Nei quartieri popolari di Palermo Giuseppe Conte ha trovato il conforto di molta, troppa gente in difficoltà. E forse, di qualche ‘divanista’ mascherato da indigente. I percettori del Reddito di cittadinanza lo hanno fatto sentire a casa. Trasformando il senso delle elezioni Amministrative, le prime del dopo-Orlando, in un referendum a senso unico. L’attraversamento di Giuseppi tra due ali di folla (a Barcarello a Ballarò, passando per il Cep) è un brindisi alla misura introdotta dai Cinque Stelle, a cui il governo Draghi – nonostante le attese – ha dato soltanto una limatina. Per le strade di Borgo Vecchio qualcuno promette di onorare un impegno non scritto (per carità). Ma che si rivela, esattamente, per quello che è: “Ci dà il pane, merita il voto”.

Matteo Renzi fu il primo a parlare di ‘voto di scambio’ e fu pesantemente attaccato dai Cinque Stelle, che dal canto loro continuano a battagliare per tenere in vita il Rdc. Sotto elezioni ne hanno ben d’onde. Ma v’immaginate Palermo senza reddito? Il candidato sindaco del centrosinistra, Franco Miceli, ha trovato l’assist da recapitare in gol (quando la polemica su Cuffaro e Dell’Utri era già stantia): “Dobbiamo difendere il reddito di cittadinanza, che si può migliorare certo, ma è un provvedimento fondamentale per 65mila famiglie palermitane!”, aveva detto di fronte all’offensiva della Meloni, che prima di sbarcare in Sicilia ne aveva parlato come del “nuovo metadone di Stato”.

Sotto questo profilo – quello della campagna elettorale – ha fatto meglio la sinistra. Resistere a oltranza sul Reddito di cittadinanza, che non ha smosso di un’unghia il mercato del lavoro e ha dimostrato la sua inconsistenza al di là dell’assegno mensile, è servito (forse) per conservare i voti di una buona fetta di palermitani. La destra si è mossa decisamente peggio, tanto che Lagalla, in un momento di lucidità, ha dovuto respingere l’assalto dei big nazionali, venuti a celebrarlo: “Il Reddito di cittadinanza è una conquista civile, certamente da migliorare e da difendere”, ha spiegato l’ex rettore. Salvini, parlando ai giornalisti, aveva tentato di sbolognarlo: “Il reddito di cittadinanza è uno strumento che può essere utile per poco tempo, per chi non può lavorare. Altrimenti si trasforma in uno strumento di disoccupazione e di lavoro nero. Basterebbe girare quei soldi alle imprese che assumono: invece di darli a qualcuno che sta a casa, li do a un imprenditore che si impegna ad assumere”, aveva polemizzato il segretario della Lega.

La Meloni, a piazza Verdi, era stata persino più tranchant: “Pensiamo di risolvere il problema dei giovani che scappano, con il reddito di cittadinanza. Non sono d’accordo. Se si vogliono migliorare davvero le loro condizioni di vita – aveva detto la leader di Fratelli d’Italia -, occorre dargli un lavoro ben retribuito che rompa la dipendenza dalla politica. E diciamo la verità: se togliamo questa ‘paghetta’ chi li vota più i 5 Stelle?”. L’ultima volta che la leader di FdI usò questi termini a un comizio, in Sicilia, consegnò la città di Vittoria al Pd. Anche Licia Ronzulli, in un’altra manifestazione pubblica per Lagalla, aveva proposto di sospendere la misura almeno per l’estate, risolvendo così i problemi di molti imprenditori che non trovano lavoratori stagionali. Renzi, che a Palermo non c’è nemmeno venuto (perché un candidato non ce l’ha, tanto meno ha voluto trovarlo), avvierà una raccolta firme da metà giugno per sopprimerlo.

A Palermo, che risulta la seconda città italiana (dopo Napoli) per numero di beneficiari, parlare male del Reddito rischia di essere una condanna politico-elettorale. Parziale, ma pur sempre una condanna. Anche se Conte, in questi giorni, si è limitato a presentare un solo volto della medaglia: “Con una povertà dilagante e con un problema sociale così invasivo si pensa di rimuovere il reddito di cittadinanza che è di sostegno alla povertà, peraltro orientato a favorire anche l’incontro con l’occupazione”. Ecco, quest’ultima parte cancellatela. E’ strumentale. Affermare che il Rdc sia un traino per il mercato del lavoro, costituisce una grossa inesattezza. Pochissimi hanno avuto l’occasione di trovare un lavoro, decisamente pochi quelli che sono stati convocati dai centri per l’impiego per compilare la Did, dichiarazione di immediata disponibilità al lavoro. Cioè la base di partenza per la fase-due che, nell’idea dei 5 Stelle, avrebbe dovuto garantire un piano di occupabilità e crescita. Di rilancio del mercato del lavoro. Macché.

Fin qui molti dei percettori hanno avuto la possibilità di rendersi irrintracciabili, altri non hanno completato l’intervista coi navigator, altri ancora rifiutano le opportunità offerte e vengono graziati. Si pappano l’assegno mensile e chi vivrà, vedrà. Infine c’è la categoria dei “furbetti”, un problema molto siciliano. Non soltanto perché le vie del lavoro nero, citato da Salvini, sono e restano infinite; ma perché il sussidio, nell’Isola, è stato spesso utilizzato per “schermare” le attività illecite. Anche boss e picciotti di mafia, grazie al Reddito, sono stati a lungo dei fantasmi. E hanno ribaltato – a svantaggio di quel sostegno lo esigerebbe e meriterebbe davvero – fino a renderli carta straccia, i principi lodati e sostenuti da Conte: dignità, equità, giustizia sociale. Ma il vero colpo a effetto della campagna elettorale, è l’annuncio del salario minimo: “In Europa lo stanno facendo, c’è una direttiva in arrivo e alcuni Paesi lo hanno già da tempo. Noi dei Cinque Stelle siamo più determinati che mai”, ha detto Conte, aprendo lo spiraglio.

In pratica, in questa due giorni palermitana, non s’è parlato d’altro. Nessuno ha affrontato il tema dei disastri d’Orlando e dell’azione di discontinuità richiesta a Miceli; nessuno ha accennato al fatto che il M5s abbia faticato a completare la lista, e che molti dei suoi esponenti di punta siano rimasti ai margini; o che Conte non abbia ancora nominato un referente regionale del partito, o sciolto la riserva sulle primarie (si può usare o no questa benedetta matita per votare? Si può candidare o no Cancelleri?). Nessuno ha osato discutere sullo stato attuale della città di Palermo, che Giuseppi ha visitato nei suoi aspetti più folcloristici e dannati, senza mai addentrarsi nelle ferite sanguinanti prodotte dagli ultimi dieci anni di governo. E per un attimo si è pensato che persino i discorsi e la retorica sull’Antimafia fossero rimasti lontano dai taccuini: l’avvocato del Popolo ha rimediato ieri sera, partecipando a un incontro della scuola di formazione del M5s, tenuto a battesimo da Roberto Scarpinato. In mezzo la visita agli imprenditori che si sono ribellati al racket, e tanta esaltazione per nulla. I problemi restano sul tavolo. Il modo più facile per lasciare traccia del proprio passaggio era parlare di assistenzialismo. Missione compiuta (fino a domenica).