I bulli e i balilla passano, i pagnottisti restano. Gaetano Armao – assessore al Bilancio, così potente da potersi intestare impunemente uno scandalo come quello dell’Ente Minerario – per cinque anni ha piritolleggiato, con i suoi acuti da tenore, tra gli stucchi della Presidenza della Regione e i mosaici dorati di Palazzo dei Normanni. Ma per lui il vento è cambiato e ora, per raggranellare qualche voto e coltivare la speranza di tornare a galla, è costretto a cantare nei matrimoni. L’ho visto l’altro ieri davanti al Teatro Massimo mentre arringava quattro amici al bar e sinceramente mi si è stretto il cuore. Era senza cravatta, il microfono gli gracchiava tra le mani, impapocchiava aneddoti su Sciascia e Craxi, Calenda lo guardava con malcelata compassione, Faraone fingeva di leggere gli ultimi messaggi sullo smartphone, la Bellanova stava per addormentarsi. Una pena infinita.
Cambio di passo anche per Manlio Messina, il balilla dell’assessorato al Turismo, meglio conosciuto come il Cavaliere del Suca per il suo elegantissimo linguaggio politico e culturale. Per tre anni – è entrato a Palazzo d’Orleans dopo la defenestrazione per mano ignota del bravo Sandro Pappalardo – ha speso tutto ciò che c’era da spendere, ha indossato la livrea per meglio servire il cerchio magico di Giorgia Meloni, ha dirottato fior di milioni nelle casse dell’editore Cairo e ha lucidato anche i bilanci di Mediaset. Si è guadagnato i suoi galloni. Al punto che Ignazio La Russa e Francesco Lollobrigida, i suoi padrini politici, gli hanno regalato un seggio a Montecitorio. Un ricovero e nulla più. Avrà il titolo di onorevole ma non sarà più “Mister Spendi e Spandi”. Non potrà più finanziare mostre inutili e costosissime per il capriccio di bivaccare alla Croisette di Cannes durante il Festival del Cinema o essere applaudito nei gala di Taormina. Altra pena infinita.
Per non dire di Ruggero Razza, il terzo uomo della confraternita alla quale Musumeci ha ceduto tutti i poteri e gli strapoteri della Regione. Escluso dalle candidature di Fratelli d’Italia perché impresentabile – un processo in piedi e un passo falso ancora da chiarire: quello dell’Oasi di Troina – punta le sue carte sulla riconferma della moglie, l’ex grillina Elena Pagana, tra i nuovi deputati dell’Ars. O su un incarico di sottogoverno. Chi vivrà vedrà.
Restano e sperano di rientrare tranquillamente nel giro, invece, i pagnottisti. Una categoria di servizio da non confondere comunque con Roberto Ginex, l’ex segretario del sindacato dei giornalisti selvaggiamente attaccato e insultato ieri da Cateno De Luca. L’ex sindaco di Messina – funambolico candidato alla Presidenza della Regione – gli contesta di avere utilizzato la sua carica all’Assostampa per ottenere da Renato Schifani, anche lui in corsa per Palazzo d’Orleans, l’incarico di portavoce. Certo, il povero Ginex un qualche conflitto d’interesse avrebbe potuto evitarlo: ha servito il Balilla al Turismo e il gruppo parlamentare di Fratelli d’Italia all’Assemblea regionale; e contemporaneamente scriveva anche, con un particolare omaggio all’obiettività dell’informazione, gli articoli di cronaca regionale per conto dell’Ansa, agenzia nazionale di stampa. Ma lui si guadagna semplicemente il pane.
I pagnottisti di grosso calibro che ronzano attorno a Renato Schifani sono ben altri. Sono i vedovi di Armao: come quel Giovanni Randazzo, intermediario di affari, che aveva congegnato l’azzardo con il quale la liquidatrice dell’Ente Minerario voleva trasferire venti milioni a Londra: azzardo fallito all’ultimo momento perché il funzionario dell’assessorato al Bilancio, preposto alle Partecipazioni regionali rifiutò di controfirmare la delibera della signora Anna Lo Cascio, nominata al vertice dell’Ems in disarmo proprio da Armao. O come il potentissimo Cefpas di Caltanissetta, un centro di formazione per i camici bianchi di ogni genere e grado che Ruggero Razza, imperatore della Sanità, ha rivestito d’oro e diamanti, di zaffiri e rubini: “Razza che vai, Cefpas che trovi”, si diceva e si dice tuttora nei corridoi di Palazzo dei Normanni.
Poi c’è lo squadrone dei pagnottisti d’alto bordo, esperti di navigazione con tutti i venti e in tutti i mari. Come quelli che hanno amministrato la pubblicità multimilionaria del Turismo. O quelli che per cinque anni hanno calato il secchio nel pozzo senza fondo della sanità, a cominciare dalle cliniche private; o i leccaculisti di inguardabili giornali via web che, oltre ai soldi ottenuti da Razza per fantomatiche convenzioni col mondo della salute e del benessere, grattano un’altra montagna di euro dai contributi per l’editoria gestiti dall’Irfis: alcuni facendo da buca delle lettere per gli ominicchi della politica il cui obiettivo è solo quello di piazzare veline; altri dichiarando una ventina di redattori inesistenti e milioni di lettori farlocchi in Cecoslovacchia. Banditi e nulla più.
La Regione, si sa, per molti truffaldi e molti avventurieri è solo una immensa prateria dove dare la caccia ad affari e privilegi. Il recupero di Roberto Ginex, il piccolo pagnottista che ha svernato per tre anni col Balilla e ora ha trovato un posto con Schifani, certamente non è uno scandalo per il quale strapparsi le vesti: tutti abbiamo diritto a un lavoro e a una pagnotta. Potrebbe però essere un segnale per vedovi, clienti e parenti che ancora piangono e si disperano per la detronizzazione di Razza e Musumeci, di Armao e del Balilla. Pulsate et aperietur vobis.
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Nella foto: Renato Schifani, candidato del centrodestra alla presidenza della Regione