La curiosità di testare il M5s in Sicilia – una volta feudo, oggi chissà – è legata a un paio di fattori: il primo è l’alleanza traballante col Pd, che Conte, l’ha ribadito oggi al Fatto quotidiano, considera archiviata. La seconda è la scure del tetto ai due mandati, confermata dall’Avvocato su diktat di Grillo, che taglierà fuori dall’Assemblea regionale alcuni fra i migliori rappresentanti dell’universo 5 Stelle. E anche alcuni fra i più quotati, come Giancarlo Cancelleri, che avendo esaurito il bonus delle due apparizioni parlamentari, si era già ritirato dalla corsa alle primarie del campo progressista.
In attesa di trovare nuovi esponenti – uno potrebbe essere l’ex sindaco di Ragusa, Federico Piccitto, che ha alle spalle un solo mandato a palazzo di Città – il Movimento dovrà mettersi alla ricerca di nuova classe dirigente che sia capace di sostituire, ad esempio, Giampiero Trizzino, specialista nei temi ambientali (ha appena ottenuto, nell’ambito delle variazioni di Bilancio, il riconoscimento di un Fondo da 50 milioni per i comuni virtuosi con la differenziata), o altri deputati della prima ora che all’Ars hanno sempre dimostrato maturità istituzionale: ad esempio Francesco Cappello, di Caltagirone, o la messinese Valentina Zafarana. Rimarranno fuori anche la pasionaria catanese Gianina Ciancio, il siracusano Stefano Zito e il palermitano Salvo Siragusa.
Bisogna ricostruire. Ma sarà difficile per i Cinque Stelle, che nell’ultima legislatura hanno vantato il gruppo parlamentare più numeroso, confermare il boom delle passate Regionali, dove grazie all’ottimo risultato ottenuto da Cancelleri piazzarono a Palazzo dei Normanni addirittura 20 deputati (prima della scissione di Attiva Sicilia che ha ridotto il contingente a 15). I numeri di allora non ci sono più, anche se la Sicilia, probabilmente, continuerà ad essere fra le terre più generose per il partito di Conte. Anche perché è la seconda per numero di beneficiari del Reddito di cittadinanza e, alla prova del voto d’opinione, l’assistenzialismo potrebbe ancora avere la sua importanza (Renzi fu il primo a definirlo “voto di scambio istituzionalizzato”). Non è successo alle Amministrative di Palermo, dove le sfilate di Conte nei mercati popolari gli hanno portato in dote appena tre consiglieri; tanto meno a Messina, dove il M5s, nonostante il comizio di piazza Cavour, il M5s è rimasto fuori dal Consiglio comunale.
I tempi sono radicalmente cambiati rispetto allo sbarco di Grillo che ha attraversato lo Stretto a nuoto; o dai comizi in cui il comico, Cancelleri, Di Maio e D Battista si cingevano forte in nome del cambiamento e della rivoluzione. Oggi il profilo moderato e incerto di Conte, diventato uomo di partito dopo aver amministrato da premier la pandemia, non raccoglie gli stessi proseliti. E anzi, agli occhi della base (esistono ancora i Meetup?), l’Avvocato ha tergiversato troppo nelle scelte che riguardavano la Sicilia, tanto da offrire la sensazione che “Giuseppe non comanda manco a casa sua”. I rallentamenti sulla scelta del referente regionale, ad esempio, ha costretto vari rappresentanti del MoVimento a sedere al tavolo delle trattative col Pd per puntellare le alleanze nei Comuni, mentre la scelta di Nuccio Di Paola, uomo vicino a Cancelleri, ha finito per spiazzare la corrente che al sottosegretario cominciava a guardare come un pezzo d’antiquariato, non più in grado di offrire quel cambio di passo in cui qualcuno, tuttora, si sforza di credere. E ha contribuito all’addio di Dino Giarrusso, la cui fuoriuscita, assiema quella di Ignazio Corrao (consumata a fine 2020), ha privato il Movimento dei due europarlamentari eletti a Bruxelles.
Anche la scelta (perdente) di Barbara Floridia alle primarie di coalizione, un “papessa straniera” che nell’Isola in pochi conoscevano davvero, ha provocato i malumori della base e un disimpegno assai evidente da parte di alcuni deputati e di alcuni territori. La sconfitta della sottosegretaria all’Istruzione, che priverà il M5s di un proprio candidato a Palazzo d’Orleans, adesso è l’ultimo dei problemi. Il primo è capire se e come coltivare questa alleanza col Partito Democratico, che si tradurrà nel sostegno (o meno) a Caterina Chinnici.
Dopo aver spiegato, immediatamente a ridosso delle Presidenziali, che “per noi quello che succede a Roma succede a Palermo”, e dopo aver incassato il foglio di via da Enrico Letta, che ha depennato il M5s dalla lista dei possibili alleati alle Politiche, ora Giuseppe Conte è all’angolo. E in un’intervista concessa al Fatto Quotidiano, ha di fatto archiviato le speranze del Pd e di Caterina Chinici, che dovranno inventarsi altri sostenitori: “Nelle amministrazioni già insediate – ha detto il capo politico – per noi è prioritario rispettare il voto e il programma presentato in campagna elettorale. Laddove questi percorsi non si sono ancora compiuti vale la coerenza con i cittadini. Non siamo disponibili ad assecondare politiche dei due forni facendo finta che quello che accade oggi a Roma non incida domani sui territori”. Pd e 5 Stelle amministrano insieme parecchie città, come Termini e Caltagirone. Ma alla Regione sarà tutta un’altra storia. Il segretario del Pd, Anthony Barbagallo, aveva già annusato il gran rifiuto: “Alla base dell’alleanza – era stato l’avvertimento – c’è una ‘obbligazione politica’, che prevede l’appoggio del vincitore. Non stiamo mica giocando. I siciliani hanno scelto, e noi pretendiamo che Caterina Chinnici venga sostenuta anche dal M5S”. Vatti a fidare dei Cinque Stelle…
E’ possibile, invece, che uno fra Di Paola e Sunseri, i duellanti della prima ora, possano tornare in corsa per la presidenza. O che Barbara Floridia venga scomodata dal suo seggio palazzo Madama, dove aspira ovviamente alla riconferma (avendo fatto un solo mandato), per intestarsi una battaglia già persa (e comunque divisiva). In questo baillame di problemi non si intravedono soluzioni, e il M5s – che nel 2017 aveva realizzato il cappotto del 28-0 negli uninominali – nel frattempo dovrà pensare alla composizione delle liste. Fra i deputati e i senatori mandati a Roma cinque anni fa, pochissimi sono rimasti ancorati alla terra d’origine. Altri sono riapparsi sporadicamente, magari per proporre qualche candidatura ardimentosa (come Miceli a Palermo); altri ancora (come il messinese Francesco D’Uva) si sono staccati assieme a Di Maio. Insomma, diventa sempre più difficile, nel nome di “santa poltrona”, individuare davvero chi a cuore le sorti di questa terra. Ma almeno su questo fronte i grillini sono in ottima compagnia.