Fino a qualche settimana fa sembrava una questione di “Musumeci o morte”. Ma al primo banco di prova l’affaire Sicilia è stato derubricato a una cosuzza locale. Di secondaria importanza. Che non stimola gli appetiti dei big nazionali quanto l’indicazione del prossimo premier o la spartizione dei collegi. Ne è prova il fatto che ieri, a Montecitorio, la parola ‘Sicilia’ non è mai venuta fuori. Salvini è andato via prima per la festa di compleanno della compagna. Berlusconi, indispettito per non aver potuto intrattenere gli ospiti nella location di sempre, la sua Villa Grande, ha lasciato con la promessa di Forza Italia al 20 per cento. Nessuno, neppure la Meloni, si è curato degli ultimi punti all’ordine del giorno, comprese le Regionali.
Approfondire la tematica avrebbe provocato qualche naturale fibrillazione. Il summit era andato talmente bene che le solite impuntature rischiavano di rovinare tutto. Così la coalizione ha preferito temporeggiare. Una decisione su Musumeci potrebbe arrivare entro il weekend, anche se l’asse Salvini-Berlusconi, rafforzato dalla presenza a Roma di Miccichè, Minardo e Lombardo, è un segnale inequivocabili per le sorti del governatore, sempre più distante dal suo obiettivo. La Meloni potrebbe notificarglielo nei prossimi giorni, dopo aver consumato un ultimo passaggio con gli alleati (ritrovati). Ma la leader di FdI, nel vertice di mercoledì, ha già raggiunto due importanti risultati: il primo è il mantenimento delle regole del gioco, che prevedono la possibilità di esprimere il premier per il partito che avrà riportato più voti (e il suo, nei sondaggi, prevale nettamente). Il secondo è aver definito la griglia dei collegi facendo la media dei sondaggi: anche qui FdI ha ottenuto 98 seggi (uninominali) rispetto ai 70 della Lega e ai 42 di Forza Italia (assieme all’Udc).
Giorgia ha vinto su tutta la linea. Per questo appare improbabile una forzatura sulla Sicilia, considerando il fatto che Musumeci non è neppure un patriota della prima ora. Solo di recente ha aderito a Fratelli d’Italia e sta provando a utilizzare l’autobus migliore per giungere alla meta. Alla Meloni potrebbe fare comodo, ma non è per la sua causa che farà vacillare il resto degli accordi. La decisione sul prossimo candidato del centrodestra, in Sicilia, potrebbe rimbalzare nuovamente sul tavolo regionale, come preferisce Salvini. Altrimenti, nelle logiche di spartizioni prevalenti, potrebbe andare a Forza Italia, considerato che la Meloni punta ad avere il Lazio per accontentare il fidatissimo cognato Francesco Lollobrigida. Con buona pace di Ignazio La Russa, che continua a spingere per il bis di Musumeci, la storia è a un passo dal prendere un’altra piega.
Ciò che rimane di questa due giorni è, però, la sensazione di una Sicilia fanalino di coda. Passata, in poche settimane, dall’essere determinante per gli equilibri di coalizione, fino a non contare praticamente più. Che la decisione per il futuro venga assunta a Palermo, anziché nella Capitale, potrebbe essere anche un bene. Al di là dello Stretto non conoscono fino in fondo le abilità amministrative di Musumeci, Messina, Armao. Ma la Meloni, a margine delle trattative, forse ha capito che non è conveniente metterci la faccia. E impuntarsi per una classe dirigente che non ha dimostrato di meritare una riconferma. Sul piatto, oltre alla candidatura di Stancanelli (che in queste ore dovrebbe rientrare da una settimana di vacanza in Sardegna), ci sono quelle di Stefania Prestigiacomo e di Nino Minardo, che però avrebbe preferito avere più tempo a disposizione.
Ne avrebbe ancora un po’, dato che la mancata ricandidatura di Musumeci comporterebbe le mancate dimissioni e, di conseguenza, l’addio all’Election Day del 25 settembre (che i partiti del centrodestra, in Sicilia, non vogliono). La prima finestra utile per il voto è quella del 9 ottobre, l’ultima del 20 novembre. Che a questo punto diventa possibile. Anche se Nello spera sempre – anche se in maniera più dimessa – che ci sia qualcuno pronto a sguainare la spada per difendere la sua causa.
L’esito del vertice del centrodestra
“Coi leader del centrodestra abbiamo raggiunto pieno accordo e avviato il lavoro con l’obiettivo di vincere le prossime elezioni politiche e costruire un governo stabile e coeso, con un programma condiviso e innovativo”. E’ quanto riporta una nota del centrodestra al termine del summit che si è tenuto mercoledì pomeriggio, fino a sera inoltrata, a Montecitorio. Erano presenti Giorgia Meloni e Ignazio La Russa per FdI, Salvini, Giorgetti e Calderoli per la Lega; Berlusconi, Tajani e Ronzulli per Forza Italia; Antonio De Poli per l’Udc; Maurizio Lupi per Noi con l’Italia e Luigi Brugnaro per Coraggio Italia.
“La coalizione proporrà al presidente della Repubblica quale premier l’esponente indicato da chi avrà preso più voti. È stata trovata un’intesa per correre insieme nei 221 collegi uninominali, selezionando i candidati più competitivi in base al consenso attribuito ai partiti. Il centrodestra – si legge ancora nel comunicato – presenterà anche una lista unica nelle Circoscrizioni Estere e ha istituito il tavolo del programma che si insedierà nelle prossime ore. L’unità del centrodestra è la migliore risposta possibile alle accuse e gli attacchi, spesso volgari, di una sinistra ormai allo sbando, con una coalizione improvvisata, che gli italiani manderanno a casa il prossimo 25 settembre”.
Rimane in alto mare la ricandidatura di Nello Musumeci alla guida della Regione siciliana: le questioni territoriali non sono state affrontate. Filtrano indiscrezioni, invece, sulla ripartizione dei collegi uninominali: secondo quanto si apprende, a Fratelli d’Italia toccheranno 98 seggi, 70 alla Lega, 42 a Forza Italia, compreso l’Udc, e 11 a Noi con l’Italia più Coraggio Italia, che all’inizio della trattativa ne chiedevano 16.