Lo scioglimento delle Camere da parte del presidente Mattarella – che ha spalancato le vie di Chigi alla Meloni – costituisce il più grande elemento di chiarezza in questa crisi di governo. Perché ora esiste una data del voto: il 25 settembre. Con annessa una certezza: il dibattito sulle Politiche, a livello nazionale, torna prioritario. Ignazio La Russa potrà occuparsi di quello che gli riesce meglio e Nello Musumeci, in Sicilia, rischia di finire un po’ snobbato. Potrebbe riacquisire centralità dimettendosi, e facendo coincidere le date dei due appuntamenti elettorali, anche se il cammino appare impervio. “Leggo in questi giorni notizie di mie valutazioni circa la possibilità di anticipare la data delle elezioni regionali e farla coincidere con quella delle politiche – scrive Musumeci sui social -. Voglio precisare che la scelta dell’eventuale accorpamento sarà da me adottata, in assoluta autonomia, solo dopo avere ascoltato i vertici di tutti i partiti della coalizione del mio governo. Cosa che conto di fare già nelle prossime ore”.
Nell’Isola, a differenza di quanto non accada a livello nazionale col riavvicinamento fra Meloni e Salvini, la coalizione di centrodestra è disintegrata. E in queste settimane di attesa fervente, Musumeci non ha fatto nulla per riconquistare la fiducia degli alleati. Sempre più spesso, ha vagheggiato i primati del suo governo, ha commissionato sondaggi per misurare la sua forza e si è genuflesso alle intuizioni della “sua” leader di partito che, grazie a una federazione con Diventerà Bellissima, gli ha offerto riparo in caso di tempesta (magari con un seggio al Senato). Musumeci ha trascorso le ultime settimane inaugurando mostre e cantieri. Ma non si è intrufolato nel dibattito politico se non per rivangare la propria statura morale (un pre-requisito necessario ma non sufficiente per ottenere un’altra nomination a Palazzo d’Orleans).
Chi sperava che la campagna elettorale imminente lo riportasse sulla strada del giudizio, evidentemente non lo conosceva. Gianfranco Micciché, invece, ha smesso di conoscerlo da mo’ e gliel’ha ribadito con forza: “Musumeci non lo vogliamo, se ne faccia una ragione. E’ una persona sleale e arrogante”. Il presidente dell’Ars ha inoltre citato alcuni episodi che rendono la frattura insanabile e che derivano, per buona parte, dall’impostazione che il ‘cerchio magico’ di Musumeci, ancor prima di Musumeci stesso, ha inferto agli ultimi cinque anni d’amministrazione. “Mio padre – ha rivelato Miccichè all’AdnKronos – era un grande appassionato di Orchestra sinfonica e io gli avevo chiesto di farmene occupare e invece sa cosa ha fatto lui? Non solo non me ne ha fatto occupare, ma ha cominciato a riempire l’Orchestra sinfonica con gente catanese”.
La gestione della Foss – con un commissario straordinario che ‘occupa’ la sede del Politeama da oltre un anno – ha mandato su tutte le furie il coordinatore di Forza Italia, che nei giorni scorsi, dopo la sostituzione frettolosa del Sovrintendente, aveva sganciato un attacco polemico nei confronti di Manlio Messina, esimio componente (nonostante i “suca” di rito) del cerchio presidenziale: “L’assessore al Turismo non è in grado di gestirla. Basta con questo accanimento”. Ma per cogliere l’asprezza dei contenuti, è necessario un preambolo: una gestione del potere che, secondo il vicerè berlusconiano, ha finito per condizionare uomini e azioni. Non ha mai digerito Micciché lo “scippo” di tre assessori in quota Forza Italia: non ultimo quel Marco Zambuto che lui portò in giunta provocando l’implosione del partito ad Agrigento. E oggi, assieme ad Armao e Falcone, è transitato nell’harem del governatore (che si vanta: “Il 55% di Forza Italia appoggia la mia ricandidatura”).
Il malumore di Miccichè è quello del resto della coalizione (dalla Lega a Saverio Romano, tutti hanno qualcosa da eccepire sul coinvolgimento dei partiti dell’azione politica e per alcuni versi, chiedere a Luca Sammartino, anche sui toni sfrenati). Ma è molto più circostanziato: “Tre mesi dopo che fu eletto, un nostro consigliere, faccio anche nome e cognome, Sergio Caracappa, di Sciacca, chiese una stupidaggine all’Assessorato alla Salute (retta da Ruggero Razza) e gli venne detto di no per mille volte – ha raccontato ancora Micciché -. Appena è passato con il movimento di Musumeci, cioè Diventerà Bellissima, gli venne all’improvviso detto sì. Quindi Musumeci ha utilizzato la sua coalizione per fregarmi le persone…”. Micciché è stato il primo a catalogare come “scandaloso” il messaggino di Marco Intravaia (segretario particolare di Musumeci) diretto ai sindaci per sponsorizzare l’opera di Razza sul Pnrr e sulle case di comunità. Si è sempre pentito di aver “regalato” la Sanità a quelli che si sarebbero rivelati dei “rivali interni”. Avrebbe preteso, forse, un cambio di rotta nei rapporti politici (quelli che contano di più) ed interpersonali, e invece si ritrova Armao – un altro “miracolato” che ha usato FI per diventare vicepresidente senza prendere un solo voto – a rintuzzarlo per i luoghi in cui convoca le riunioni.
Senza entrare nel merito della polemica, è chiaro cosa non funziona all’interno del centrodestra. Ed è ancora più chiaro cos’ha provveduto a innescare questo clima di sfiducia, tendente all’odio, che ha portato i segretari regionali di Lega, Forza Italia, Noi con l’Italia e Autonomisti a sconsigliare – con una letterina indirizzata ai big nazionali – il sequel di governo. Musumeci, che aveva promesso un ‘passo di lato’ qualora fosse risultato divisivo, sa di esserlo. Aspetta solo che qualcuno glielo ratifichi. E il ritrovato feeling fra Meloni, Salvini e Berlusconi, che porterà “chi ha un voto in più” ad esprimere il prossimo premier, di certo non facilita i suoi calcoli.
Concordia vuole che il candidato, nell’Isola, sia individuato in quella schiera di persone che non abbiano fatto terra bruciata, che conservino buoni rapporti di vicinato. Che siano capaci di essere leader. Entro il fine settimana i partiti di centrodestra dovrebbero formulare una prima proposta (anche se il vertice di oggi a palazzo dei Normanni si è rivelato un tonfo). Musumeci no, sarebbe un rospo enorme da mandare giù. Uno che spende le proprie giornate appresso ai sondaggi e alle giaculatorie (per Giorgia), che stampa i libricini per dire quant’è stato bravo, trascurando che durante la sua stagione non è stata approvata una riforma o chiuso un carrozzone, meriterebbe un tagliando severo anche da parte della Meloni. Perché in fin dei conti, al netto del calcolo politico e degli sfregi personali, andrebbero rivelati – apertamente e senza infingimenti – i risultati del suo governo. Anche al tavolo nazionale ne verrebbero fuori con un forte mal di testa.