Il 6,45% a Palermo, terra di Reddito di cittadinanza, e il 4,2 a Messina, con zero consiglieri eletti, imporrebbero un profondo esame di coscienza al Movimento 5 Stelle. Che – a parte rare eccezioni – ha deciso di tirare dritto, sorvolando sui risultati di domenica e sull’inconsistenza numerica, oltre che della sua proposta, nelle due città metropolitane. La parte più facile è dire che i siciliani non votano più per il M5s, quella più difficile è scoprire il perché.
Nel capoluogo ci ha provato Giampiero Trizzino, che alla vigilia aveva confermato i propri dubbi sulla scelta del metodo che ha portato all’indicazione di Miceli: “Ci sono responsabilità politiche, a partire da iniziative romane poco trasparenti sul metodo con il quale il M5S si è piegato alla scelta del candidato sindaco abdicando al proprio. Responsabilità che, sommate, hanno inchiodato il M5S sotto il muro del 7% dei consensi”. Il deputato grillino all’Ars, che è anche facilitatore nazionale per l’ambiente, aveva dato la propria disponibilità a candidarsi a sindaco, correndo in ticket con Mariangela Di Gangi: “Non dico che Franco Miceli sia stato l’uomo sbagliato – prosegue Trizzino a Live Sicilia -, dico che il M5S aveva il dovere di guidare la coalizione offrendo quella discontinuità con il passato che i palermitani chiedevano a gran voce. Non è stato fatto e siamo stati puniti”.
A Palermo l’eco della visita di Giuseppe Conte si è infranto sulle urne, domenica. Non è bastata la difesa strenua del Reddito di cittadinanza, né la promessa di introdurre il salario minimo. La lotta alla povertà, che sotto elezioni rischia sempre di camuffarsi in qualcos’altro, non è bastata. A posteriori, sarebbe servito un atto di coraggio. Ad esempio, una netta presa di distanza dalla stagione dell’orlandismo, che ha visto il M5s sempre all’opposizione. Sparito Orlando, però, i grillini hanno scelto anche qui la soluzione più comoda: appiattirsi sul Partito Democratico, restare conservatori nel metodo e nella scelta. Fino a naufragare. L’ha detto anche Dino Giarrusso, il grande ex: “Il flop del M5s dipende dal M5s. L’alleanza con il Pd è una scelta suicida del movimento: non è un’alleanza, è un tappetino. È finita la partecipazione e sono stati uccisi i gruppi sul territorio”. I tre consiglieri eletti sono una timida consolazione. Fanno parte del processo di deterioramento in corso, che sotto la guida di Giuseppe Conte ha assunto proporzioni preoccupanti. A Palermo il M5s ha preso 12 mila preferenze di lista, briciole rispetto al numero dei percettori del Reddito di cittadinanza (si contano 65 mila famiglie solo in città).
E’ andata peggio a Messina, dove piazza Cairoli s’era riempita per la visita di Giuseppe Conte. Anche se l’entusiasmo del popolo grillino per la visita dell’avvocato non si è tradotto in voti. Il candidato del ‘campo largo’, Franco De Domenico, è arrivato soltanto terzo. Il M5s non metterà piede in Consiglio comunale. Una disfatta che solo Valentina Zafarana, deputata regionale e designata vice-sindaca, ha provato ad analizzare con lucidità: “E’ esplosa, in tutta la sua durezza, la cronica mancanza di radicamento sui territori, vero e proprio tallone d’Achille del Movimento sin dai suoi albori, in tutta Italia. Intendiamoci: se radicarsi deve essere inteso come creare di sacche di clientele, non è sicuramente qualcosa che abbiamo fatto e che mai faremo. Io credo che il radicamento sia senso di appartenenza a un messaggio politico, a un’idea di società, che per noi si basa sull’uguaglianza dei cittadini, sull’accesso ai diritti per tutti, sulle politiche ambientali green, sul contrasto alle mafie e alla corruzione, su politiche economiche basate su produttività e sostenibilità”.
C’è dell’altro: “Paghiamo gravi mancanze comunicative e di capacità aggregative, su cui dovremo necessariamente lavorare per porre rimedio, mentre siamo stati superati da una comunicazione avversaria (quella del sindaco uscente Cateno De Luca, per lo più) che è diventata capillare e invasiva grazie ai social ed efficace grazie anche a strumentalizzazioni, urla, menzogne, mistificazioni, volgarità, spettacolini di bassa lega. Non siamo stati in grado di comprendere il peso di una comunicazione politica migrata velocemente su canali social e media diversi”. Alibi e verità si mescolano nel commento di Zafarana, ma qualcuno almeno di degna di metterci la faccia.
Il primo pensiero di Giuseppe Conte, appresa la batosta, è stato la nomina dei nuovi referenti regionali. Si attendevano dallo scorso anno. Il prescelto, in Sicilia, è l’on. Nuccio Di Paola, che ha già guidato le dinamiche parlamentari da qualche mese. Sarà lui a occuparsi della costruzione del M5s da qui in avanti, specie nella fase più critica: la celebrazione delle primarie (il 23 luglio). La maggiore delle preoccupazioni, in questa fase, sono quisquilie: è probabile che verrà concesso al Partito Democratico di votare con la matita (e non solo sulla piattaforma SkyVote) presso i gazebo fisici – una trentina circa – allestiti in tutta la Sicilia. Ma c’è anche un’altra questione da risolvere. Per fare in modo che Giancarlo Cancelleri possa presentare la propria candidatura (avendo ricoperto già per due volte la carica di parlamentare regionale), è necessario attendere l’esito del voto sull’abolizione del vincolo dei due mandati, che Conte potrebbe convocare il 28 giugno, subito dopo i ballottaggi. Altrimenti, bisognerà agire in deroga. Resta il fatto che una parte del Movimento siciliano resta legato al sottosegretario alle Infrastrutture, l’altra – invece – ha già deciso di puntare sulla candidatura fresca di Luigi Sunseri, 36enne deputato dell’Assemblea.
Non è tutto però. Resta la questione delle alleanze. Prima di partecipare alle primarie, bisogna stabilire a quali forze politiche sono aperte le consultazioni. Bisogna capire quanto si è disposti a cedere un pezzetto della propria sovranità e metterlo a disposizione di un’operazione più grande. Il risultato palermitano di Ferrandelli (con Azione e +Europa), ma anche il 9% ottenuto dalla lista di Faraone (che ha eletto quattro consiglieri a Palermo), certifica la presenza di alcuni affluenti che potrebbero ingrossare il corso d’acqua. Lo ha capito Fava, che ha subito spalancato le porte. Lo sa il Pd, che parla di progetto inclusivo e di primarie aperte a tutti. Mentre il M5s cincischia. Non decide. Rinvia. Ma il tempo è finito e l’autodistruzione, ormai, è dietro l’angolo.