Da palazzo Reale, a Palermo, si leva un urlo di denuncia contro i diritti violati delle donne afghane. Che dallo scorso agosto, col ritorno dei talebani al potere, sono imprigionate in un dramma che sembrava dimenticato. La mostra di Steve McCurry apre il 29 marzo e ci ricorda che tutti gli oppressi hanno pari dignità. La Fondazione Federico II, ancora una volta, si misura con la storia, con una tragedia che si perpetua e annienta. Attraverso una narrazione fotografica ricca di pathos, affidata a un fotoreporter fra i più celebri, rappresenta l’oltraggio all’umanità. Restituisce, attraverso l’arte e la cultura, una presenza vigile e un luogo di memoria insuperabile. Ce ne parla la direttrice, dottoressa Patrizia Monterosso.
Dietro le mostre della Federico II c’è sempre un’attualità a tinte forti. Dietro la mostra ‘For Freedom’ quale messaggio si cela?
“Nel corso della storia del mondo è accaduto e continua ad accadere che alcune parole, portatrici di una straordinaria carica di significato, che simboleggiano il futuro del nostro vivere civile, perdano improvvisamente quella potenza acquisita nel tempo a seguito di battaglie, di un duro cammino di difesa dei diritti dell’uomo, di storie individuali e collettive che hanno determinato positivamente il rapporto di ognuno con le comunità e con le altre culture. Dunque occorre fare ricorso ad immagini che superino tempo e spazio e che divengano simbolo, storia e significato senza filtri. La mostra diviene il racconto fotografico di un dramma in pieno svolgimento, una continua tragedia che si perpetua di giorno in giorno, annullando qualsiasi forma di libertà di pensiero e di azione per tutte le donne e le bambine afghane”.
La sofferenza, non solo al femminile, sta segnando profondamente il conflitto ucraino. Ma spesso, come accaduto in Afghanistan dal ritorno dei talebani, fiumi di sofferenza vengono confinati nelle retrovie di tg e giornali.
“Il dramma delle donne afghane si è consumato in pochissimi giorni. Le donne in Afghanistan hanno perso ogni opportunità di diritto allo studio e di vita sociale. Sono bandite da ogni attività. Un percorso attualmente senza ritorno che rischia di scivolare nell’indifferenza. Abbiamo voluto proporre una mostra che desse voce a quelle donne che sono diventate in Afghanistan nuovamente invisibili e senza identità. La triste concatenazione attuale di eventi bellici nel mondo non deve togliere voce alle sofferenze inenarrabili imposte”.
La cosa più straziante per le donne afghane è aver assaporato la libertà ed essere ripiombate nella paura. Un’atrocità nell’atrocità. Oggi qual è la loro condizione?
“Oggi sono obbligate a vivere all’interno delle loro case e addirittura costrette a uscire esclusivamente accompagnate da un componente maschile della famiglia. Oggi appare utopistico il ripristino del riconoscimento dei diritti delle donne. Le donne sono vittime d’imposizioni da parte del regime dominante, incapaci di difendersi da qualsiasi forma di aggressione”.
Galeotta fu la visita di McCurry a palazzo dei Normanni, lo scorso ottobre. Come nasce la collaborazione con uno dei maggior fotoreporter al mondo?
“Gianfranco Miccichè, io e tutta la Fondazione Federico II abbiamo fatto tesoro dell’incontro con il grande fotografo che ha saputo raccontare l’Afghanistan negli ultimi quarant’anni «testimoniando le donne afghane tra violenze, miserie, speranze». Ecco dunque la mostra For Freedom: il racconto sotto forma di percorso fotografico di un mondo immortalato da Steve McCurry tramite elementi di riflessione che dalla bellezza dei ritratti conducono ad una interiorizzazione della realtà che si osserva”.
Cosa emerge dalle foto di McCurry?
“Occhi che raccontano un futuro che non esiste più. Tante possibilità ed emancipazioni stroncate. Una vera e propria involuzione dilagante di una società che prima era apparsa invece in fase di emancipazione e di fermento. La mostra For Freedom diviene narrazione della negazione di quella garanzia di libertà e di diritti per le donne afghane che sembrava potesse essere conquistata. Fondamentale il racconto artistico di McCurry cui i canoni fondanti delle sue opere sono spirito di fratellanza verso il prossimo e nella capacità di rispettare sé stessi e la nostra Terra. La bellezza delle fotografie di McCurry rimbalza continuamente tra significati passati e presenti, tra le speranze e le libertà un tempo acquisite e le atrocità del presente”.
Per questa mostra avete scelto un’area del palazzo che solitamente non è adibita a mostre. Perché?
“Il report realizzato dal fotografo pone come protagonista un oltraggio morale all’Umanità, la violazione dei diritti fondamentali, rendendoli oggetto di una documentazione e una narrazione fotografica dense di sentimento e di pathos ambientale e umano. Per tale motivo il Presidente Miccichè ha mostrato, ancora una volta, una grande sensibilità nel rendere Palazzo Reale un attrattore culturale vivo, dove l’arte è perpetuazione dell’immenso valore che la storia ha assegnato ad uno dei principali Monumenti Unesco del percorso arabo-normanno. Luogo, da sempre, snodo d’incontro tra Occidente e Oriente, dove solo l’anelito per il bello è sempre stato il comune denominatore capace di raccontare sinergie tra popoli e culture. L’allestimento delle foto di McCurry non poteva non essere un varco grazie al quale reimparare a guardare un mondo in cui le donne vivono la dimensione di un “ingabbiamento” nel tempo della nostra stessa esistenza. Per questo occorreva attraversarlo lungo il percorso di visita. Anche questi aspetti ideati dalla Fondazione e proposti al grande Steve McCurry divengono elementi fondanti della mostra nell’ambito del ragionamento di un allestimento che racconta arte e denuncia civile. Il valido supporto dell’architetto Stefano Biondo ha saputo tradurre nell’allestimento i contenuti e le prospettazioni essenziali perché la mostra divenisse sia esperienza visiva del fruitore, sia vera e propria testimonianza e interpretazione di un racconto forte”.
L’interesse per il genere femminile non è nuovo alla Federico II. Poco tempo fa, a palazzo Reale, è andato in scena un concerto nell’ambito del Festival delle Letterature Migranti.
“Il Festival delle Letterature Migranti ha costituito esperienza di collaborazione importante per la Fondazione Federico II per riaffermare il grande valore culturale della civiltà del Mediterraneo e la questione dei diritti umani. In particolare il concerto proposto in Cappella Palatina è stato un omaggio a tre compositrici appartenenti a generazioni, ambiti storici e culturali diversi. La grande collaborazione con il Conservatorio Scarlatti di Palermo, con il direttore artistico del Festival e il curatore della sessione musica hanno posto per la settima edizione il tema dei diritti delle donne al centro della questione dei diritti umani. La programmazione concepita con Gianfranco Miccichè ha però affrontato tali tematiche, già, nei tre anni precedenti con l’evento culturale e allestitivo Inside out, Acqua passata e la mostra Terracqueo. Il tema delle donne è stato nodale sin dall’inizio del nostro programma culturale sin dalle prime mostre: Santa Caterina e Santa Rosalia. Donne, prima che Sante. Donne che perseguivano i loro ideali oltre ogni schema culturale asfittico a costo della sofferenza estrema che le ha rese Sante”.