Il ruolo di Raffaele Lombardo nello scacchiere politico siciliano non è mai da sottovalutare. Tanto meno adesso che il leader degli autonomisti (oggi Mna) è uscito “pulito” dall’inchiesta per concorso esterno in associazione mafiosa e corruzione elettorale. E che, libero da impedimenti, ha ripreso a tessere la sua tela. Fatta di amicizie e di rapporti politici – talvolta solidi, talvolta ritrovati – coi “compagni” di un tempo, coi quali condivide molte preoccupazioni. Tra i più attuali, ci sono quelli con Raffaele Stancanelli, capitano silenzioso della fronda anti-Nello in Fratelli d’Italia; e con Gianfranco Micciché, che ha scelto di sacrificarsi sull’altare di palazzo d’Orleans per impedire che il governatore condanni il centrodestra alla sconfitta (“Se non fossi assolutamente certo che con Musumeci si perde, sarei felice di non toccare nulla”, ha detto il presidente dell’Ars).
Lombardo, però, ha ottimi rapporti anche con Cateno De Luca, fondatore assieme a lui dell’Mpa, di cui ha esaltato le doti amministrative, e che adesso si ritrova terzo incomodo per la sfida alla presidenza; e, non da ultimo, con Nino Minardo e la Lega di Matteo Salvini, a cui gli Autonomisti sono federati. Il politico di Grammichele, insomma, è il vero baricentro di un’alleanza che sembra ri-cementarsi attorno a un caposaldo: l’uscita di scena di Nello Musumeci. Che è tutto l’opposto rispetto a Lombardo: non riesce a essere inclusivo, a fare compromessi, a coltivare le amicizie e, soprattutto ad ascoltare i consigli. A partire da quelli del suo predecessore: “Ho sollecitato Musumeci perché desse luogo a uno straccio di confronto, ma non c’è stato nulla da fare…”, ha detto Lombardo al Foglio. “E’ legittimo che voglia ricandidarsi – ha aggiunto, nascondendo a mala pena il fastidio -. C’è, allo stesso tempo, il grande dissenso dei partiti della sua stessa coalizione, per come ‘non’ li ha trattati Musumeci. E’ stato allergico a dialogare, limitandosi al lavoro che ha ritenuto sufficiente con gli assessori nella giunta”.
E’ questo il punto di non ritorno. Anziché esaltarne la predisposizione al dialogo (e all’ascolto), questi mesi d’inferno istituzionale, coincisi con il palese voltafaccia sulla questione dei grandi elettori per il Quirinale, lo strappo “muscolare” e le frasi irripetibili rivolte ai parlamentari sui social, hanno acuito gli spigoli del presidente della Regione in carica. Il succo del discorso è che serviranno a poco i viaggi della speranza a casa della Meloni se in Sicilia nessuno è disposto a battezzarlo per la seconda volta. Ed è stato quel pranzo a tre con Lombardo, Stancanelli e Micciché, a Catania, che sembra aver determinato la fine di House of Cards in salsa sicula dopo appena una stagione.
Il palcoscenico lo allestisce e lo gestisce (anche) Lombardo: il quale, al netto del distanziamento sociale dalle cariche elettive (“imposto” da una vecchia promessa fatta alla moglie), continua a dare le carte con chirurgica precisione. Centellinando le uscite pubbliche e le interviste, spalancando la vecchia segreteria di piazza Galatea, a Catania, agli amici di sempre ed ergendosi ad acuto osservatore della realtà politica non soltanto siciliana. Grazie a una rete di contatti che si spinge fino alla Capitale: “Matteo Salvini e Giorgia Meloni? Balleranno insieme e si pesteranno i piedi, ma abbracciandosi. Invece di gridare per il dolore, sorrideranno forzosamente”, ha confermato l’altro giorno. Un’indicazione importante anche per il futuro della Sicilia. In casa Lombardo nessuno pensa a modelli alternativi. Né Draghi, né Ursula, né Metsola.
La conservazione dello status quo impone la ricerca di un modello bipolare che faccia a meno di Musumeci. E che magari sia in grado di cooptare De Luca, nonostante la resistenza di quest’ultimo. Se c’è uno in grado di far ragionare l’ex sindaco di Messina, però, potrebbe essere proprio Lombardo. “Ha capacità di lavoro fino allo sfinimento e coraggio quasi fino alla temerarietà” si è complimentato parlando con ‘La Sicilia’. Il capo dell’Mna sotto sotto continua a lavorare per l’unità del centrodestra, ma non disdegna alcune proposte provenienti dal campo avverso: tu tutte, quella di Caterina Chinnici, figlia del magistrato ucciso dalla mafia, che il Partito Democratico vorrebbe proporre per palazzo d’Orleans (giova, in proposito, l’ottimo rapporto con Anthony Barbagallo, anch’egli un passato autonomista). Nelle scorse settimane, però, Lombardo ha potuto conoscere personalmente anche Giancarlo Cancelleri, fra i primi a recapitargli un messaggio di felicitazioni dopo la sentenza d’appello. “M’è sembrato quasi più democristiano di me”, avrebbe raccontato l’ex governatore ai suoi.
La ragnatela di Lombardo abbraccia tutta l’Isola. E persino durante gli anni di purgatorio la sua presenza è stata tangibile. Solo in parte al governo, dove si è ripreso la scena grazie alla nomina di Antonio Scavone all’assessorato alla Famiglia. Ma soprattutto nel sottogoverno – dove ha piazzato uomini chiave in ruoli chiave (Gaetano Tafuri all’Ast, ora rimpiazzato da Santo Castiglione, padre di Giuseppe, presidente del Consiglio comunale di Catania; il cognato Francesco Iudica all’Asp di Enna) – e negli enti locali, dove ha continuato a macinare consenso. Le ultime affermazioni elettorali di un certo prestigio portano la firma di Pippo Greco (sindaco di Grammichele), Fabio Mancuso (ad Adrano), Vincenzo Corbo (a Canicattì). Quest’ultimo, comune dell’Agrigentino, sorge nella comfort zone di Roberto Di Mauro, vicepresidente dell’Ars, che ha il grande merito di aver traghettato gli autonomisti in questi dieci anni di limbo. E di averli mantenuti in vita nonostante le avversità capitate al leader.
Il quale ha resistito, in silenzio e nella sofferenza. E ora è pienamente legittimato a rimettere in campo le proprie competenze, dopo essersi dimesso nel 2012, prima della fine della legislatura, travolto da una bufera giudiziaria. Di quella bufera non resta che il suono dolce della parola “assoluzione”, oltre al rammarico di aver “sprecato” gli anni migliori di una carriera proiettata verso lo zenith. A differenza di Cuffaro, che negli ultimi tempi ha deciso di dedicarsi alla cantera di una Democrazia Cristiana nuova, infarcita di giovani, Lombardo riprende da dove aveva interrotto: dalla sua raffinatezza politica, dalla capacità di sorvolare gli steccati, di disfarsi delle etichette e dei pregiudizi, di parlare con mondi apparentemente inconciliabili.
La giostra è in movimento. E l’accoppiata con la Lega di Salvini rischia di avere un peso superiore rispetto a quello del tandem composto da Meloni e Diventerà Bellissima: “Secondo me la Lega nel Sud deve promuovere patti federativi con forze regionali, come in Sicilia e Sardegna”, ha detto l’ex presidente. Che s’era già portato avanti nel 2006, quando Salvini tifava Francia ai Mondiali di calcio (mentre Bossi guidava la compagine di Alberto da Giussano), confluendo nelle liste del Carroccio per le Politiche. E ha riproposto uno schema simile pochi mesi fa, sotto la spinta moderata e terrona di Minardo. Che sarebbe, per altro, il suo candidato ideale con vista sul palazzo della Regione.