Per Schifani la partita per la definizione della giunta è molto più complessa di come sembra. Fino a qualche settimana fa il governatore diceva di volersi affidare alle competenze e non al bilancino. Ma sulla scelta gravano le ‘pretese’ dei partiti che, prim’ancora della fine dello scrutinio dei voti, sembrano avere individuato le proprie priorità: “Vogliamo Attività produttive, Agricoltura, Infrastrutture e Sanità”, ha detto il coordinatore di Fratelli d’Italia per la Sicilia orientale, Salvo Pogliese. Desidera altro? Sul piatto c’è pure la presidenza dell’Ars, che Gianfranco Micciché ha scelto di cedere agli alleati-rivali dopo aver tagliato fuori Musumeci: se la giocano Alessandro Aricò e Gaetano Galvagno (con una sottile differenza: Aricò rappresenta le new entry di Diventerà Bellissima, Galvagno lo zoccolo duro dei patrioti rimasti, e non sempre i desiderata coincidono).
Sbaglia, però, chi crede che ruoti tutto attorno alla sanità. Conta, certo. E’ importantissima. E ovviamente contesa. Rappresenta lo status quo di un governo che non ha concesso sconti (agli alleati). Fino a ieri l’assessore alla Salute Ruggero Razza ha provato a far pesare “le migliaia e migliaia di lavoratori che hanno trovato stabilità e gratificazione, gli ospedali aperti e quelli ammodernati”, ma anche il fatto di aver pensato “agli ultimi, intendendo il diritto alla salute come diritto fondamentale da promuovere e garantire”. Basterà per tenersela? Forse… Al convegno di Catania dello scorso 15 settembre Schifani ha promesso al delfino di Musumeci, non ricandidato, che avrebbe fatto tesoro del suo lavoro; che lo avrebbe richiamato a palazzo d’Orleans per consultarsi sullo stato dell’arte e per assorbire, come una spugna, i suoi consigli. Che magari lo avrebbe coinvolto nella scelta del successore. Ma questo significa allontanarsi dall’unico obiettivo dichiarato di Miccichè: ottenere la delega. Il coordinatore di FI ha contestato per tutti e cinque gli anni la gestione “dispotica” di Razza e soci, lamentando una scarsa connessione col mondo delle professioni e soprattutto con i pazienti, sempre più snervati da liste d’attesa e disservizi.
Non è chiaro come finirà. E il rischio di una frana è sempre dietro l’angolo, specie se le richieste di Pogliese si rivelassero concrete. Schifani, il quale sperava che tutte le liste collegate superassero lo sbarramento, ora dovrà essere bravo a gestirle. Ma per fare contenti tutti – compresi la Lega, gli Autonomisti e la DC di Cuffaro – dovrà smontare pezzo dopo pezzo l’apparato costruito attorno alla confraternita catanese del governatore uscente, che in questi anni ha affidato i posti di comando ai propri fedelissimi. Il sottogoverno, in questa partita a scacchi, pesa tanto quanto l’esecutivo. Prendete la sanità: il 31 dicembre scadono la maggior parte dei commissari nominati nelle Asp e negli ospedali. Si tratta, per lo più, delle proroghe accordate ai vecchi direttori generali: per la legge blocca-nomine fatta approvare dall’Assemblea, che sarebbe rimasta in vigore per gli ultimi 180 giorni della legislatura, non se ne potevano nominare di nuovi. Ci saranno decine di caselle da riempire.
Ma il valzer riguarda anche il fitto sottobosco delle partecipate regionali. A cominciare dall’Irfis, la banca della Regione, guidata dall’avvocato catanese Giacomo Gargano. Un fedelissimo di Musumeci, al quale è stata ‘delegata’ la gestione di un sacco di risorse durante e dopo la pandemia (compresi i fondi per l’editoria). La durata dell’incarico di Gargano è fissata all’approvazione del bilancio 2023. Anche il direttore del Cefpas Roberto Sanfilippo, un altro esponente della galassia musumeciana, è in carica dal novembre 2018: nel frattempo il centro d’eccellenza per la formazione di medici e operatori sanitari ha drenato risorse e funzioni, forma i nuovi manager, gestisce i soldi del Pnrr, sviluppa studi per la prevenzione di pandemie ed epidemie. Si candida a diventare un modello: la punta di diamante della Sicilia intesa che Musumeci avrebbe voluto trasformare in hub sanitario.
Anche la Sinfonica, che ha vissuto una delle sue stagioni peggiori, dovrà uscire in qualche modo dall’impasse garantita dal commissario straordinario Nicola Tarantino, ex ufficiale della Guardia di Finanza e uomo di Manlio Messina, che durante la sua gestione ha fatto il bello e il cattivo tempo. Alla FOSS il Cda è decaduto da quasi due anni, nell’indifferenza generale. E intanto gli orchestrali manifestano insofferenza: sulle facciate del Politeama, nel corso dell’ultimo comizio elettorale di Giorgia Meloni (nell’adiacente piazza Castelnuovo), è apparsa una bandiera di Fratelli d’Italia. Segno della deriva. Tra i numerosi carrozzoni da riabilitare – ma ce ne sarebbero tantissimi da chiudere e da accorpare – c’è pure l’Ast, dove Armao ha nominato di recente (in barba a tutti i divieti) il suo ex capo di gabinetto, Mario Parlavecchio, nelle funzioni di direttore generale: il precedente, Ugo Andrea Fiduccia, era stato arrestato nell’ambito dell’operazione Gomme Lisce con l’accusa di corruzione. Sicilia Digitale, che era finita sull’orlo del baratro a causa di un contenzioso coi vecchi soci privati (e che, per inciso, non becca più una commissione da parte di mamma Regione), è stata affidata alle cure di Mario Bellavia: staranno funzionando? Ma c’è anche l’Esa, l’Ente di sviluppo agricolo, che Musumeci – dopo la minaccia di soppressione – ha assegnato a Giuseppe Catania, altro uomo di fiducia, presidente dell’assemblea regionale di Diventerà Bellissima.
All’Ems, l’ente minerario in liquidazione da quasi cinque anni, è rimasta nelle vesti di commissario liquidatrice Anna Lo Cascio, da cui era partita una delibera sospetta diretta a una finanziaria londinese, per 20 milioni di euro. Un azzardo bloccato coraggiosamente da una funzionaria delle Partecipate. Tra i fedelissimi del ‘cerchio magico’ c’è anche il soggetto attuatore per l’emergenza Covid, ing. Tuccio D’Urso, che dopo aver lasciato il dipartimento Energia per raggiunti limiti d’età, s’è riscoperto abile nel potenziamento degli ospedali: un ex dirigente prestato alla politica che in questi mesi di campagna elettorale – dopo aver ricevuto una mozione di censura da Forza Italia all’Ars – ha mostrato la propria vicinanza a Razza e Musumeci con frequenti post di sostegno.
Per Schifani non sarà semplice andare a intaccare le posizioni di potere acquisite, per le quali Nello & Co. hanno lavorato alacremente. Ma sarà, al contempo, doveroso, investire anche gli altri partiti dei ruoli di responsabilità, pena la precarietà dei rapporti e i musi lunghi che hanno contrassegnato gli ultimi anni della confraternita. Magari affidandosi alle competenze, per davvero, e non al bilancino. Sarebbe un enorme passo avanti.