Potrete non credermi. Anzi, vi autorizzo fin da adesso a non continuare la lettura di questo scritto corsaro. Per dirla tutta, mi dissocio da me stesso mentre cerco di mettere insieme le idee che mi serviranno a narrare. E – come dice Woody Allen – non vorrei fare parte di un club che annoveri tra i suoi soci gente come me.
Però, se non metterò nero su bianco questa Verità, sono certo che si perderà nella nebbia del passato e le mie memorie vivranno solo come lacrime nella pioggia. D’altronde, fuori dal racconto di ciò che abbiamo vissuto sembra che possa esistere null’altro che l’ombra della nostra stessa vita.
Vi racconterò, quindi, sperando di essere creduto…
Era il tempo in cui la Prima Repubblica stava inesorabilmente crollando sotto il peso di omicidi, corruzioni e bombe.
Le stragi del 1992 si erano compiute, ma altre ne sarebbero seguite a martoriare il corpo già stremato del Paese. Una indagine parallela a quella che si stava compiendo sull’attentato di Capaci mi aveva condotto fino a lì.
Come sempre il caso o il destino aveva guidato il percorso e a nulla poteva servire chiedersi perché tutto fosse accaduto nel modo in cui esattamente era accaduto.
Dentro il cratere dell’esplosione erano stati rinvenuti alcuni fogli pubblicitari e illustrativi di una società di telecontrollo del nord Italia. La circostanza era assai strana perché quegli opuscoli non sembravano bruciati e neppure gualciti dall’esplosione. Come se una mano nascosta li avesse lanciati dentro quell’inferno dopo che tutto si era compiuto.
Quando gli agenti dell’anti-terrorismo piombarono nella sede dell’azienda, il suo responsabile – per fugare ogni dubbio di un possibile coinvolgimento nella strage di Capaci – confessò corruzioni che avevano coinvolto decine di uomini politici siciliani.
Su quegli appalti e su quelle dinamiche corruttive vi lavoravo da tempo. La confessione aveva confermato la giusta linea dell’indagine dando un esito positivo davvero insperato. A volte la Verità cerca chi la trova…
Poco tempo dopo, il mandato di cattura colpì uno degli uomini più potenti della Democrazia Cristiana siciliana.
Quel politico aveva rivestito il ruolo di Capo del Governo siciliano con intelligenza e capacità straordinariamente lungimiranti.
Senza tema di smentita, può dirsi che fosse l’unico ad avere compreso il ruolo della Sicilia come area strategica del Mediterraneo. Ma era “uomo di sistema” e aveva partecipato la fetida greppia che aveva ingrassato tutti i partiti nessuno escluso. La sua grave malattia (che sfortunatamente non stava lasciando scampo neppure ai suoi familiari) gli aveva evitato il carcere.
Per questo motivo il rituale interrogatorio avvenne nella sua bella casa posta alla sommità di un centro cittadino che dominava la costa ionica. Fu lì, davanti ad un tavolo da cucina improvvisato in ufficio di verbalizzazione, che accadde qualcosa che è difficile spiegare.
Abbandonato dai suoi stessi compagni di partito, debilitato da un male ormai in fase finale ed in stato di arresto, quell’uomo mi sorrise dolcemente e mi chiese se mai avrebbe potuto parlarmi in modo meno formale di quanto il rito richiedesse.
Con questa richiesta rimasta sospesa, si alzò dal tavolo e si avvicinò alla finestra che incorniciava un tramonto rosso fuoco sul mare. Il suo sguardo focalizzò un punto lontano dell’orizzonte, ma quel centro ottico era – in realtà – un luogo indistinto dentro la sua stessa anima.
La voce assunse tonalità profonde: “Vuoi sapere la verità su ciò che penso della Sicilia e di tutto ciò che è stato creato attorno alla sua tanto osannata autonomia?”.
“Sì, Presidente, vorrei saperlo. Soprattutto se questo può aiutare l’indagine a fare un passo avanti…”
La risposta non si fece attendere.
“Ebbene… la corruzione ed il malgoverno sono solo un dettaglio del quale si occupano i processi ed i giudici. Ma vi è qualcosa che mai nessun processo o giudice potrà affermare. La verità è che se d’un tratto, per incanto o per magia, potesse sparire tutta la struttura burocratica della Regione siciliana – e quando dico questo alludo dall’ultimo usciere al Presidente – ebbene, nulla accadrebbe. La verità è che la struttura politica-amministrativa, che governa l’autonomia della nostra isola, è un’immensa macchina del nulla…”.
Rimasi con la penna in mano per qualche minuto (allora non vi erano ancora i computer in ausilio alla verbalizzazione).
Cercai le parole più giuste per raccontare quella verità scolpita sulle luci rossastre di un tramonto.
E ancora adesso ci riprovo prima che svaniscano, nell’eternità del silenzio, persino i colori di ogni ricordo…