In quel fast food del riposo che è il week end, anche il poco tempo a disposizione dev’essere consumato come un hamburger di mcDonald’s, cioè massimizzato, gonfiato di proteine e zuccheri e ingurgitato velocemente, per il massimo effetto burp.

Il week end ritirato, di vacanza nel senso di stacco temporale dagli impegni, di recupero delle energie e insomma di tutte le cose che sappiamo, è stato sostituito dal tour de force della pianificazione, degli inviti e del loro compimento in una cena per otto minimo, degli spostamenti, delle valigie e perfino delle provviste acquistate dal pastaio del mare, tanto migliore di quello di città, comprensivo di fila di quaranta minuti per tre etti di pansouti e un vasetto di salsa di noci e inevitabile trasporto in frigoborsa badando bene a che non si schiaccino.

Il week end, in particolare quello tardo primaverile in cui stare a casa pare peccato mortale, si è trasformato in fonte di acutissime ansie sociali e familiari, talvolta incrociate e in combinato disposto. In tempi di social media, dormire per quarantotto ore di fila è infatti peccato mortale, degno di quello che in gergo social si definisce shaming, cioè lo “svergognamento”: ma come, fai niente? Posti niente? E come mai? Stai male? Per poter staccare, darsi alla macchia o per meglio dire al letto, bisogna dichiararsi urbi et orbi completamente esausti. Farlo con un annuncio pubblico, a reti fb e instagram unificate, e via messaggio diretto al consorte. Che comunque se ne avrà a male