L’avviso di conclusione delle indagini a 14 dei 16 indagati nell’ambito dell’operazione Gomme Lisce, che ha messo a soqquadro gli equilibri e la credibilità dell’Ast (l’azienda siciliana dei trasporti) e rappresenta, secondo la Procura di Palermo, un esempio di gestione del personale “pesantemente condizionata da logiche clientelari e da pressioni politiche”, sembra non aver scosso più di tanto la Regione. Eppure rappresenta, ad oggi, uno scandalo di proporzioni enormi che, al di là dei profili penali che saranno i magistrati (eventualmente) ad accertare, denota la scarsa propensione ai controlli da parte della Regione medesima e dell’assessorato competente (quello all’Economia).
Di chi è la colpa se delle 40 unità di personale assunte da WinTime, la società di lavoro interinale che selezionava autisti e addetti all’officina, una decina provenivano da Marineo, paese del direttore generale Fiduccia? Su segnalazione, fra l’altro, del diretto interessato? A questa domanda, più volte riproposta nel corso delle audizioni di Claudio Fava in commissione Antimafia, all’Ars, nessuno ha saputo rispondere. Ma è forse questo l’esempio tangibile di come una società controllata, di cui la Regione è socio unico, sfugga completamente al controllo del suo controllore; o, ancora peggio, si nutre delle indicazioni politiche per creare la cosiddetta “fabbrica del consenso”, “alimentata – secondo gli inquirenti – da una gestione spregiudicata e disinvolta dei meccanismi di assunzione”.
Com’è possibile – quindi – che nessuno si sia accorto di questo “assumificio” a tradimento? Sul caso specifico di Marineo, che fu il dg Fiduccia, fra l’altro, a rendere noto in un’intervista al Giornale di Sicilia del 5 febbraio 2019 (“Ho segnalato solo personale di cui conoscevo la professionalità”), l’assessore Armao non batte ciglio e si rifà a una smentita che il direttore generale dell’epoca consegna all’assessore Falcone, responsabile delle Infrastrutture: “L’A.S.T. è terza ed estranea al rapporto tra il lavoratore e l’Agenzia di somministrazione – rispose Fiduccia alla richiesta di chiarimento di Falcone – (…) La scrivente Società si è unicamente limitata a sottolineare all’Agenzia, in termini di requisiti, di tenere conto, nella selezione del personale, delle capacità professionali, del contegno e della onorabilità dei lavoratori da conferire”. Nessun accenno all’intervista e alle “raccomandazioni” in favore dei suoi concittadini. “Evidentemente – spiega Fava nella sua relazione – per l’amministrazione regionale quelle generiche rassicurazioni sono state considerate più che sufficienti, e più attendibili perfino delle stesse ammissioni di Fiduccia”.
Eppure, il presidente della commissione aveva provato a sfruculiare. Rivolgendo ad Armao una domanda diretta e circostanziata: “Il Governo ha chiamato il dottor Fiduccia a dare spiegazioni su questo comportamento?”. La risposta di Armao: “Io non ho rapporti col dottor Fiduccia, non ho mai avuto rapporti… Perché il direttore generale della società partecipata risponde al suo Consiglio d’amministrazione…”. Ma Fava: “Il Consiglio d’amministrazione l’avete convocato?”. Armao: “Io ho parlato col presidente dell’AST (Gaetano Tafuri, ndr)… che è stato sempre a conoscenza delle interrogazioni che venivano fatte”, non ultima quella di Luigi Sunseri (M5s), “e che mi ha sempre detto: “è la società interinale che fa le selezioni, io non ne so nulla””.
Ma neanche il responsabile anti-corruzione dell’Ast, Luigi Montalbano, riesce a colmare questo gap di conoscenza: “Io l’ho stigmatizzato al mio direttore generale che il comportamento era inaccettabile”, ammette in audizione, di fronte ai commissari. “Gliel’ho detto verbalmente”. “Ci faccia capire – obietta Fava -. Se il responsabile dell’ufficio anticorruzione apprende, da articoli di giornali o altro, che accadono queste cose nell’Azienda, che cosa può fare, oltre che fare due chiacchiere col direttore generale?”. Montalbano si dà un pizzicotto: “Avrei dovuto fare qualcosa di più (…) Forse avrò peccato di inesperienza e di leggerezza, però non immaginavo neanche lontanamente che si potesse arrivare a questo punto di clientelismo…”.
Che ci si spingesse fino a tal punto, in effetti, non tutti potevano prevederlo. Nelle vicende legate all’Ast la politica rischia, però, di rimetterci la faccia. Scrivere sui pizzini i desiderata per fare alcune assunzioni (come si lasciò scappare Fiduccia in una telefonata intercettata: “Mi mannaru a chiamare all’Ars e mi rittero ‘nu bellu papello”) è solo una parte del problema. L’altra parte è legata ai controlli. Alla vigilanza. Che, in quanto socio unico, l’Ente non avrebbe mai dovuto tralasciare. Falcone scarica le responsabilità su Armao: “L’Assessorato alle infrastrutture e dei trasporti non ha una vigilanza nei confronti dell’azienda dell’AST, perché il potere di vigilanza è in capo all’economia (…) Noi valutiamo sostanzialmente come viene effettuato il servizio, cioè se i chilometri per cui loro sono contrattualizzati, sia del trasporto pubblico urbano, che extra urbano, vengano realmente effettuati”. Armao risponde: “L’AST è sottoposta ad un regime di vigilanza concorrente o concomitante (…) fra l’Assessorato dell’economia, per quanto attiene ai profili di equilibrio economico-finanziario, investimenti, ricapitalizzazioni, e l’Assessorato di competenza che è quello dei trasporti e delle infrastrutture per quanto attiene invece al servizio che svolge”.
“L’ufficio delle società partecipate – chiarisce il ragioniere generale, Ignazio Tozzo, in audizione – è composto da 4 funzionari – il dirigente è andato in pensione – e devono controllare tutte le partecipazioni regionali. Non c’è un ufficio ispettivo”. “Le società partecipate – prosegue il ragioniere generale in un’altra fase della sua audizione -, periodicamente, sono tenute ad inviare dei report rispetto alle attività più rilevanti che fanno, soprattutto allorché abbiano delle refluenze finanziarie. Quindi noi non facciamo un controllo sui singoli atti gestionali, perché sarebbe materialmente impossibile e sarebbe anche contrario all’autonomia gestionale delle società”.
A un certo punto l’Ast – ecco un altro caso di gestione opaca – decide di costituire una compagnia aerea siciliana, “un progetto messo in cantiere, con licenze di volo già richieste all’ENAC, senza che alcuno ne fosse stato informato nell’amministrazione regionale”, scrive l’Antimafia. Di fronte a quel comportamento bizzarro, che la Regione apprende a mezzo stampa e blocca all’istante, nessuno revoca il Consiglio d’Amministrazione di Ast. Perché? “Noi abbiamo evidenziato nei confronti dell’amministratore le disfunzioni che c’erano – è la replica di Armao a specifica domanda di Fava -. Le abbiamo contestate all’amministratore… La circostanza che poi non sia stato confermato l’amministratore evidentemente è un elemento chiaro…”.
La regola dello scandalo, però, è che la politica arrivi sempre dopo la magistratura. Lo sottolinea Fava, che torna sulla questione delle agenzie interinali con una punta d’amarezza: “I controlli sono stati attivati: dopo, però. Dopo che il quadro rilevato e denunciato nell’indagine della magistratura palermitana ha messo tutti di fronte ai fatti, cioè a procedure viziate che si erano consolidate nel corso degli anni. E che fanno temere un uso altrettanto spregiudicato dello strumento delle interinali anche per altre società partecipate dalla Regione siciliana”. E’ questa la paura più grande. Che l’Ast, in fondo, non abbia insegnato nulla.