A parole nessuno ha mai smesso di credere nel Movimento 5 Stelle finché non lo molla. A quel punto è il M5s che “ha abbandonato i suoi valori”. Lo ha detto di recente Dino Giarrusso, l’ultimo dei fuoriusciti. Ma lo hanno ripetuto fino alla nausea gli oltre cento parlamentari (fra Roma e Bruxelles) che in questi anni si sono convertiti sulla via di Damasco, o di qualunque partito gli desse accoglienza. Questa non è una difesa dei valori dei Cinque Stelle: col tempo che passa, francamente, è sempre più difficile coglierne. Ma una critica a chi, convinto di poterli perseguire e applicare altrove, sceglie di aderire – indifferentemente – alla Lega o al Pd, ai Verdi o al movimento di De Luca. Come se il seme del Movimento fosse sparso ovunque, e bastasse solo un po’ d’acqua per farlo germogliare.

Nell’ultima apparizione televisiva, l’europarlamentare Giarrusso ha spiegato che dentro il movimento fondato da Grillo e Casaleggio non si parla più. “Il M5s è diventato un’autocrazia”, ha detto. “Uno scendiletto del Pd”, ha aggiunto. “Dovremmo avere il coraggio di andare fuori dal governo Draghi”. Così ha scelto di trasferirsi in un partito che non c’è ancora: cioè il contenitore meridionalista che Cateno De Luca vorrebbe fondare a Roma, per erodere consenso ai partiti tradizionali e, magari, scompaginare le carte. Un movimento di pancia, simile al M5s degli inizi? Chissà. Ciò che conta è che Giarrusso, nel giro di una settimana, ha deciso da che parte andare. Dimenticando il mantra che lui stesso aveva ripetuto alle decine di colleghi che, prima di lui, avevano sbattuto la porta: “Basta voltagabbana e traditori”, scriveva su Facebook nel dicembre 2020, all’indomani dell’addio di quattro europarlamentari (fra cui l’altro siciliano, Ignazio Corrao). “Chi esce dal MoVimento 5 Stelle si deve dimettere e, se ci riesce, deve farsi rieleggere! Ne abbiamo piene le tasche di voltagabbana e traditori che pensano di fare il bello il cattivo tempo calpestando i sacrifici di migliaia di attivisti che hanno creduto in loro, portando via tempo alle loro famiglie e alla loro vita per sostenerli”.

Ma ora che Giarrusso è andato via ha clamorosamente toppato: non s’è dimesso. D’altronde s’è dichiarato fuori dal M5s e non risponde più alle regole del M5s. E poi, perché dovrebbe dimettersi proprio lui, dopo che il resto della compagnia l’ha fatta franca? Solo per non passare da degno seguace di Renzi o Scilipoti, o per non finire nell’elenco di coloro che “restano imbullonati alla poltrona, dimenticando la regola ferrea che dice che se vai via dal Movimento devi lasciare stipendio e poltrona” contraddicendo se stesso? Macchè. Tutta acqua passata. Attenzione: questa cosa accade anche negli altri partiti. E’ sempre accaduto. Ma ci dicevano che il Movimento è qualcosa di diverso. E in parte ci avevamo creduto. Ma è qualcosa di diverso, forse, solo per chi ha imparato a convivere con le sue profonde anomalie. Passando dalla protesta alla proposta; dal “non faremo mai alleanze col partito di Bibbiano” a farci un governo insieme; dal dire peste e corna di Berlusconi, a diventare colleghi di Brunetta; dall’elogio del Reddito di cittadinanza al sostegno al “governo dei banchieri”. Insomma, tutto può cambiare. Per cui è inutile fare riferimento a valori che, forse, non sono mai esistiti.

C’è un pezzo mirabile di Stefano Cappellini, su ‘La Repubblica’ di qualche giorno fa. Si intitola “Il Movimento qualunque”: “Sorvoliamo – scrive il giornalista – sul fatto che non c’è un grillino, non uno, che abbia scelto di dimettersi da parlamentare dopo aver lasciato il M5S nonostante anni di violente polemiche sul vincolo di mandato (…) Certo è significativo che non si incontri mai un eletto 5S il quale, dopo aver cambiato idea e messo in pratica ciò che rimproverava agli altri, abbia la forza di dire “forse ero scemo io”. Sta di fatto che questi fuoriusciti in quanto orfani dei “valori veri” del Movimento, quando devono andarli a cercare altrove, questi valori, li trovano in una gamma di soluzioni che spazia ben oltre il vecchio arco costituzionale”: da Fratelli d’Italia al Partito Comunista di Marco Rizzo. “È il primo caso nella storia repubblicana in cui un solo partito ha offerto rinforzi a tutti gli altri presenti in Parlamento, nessuno escluso, a parte forse i Sudtirolesi, ma tempo al tempo”.

E ancora, Cappellini: “Resta da spiegare come sia possibile che gli eletti 5S che lamentano la perdita dello spirito originale del Movimento abbiano ritenuto ciascuno di poterlo ritrovare in soluzioni tanto distanti l’una dall’altra. Cos’era dunque questo spirito originario? Quali questi perduti valori autentici che c’è chi pensa di poter ritrovare alla corte di Giorgia Meloni e chi bussando all’uscio di Nicola Fratoianni? I veri valori 5S sono così seminali da essere ovunque o semplicemente, una volta grattata la vernice del Vaffa, non esistono?” Forse, quest’ultima.

E’ successo anche in Sicilia. Al netto dei quattordici parlamentari regionali che resistono, cinque hanno fatto le valigie a metà legislatura, dopo aver lucrato sulla vicepresidenza dell’Assemblea. E dopo una fase di lunga e articolata transizione, in cui si autoproclamavano vera forza d’opposizione, sono migrati addirittura a destra. A fare da stampella all’armata Musumeci, grazie ai buoni uffici dell’assessore Ruggero Razza che non ha faticato più di tanto a convincere la compagna, Elena Pagana, e gli altri suoi seguaci, che sarebbe stata la soluzione migliore. Attiva Sicilia ha trovato spazio dentro Diventerà Bellissima, e come per miracolo si ritroverà nelle liste di Fratelli d’Italia appena sarà il momento. Nel frattempo è riuscita a ottenere la candidatura a sindaco per Matteo Mangiacavallo, ex grillino doc, in una città importante come Sciacca. Con quasi tutto il centrodestra a traino.

Una delle fuoriuscite del Movimento, Valentina Palmeri, s’è accorta in tempo di essere andata a un passo dall’azzardo e ha ripiegato sui Verdi, conservando le stimmate dell’opposizione. Come ha fatto Ignazio Corrao in Europa: stessa destinazione. Persino Cancelleri, ai tempi della furiosa lite fra Conte e Grillo, è stato tentato dall’abbandonare il Movimento. Giarrusso l’ha fatto davvero, perché dentro queste regole – così di parte, secondo l’ex Iena – faticava a ritrovarcisi.

Cappellini conclude il suo ragionamento parlando della volatilità e presunta ubiquità dei valori grillini. “La differenza tra i due approcci – scrive ancora su Repubblica – è spiegabile con il secolare motto “Francia o Spagna, purché se magna”. Un conto è scegliere di “magnare” conoscendo la differenza tra Francia e Spagna: “magnare” è più importante che discernere la politica. Altro conto è privilegiare il “magnare” perché si ignora la differenza tra Francia e Spagna, anzi la si nega proprio, come quella tra governare con la Lega e governare con il Pd. Nel primo caso è opportunismo, nel secondo qualunquismo. Quest’ultimo sì, un profondo e autentico valore grillino delle origini. Ecco perché l’Uomo Qualunque finisce ovunque”.