Solitamente una vittoria rappresenta un elemento di chiarezza. Tranne nel caso di specie: Palermo. Qui il trionfo del moderato Roberto Lagalla è solo il corridoio tra due ali di folla per giungere sul ring. E certifica una spaccatura senza precedenti.
Il centrodestra in Sicilia è dilaniato. L’elezione del sindaco di Palermo è soltanto l’anfitrione dove due fazioni affilano le armi. Da un lato quella costituita da Lega e Forza Italia, assieme ai centristi di Romano e agli Autonomisti di Lombardo, che nelle prossime ore metteranno Silvio Berlusconi e Matteo Salvini al corrente della loro scelta: con Nello Musumeci non c’è futuro. Dall’altro lato c’è invece Fratelli d’Italia, che esce un po’ rintontita dalle urne: nel capoluogo è la seconda lista, nonostante la fusione con Diventerà Bellissima. Soprattutto perché si piazza alle spalle di Forza Italia. Il risultato di Messina, dove FdI sta sopra l’8,6% ma fallisce l’operazione-ballottaggio con Maurizio Croce, non giustifica l’impuntatura sul presidente della Regione uscente.
Musumeci, che al comitato di Lagalla ha ignorato Micciché (l’antipatia è reciproca), ha già scoperto le carte: “Da domani (ieri per chi legge) tutti attorno a un tavolo per lavorare alla volata finale che dovrà in autunno portare alla riconferma del centrodestra alla guida della Regione, dove abbiamo lavorato per cinque anni con grande impegno, programmando, progettando e spendendo”. Nessuno gli ha dato corda. E nessuno gliene darà. Un pezzo del centrodestra lavora alla sua dipartita politica. Lo fa, incessantemente, da mesi. E l’ultima intemerata – cioè la nomina dell’assessore Aricò senza una preventiva consultazione dei partiti – ha fatto saltare il banco. Da qui il documento a Berlusconi e Salvini, che già conoscono le intenzioni dei colonnelli siciliani.
Nei prossimi giorni non ci si attendono colpi di scena. Da parte dei ‘ribelli’ il ‘no’ è deciso e senza infingimenti (restano neutrali come la Svizzera solo l’Udc e la DC Nuova di Totò Cuffaro). Non basterà il pressing della Meloni a far cambiare idea a Micciché & Co., che anzi utilizzano il decisionismo e le pretese di Giorgia per convincere i leader nazionali che è meglio cambiare. Fino alla rottura se necessario. Si mormora che un pezzo dei Cinque Stelle, che fa riferimento a Conte e Cancelleri, smani di gettarsi nell’avventura del ‘campo largo’, mettendo da parte questa parentesi di alleanza infruttuosa con il Pd. Che a quel punto non potrebbe tirarsi indietro di fronte alla proposta di un modello Draghi siculo. Che lasci fuori gli estremi (Musumeci compreso). Certo: le primarie in programma il 23 luglio rischiano di derubricare questo “strano pensiero” a un’operazione di fantapolitica, ma non è detta l’ultima parola.
Nel centrodestra, comunque, ci vorrà un momento di riflessione. Lo impone il risultato di Palermo, ma soprattutto quello di Messina dove Cateno De Luca ha dato prova di grande abilità elettorale. Lasciarsi scappare una risorsa del genere è da pazzi. Ecco che riprende forma il modello del centrodestra tradizionale: stavolta con un ticket Stancanelli-De Luca, col primo candidato alla presidenza (come farebbe la Meloni a dire ‘no’?). Scateno, che ha già smentito più volte incroci pericolosi col centrodestra, potrebbe ripensarci se inserito in uno schema alternativo a Musumeci. Inoltre i rapporti con l’europarlamentare di FdI sono ottimi. Ma qualcuno sussurra che Salvini potrebbe chiedergli addirittura di correre come candidato della coalizione per palazzo d’Orleans. Una proposta non del tutto insensata, dati i rapporti fra i due. Talmente buoni da aver portato Prima l’Italia ad appoggiare (e far vincere) Federico Basile alle Amministrative di domenica scorsa a Messina.
In questo quadro fluido non c’è nulla che deponga a favore di Musumeci. Il quale, da parte sua, crede di essere talmente avanti da meritarsi la definizione del perimetro. Ma non ha saputo (o voluto) pesare la sua presenza nelle urne, dal momento che Diventerà Bellissima è confluita nelle liste di FdI senza lasciare alcuna traccia. D’altronde, se la coalizione dovesse spaccarsi di fronte al suo rifiuto di farsi da parte, ci sarebbe comunque il piano B (cioè il campo larghissimo: dalla Lega al Pd). In attesa di capire come venirne fuori, anche a sinistra aumentano i grattacapi. L’esperienza palermitana di Miceli è un fallimento totale. I Cinque Stelle hanno preso il 6% nonostante la visita di Conte e il Reddito di cittadinanza. Potrebbero rosicchiare qualcosina in autunno (stando ai sondaggi), ma il partito è in caduta libera. Il percorso delle primarie è tuttora accidentato per la selezione del metodo: matite sì matite no. Ma anche a causa dei paletti posti dai grillini, che non vorrebbero della partita i riformisti. Eppure le Amministrative dimostrano che c’è una fetta di elettorato che si riconosce in Renzi (la civica di Faraone si è avvicinata al 10%, eleggendo quattro consiglieri) e in Calenda. Lasciarlo fuori significherebbe disperdere un bel bottino di voti e rinunciare a un collante che potrebbe risultare decisivo per l’assalto alla Regione.
Lo ha spiegato meglio di altri Claudio Fava nell’analisi del voto: “Dividere e dividersi non paga. L’ottimo risultato di Fabrizio Ferrandelli aggiunto ai voti per Miceli avrebbe messo in discussione la vittoria del centrodestra. Forse questa idea di perimetro va rivista e allargata non certo ai pezzi di ceto politico del centrodestra quanto alle molte esperienze di civismo estranee ai partiti tradizionali, alle storie individuali, ai percorsi fuori dagli schemi. Il discrimine dev’essere questo centrodestra: o stai con loro o lavori per costruire un’alternativa”. Anche il segretario del Pd Anthony Barbagallo sembra aver raccolto l’invito: “Il nostro campo è quello progressista inclusivo. Con i 5 Stelle abbiamo un accordo significativo che abbiamo avviato prima di tutti e che alle scorse amministrative ci ha consentito di vincere in diversi comuni. E sono convinto che alle Regionali abbiamo le carte in regola per concorrere. Le primarie sono inclusive e dunque anche Italia Viva, +Europa e Azione possono partecipare”. E’ già qualcosa. Ora bisogna convincere i grillini.
De Luca: “Melo fra una settimana mollerà Musumeci”
“Alle amministrative si è visto il risultato di Fratelli d’Italia: si è fermata a 8 punti percentuali, a Palermo a 10, nonostante nelle liste ci fossero anche i candidati di ‘DiventeràBellissima’. Allora Giorgia Meloni deve capire che Nello Musumeci porta iella da un punto di vista politico. Glielo avevo mandato a dire, adesso mi auguro che abbia capito. Ve lo dico: Meloni tra una settimana mollerà Musumeci, ne sono convinto”. Lo ha detto ai giornalisti Cateno De Luca, leader di Sicilia Vera, commentando i risultati elettorali conseguiti da Fratelli d’Italia a Palermo e Messina. Alla domanda dei cronisti se il governatore si candiderà anche senza il supporto Giorgia Meloni, De Luca ha detto: “Il mio auspicio è che Musumeci si candidi lo stesso e sia inchiodato alle sue responsabilità davanti agli elettori, ma senza i partiti non può correre manco come presidente di condominio”, ha spiegato.