Nella partita interna al nascituro governo di centrodestra, qui in Sicilia, restano alcuni aspetti da chiarire. Uno di essi riguarda Forza Italia, un partito che nella fase finale della scorsa legislatura è stato condizionato da una guerra interna mai vista prima. I “musumeciani”, capeggiati da Marco Falcone, a un certo punto hanno provato addirittura a rovesciare il “regime” di Micciché, nominandosi un nuovo capogruppo all’Ars (Caputo). Ma poi, regolamento alla mano, hanno dovuto desistere. Nemmeno un paio di missioni palermitane di Licia Ronzulli, l’ombra del Cav., hanno riportato serenità all’interno di un partito spaccato in due e che, nonostante tutto, nelle urne è riuscito a conseguire un risultato solido (poco meno del 15%). Talmente solido da insidiare il primato di Fratelli d’Italia, rimasto davanti per pochi decimali.
Il nuovo terreno di scontro potrebbe riguardare Schifani e Miccichè, anche se i due smentiscono con convinzione. Eppure sembra chiara la volontà dell’attuale coordinatore: non mollare il seggio palermitano fin quando il neo governatore non avrà assegnato a FI, e a una persona indicata da Miccichè medesimo, lo scranno della sanità. Poi sarà libero di andarsene al Senato. Un ingombro in meno per il successore di Musumeci, che non ha ancora sciolto la riserve sugli assessori, tanto meno sulle prime cose da fare appena insediato (parlare di semplificazione burocratica o creazione di nuovi posti di lavoro è un po’ generico). La proclamazione è in programma oggi, mentre domani è il momento più iconico: il passaggio di consegne con Musumeci.
Ma a tenere banco, nelle ultime ore, sono le parole di un altro big delle preferenze: Edy Tamajo. Dopo la bocciatura di Luigi Genovese, che cinque anni prima aveva incassato 17 mila voti esordendo all’Ars proprio coi colori di Forza Italia (prima di abbandonarla), il parlamentare di Mondello – assieme al catanese Luca Sammartino – rappresenta il nuovo signore delle preferenze. Con un seguito importante, oltre 21 mila voti, e ambizioni necessariamente alte. Per Tamajo si era parlato di un assessorato (come minimo), ma il diretto interessato ha sempre fatto trapelare una certa curiosità per il ruolo di vicepresidente dell’Ars (dopo essere già stato segretario nell’ultimo Consiglio di presidenza). Tamajo, che ha una tradizione familiare importante e il cui padre è assessore a Palermo nella giunta Lagalla, ha portato tanti amici dentro Forza Italia, compresi gli ex di Sicilia Futura che, assieme a lui e D’Agostino, nel 2017, ammiccavano al Pd prima di transitare con Renzi in Italia Viva.
Micciché e Tamajo vantano ottimi rapporti. Già dai tempi di Grande Sud. E il primo s’è assunto la responsabilità di dare spazio all’amico – prima offrendo una federazione all’ex premier con una capatina a Firenze, poi facendosi scavalcare nel computo delle preferenze – pur di garantire a Forza Italia un risultato ampiamente in doppia cifra. Solo che adesso si passa all’incasso, e Tamajo ha bisogno di far fruttare il suo risultato. Come? Sgomitando. E così si arriva alle parole di ieri. Un encomio a Gaetano Armao, primo competitor interno del coordinatore di Forza Italia, già archiviato dagli elettori il 25 settembre, quando ottenne il 2% da candidato “calendiano” del Terzo Polo. L’occasione si è presentata parlando di precari: “La stabilizzazione degli ex Pip ha ridato dignità a un bacino di lavoratori che da oltre 20 anni è stato illuso e mortificato – ha detto Tamajo -. Dal Consiglio dei ministri, tenutosi a Roma, si è appreso che la norma, mai è stata oggetto di valutazione di impugnativa, né di censura da parte del governo nazionale”.
Poi è andato oltre: “Si va avanti dunque con la norma firmata dall’assessore regionale all’Economia Gaetano Armao, al quale va riconosciuto l’impegno e la dedizione in merito a questa vertenza”. Un messaggio cifrato suscettibile di varie interpretazioni. Con Micciché costretto a ingoiare l’ennesimo boccone amaro. L’uscita dell’ex Sicilia Futura, infatti, è paragonabile a quella di Schifani, che il 15 settembre scorso, in piena campagna elettorale, si precipitò a Catania, a un convegno dell’assessore Razza, per lodare il lavoro del governo uscente in materia di sanità. Che fino al giorno prima Micciché aveva ripudiato in tutte le salse, arrivando a pretendere l’incarico per sé e il suo partito.
E’ come se i pezzi grossi di Forza Italia trovassero sponda nei principali competitor di Micciché – chi volontariamente, chi meno – e costringessero il vicerè berlusconiano a un supplemento d’indagine sul loro conto. Della serie: non ci può fidare più di nessuno. Tamajo ha tutto il diritto di pensarla come vuole sugli ex Pip, e di scegliere chi lodare. Ma il suo nome, negli ultimi tempi, ha preso a circolare per una possibile successione nel ruolo di coordinatore regionale degli azzurri, posizione che Micciché aveva assicurato di voler ricoprire fino alle elezioni. Salvo ripensamenti. E’ chiaro che un trasferimento a Roma, specie con un ruolo di rappresentanza del gruppo di FI a Palazzo Madama, richiederebbe un certo dispendio di energie. Ma lasciare il partito in balia di se stesso, in una terra foriera di enormi soddisfazioni elettorali, non è una decisione scontata né semplice. C’è dietro il lavoro di anni. “Io vado a Roma soltanto se ho la certezza che in Sicilia si cambia”, aveva detto il presidente dell’Ars in una intervista a Repubblica.
Ma a scottare non è soltanto la poltrona di piazza Ottavio Ziino, sede dell’assessorato alla Salute. In questa partita a scacchi, da cui Micciché è abile a far trapelare poco, potrebbe avere un ruolo determinante anche la precarietà dei rapporti dentro il suo partito. Micciché può contare almeno sulla metà più uno dei componenti del gruppo parlamentari (resta il dubbio di Riccardo Gallo e di Margherita La Rocca Ruvolo, che qualche mese fa gli avevano voltato le spalle), mentre gli altri – comprese le new entry Gennuso e Vitrano – secondo Repubblica sarebbero pronti a fare asse con Schifani (e Falcone) per portare avanti provvedimenti in linea con l’ultimo governo Musumeci (ma con un po’ dialogo in più per evitare di schernire il parlamento e le opposizioni).
Tra questi estremi c’è Edy Tamajo: uomo d’equilibrio se ce n’è uno; ma con le logiche ambizioni di chi deve mettere a frutto il consenso ricevuto. Ventunomila voti sono un bottino importante da amministrare. Pensate che Armao, con 1.200, è pure riuscito a guadagnarsi dei complimenti.