l’obiettivo dell’assunzione. E invece solo 170 su 1700 sono stati assunti dalle aziende dopo il tirocinio, circa il 10%”. Il motivo? “L’uso indiscriminato di molteplici bandi similari (Garanzia Giovani 2, Avviso 33, PNRR) che di fatto assicurano continua manodopera a costo zero alle aziende, determinando di fatto lo sfruttamento lavorativo dei giovani. Gli stessi fondi che dovrebbero garantire l’occupazione stabile, in realtà favoriscono lo sfruttamento lavorativo dei giovani, che da mesi aspettano ancora l’indennità dalla Regione”. Sipario.