Il centrodestra non c’è. Non ancora. Il vertice dimezzato di oggi, con Gianfranco Micciché, Luca Sammartino e Roberto Di Mauro, certifica l’esistenza di un partito No-Nello. Che però è lacerato e suddiviso in due correnti. Da un lato i ‘falchi’, capeggiati dal coordinatore regionale di Forza Italia; dall’altro le ‘colombe’, tenute insieme da Nino Minardo e Raffaele Lombardo (ma che, secondo gli addetti ai lavori, comprendono anche Cuffaro e l’Udc).
I primi, che invocano una decisione immediata sul successore di Musumeci, vorrebbero chiudere la partita in fretta, affrontando l’estate con la serenità di una decisione già presa (FI reclama un proprio candidato, che sia donna) e con la prospettiva una campagna elettorale da organizzare al meglio. Gli altri, invece, sperano di sciogliere i nodi prima di Ferragosto (“Sarebbe un’impresa farcela per la fine di luglio”) ed evitare la deflagrazione del centrodestra. Che significherebbe, sostanzialmente, due cose: dover (ri)puntare su Musumeci e favorire la scalata di Cateno De Luca.
Il perché è presto detto: cioè l’assenza di Fratelli d’Italia dal summit convocato da Micciché a palazzo dei Normanni (La Russa ha scelto di bloccare i due coordinatori regionali, Pogliese e Cannella, in attesa di novità dalla Capitale). Il timore è che la manovra del vicerè berlusconiano possa irrigidire la Meloni, con tutte le conseguenze del caso. La tesi che “in Sicilia decidono i siciliani” a quel punto potrebbe vacillare clamorosamente, facendo ripiombare l’Isola in un puzzle articolato che prevede la spartizione di altre regioni, fra cui la Lombardia (dove la Lega ha appena reclamato la conferma di Attilio Fontana).
Tutti, a parole, puntano allo stesso esito: fare le scarpe al governatore. Ma la competizione interna riguarda il ‘metodo’. Le colombe vorrebbero tergiversare ancora un po’, in attesa di capire le mosse della Meloni al tavolo che la leader di FdI ha reclamato nei giorni scorsi e che potrebbe tenersi, con Salvini e Berlusconi, prima di domenica. Giorgia valuterà anche le mosse siciliane, e le informazioni trasmesse dai suoi colonnelli, per capire se tirare la corda oppure no: il piano B prevede una exit strategy più morbida, con la rinuncia a Musumeci – che ha dato disponibilità per un passo di lato – e la condivisione di un’altra candidatura (quella di Raffaele Stancanelli, magari). A patto che da Palermo non arrivino altri strappi.
L’orientamento di Micciché è chiarissimo. Sammartino e Di Mauro, invece, rappresentano pezzi di partito. Uomini che col governatore hanno sempre avuto un rapporto controverso, se non addirittura ostile: come nel caso del deputato etneo, al quale Musumeci, all’Ars, augurò l’interessamento di “altri palazzi”. Ma anche Di Mauro, vicepresidente dell’Ars e numero due dell’ex Mpa, avrebbe più di un conto aperto col governatore (“Nel centrodestra manca la regia”, ha detto in passato). Il deputato autonomista, inoltre, è un tifoso non troppo segreto di Raffaele Stancanelli. Due più due fa quattro.
Al netto di queste sfumature, che però permettono di ricostruire il quadro, resta la condizione di voler andare dalla stessa parte. E soprattutto di andare oltre l’esperienza di Musumeci. Le cui ultime performance – da Taormina a Report – suggeriscono l’urgenza di cambiare in corsa un cavallo che ormai tutti considerano “perdente”.