La prima cosa che i detrattori rinfacciano a Nello Musumeci è l’ipocrisia. E, nel caso di specie, il tentativo di combattere l’oligopolio dei privati sulla monnezza proponendo un sistema – il project financing – che non solo prevede la realizzazione dei termoutilizzatori da parte dei privati, ma anche la loro gestione. Morto un business – che poi le discariche sono tutt’altro che morte – se ne fa un altro. L’obiettivo principe del presidente della Regione, ribadito nel corso della conferenza stampa di due giorni fa, è abbandonare lentamente l’abbancamento in discarica. Chiudere il ciclo in maniera alternativa, come fanno in Europa. Ma anche qui, pare, il governatore ha preso una cantonata. Gliel’ha ricordato Claudio Fava, presidente della commissione Antimafia: “Musumeci sa bene che la realizzazione di questo tipo di strutture non rientra nelle strategie europee sui rifiuti e sa bene che entrerebbero in servizio in un quadro normativo che punta alla produzione zero dei rifiuti, quindi in assenza, o quasi, di combustibile. Non è un caso – spiega il deputato dei Cento Passi – che modelli tanto sbandierati, come Germania, Danimarca e Olanda, stiano dismettendo i propri impianti proprio perché metodologia superata ed oramai antieconomica”.

In sostanza, secondo Fava, la Regione resterà indietro di trent’anni: “Avevamo le discariche mentre nel resto d’Europa si eliminava il conferimento in discarica e ora rischiamo di avere i termovalorizzatori mentre il resto di Europa li dismette”. Eppure, secondo Musumeci, non esiste altra soluzione: “Il risultato di 30 anni di politica dei rifiuti ci ha portato a un punto di non ritorno, ecco perché adesso bisogna correre. Raggiungere l’obiettivo della realizzazione dei due termoutilizzatori sarebbe un risultato storico, ma la nostra prima preoccupazione è vigilare sulla correttezza della procedura, cercando di essere quanto più celeri possibile. Non ci deve essere spazio per intrusioni criminali”. Il presidente crede, o vuole far credere, che questa mossa dei termovalorizzatori, a pochi mesi dalla scadenza del suo mandato, rappresenti una svolta in entrambe le direzioni: stroncare il business dei privati e accentuare le ricadute positive sull’ambiente, che così non finirebbe soffocato.

A meno di una ricandidatura, che la coalizione non gli garantisce, e una vittoria elettorale, il presidente della Regione non potrà bearsi del frutto del suo operato. Per la realizzazione di un termoutilizzatore – il costo di un singolo impianto può arrivare fino a 570 milioni di euro, con una capacità di trattamento fino a 450 mila tonnellate all’anno – potrebbero volerci da un minimo di 6 a un massimo di 57 mesi. La domanda è la seguente: perché Musumeci si è mosso così in ritardo e a ridosso delle elezioni? Per quasi quattro anni la sua linea sui rifiuti è stata ondivaga e, a ogni piè sospinto, Musumeci aveva dato l’impressione di volersi arroccare sul modello che oggi contesta.

All’eterna emergenza il suo governo aveva risposto, a gennaio 2018, con la concessione di un ampliamento per 1,8 milioni di metri cubi alla discarica della Sicula Trasporti, gestita dalla famiglia Leonardi, in territorio di Lentini. La stessa società finita in un’inchiesta denominata ‘Mazzetta Sicula’, culminata nell’arresto del patron Nino Leonardi, e poi rilevata – si fa per dire – da tre amministratori giudiziari. Oggi l’impianto di contrada Grotte San Giorgio è pieno all’inverosimile e non può smaltire come un tempo. La Sicilia orientale, l’estate scorsa, è finita a un passo dal default e aveva costretto il governo a una frettolosa exit strategy, per il momento abbandonata: ossia il conferimento dei rifiuti fuori regione. L’assessore all’Energia, Daniela Baglieri, s’era detta pronta a contribuire alle spese dei comuni per almeno qualche mese, ma l’operazione s’è rivelata un azzardo (sotto il profilo economico) ed è immediatamente rientrata.

Ma il governo Musumeci, nel 2019, aveva anche deciso di prorogare per dieci anni l’autorizzazione alla Oikos – la società della famiglia Proto – per abbancare i rifiuti nella discarica Valanghe d’Inverno, fra Motta Sant’Anastasia e Misterbianco, nel Catanese. Nel giro di poche settimane sarebbe arrivata una condanna a 9 anni di reclusione per Gianfranco Cannova, funzionario regionale, e a 6 anni per Domenico Proto, già proprietario della stessa Oikos, per un vorticoso patto corruttivo, in cui lo stesso Cannova, secondo quanto ricostruito dai magistrati, era diventato un “consulente tecnico” al soldo dei privati. La stessa autorizzazione, tempo dopo, è stata al centro di una procedura di riesame di cui non si hanno tuttora notizie. Allo stato dell’arte, anche se Musumeci lo vorrebbe fortemente, è impossibile che l’oligopolio venga azzerato. Anche perché i risultati sbandierati come “positivi” sul fronte della raccolta differenziata – il 47% rispetto al 42% di otto mesi fa – non bastano a scongiurare l’emergenza e il ricorso allo smaltimento in discarica. Quelle pubbliche sono poche e in parte esaurite (come a Bellolampo, dove non entra più una spilla), così il ricorso ai privati è l’unica arma rimasta. Al netto dei termoutilizzatori che verranno.

Nemmeno nel corso di questa legislatura la politica s’è assunta la responsabilità di provare a cambiare le cose. E’ quanto emerge dalla relazione, molto articolata, della commissione regionale Antimafia. “Sulla vicenda Sicula Trasporti – ha dichiarato Fava a maggio 2020, dopo l’approvazione della relazione finale (all’unanimità) – ho chiesto al dirigente generale attualmente in carica, Cocina, e a quello che l’aveva preceduto, Valastro, come sia stato possibile arrivare a un’autorizzazione per 1,8 milioni di metri cubi e attraverso quali valutazioni, considerate le preoccupazioni di quel periodo. Il vecchio dirigente mi ha detto che non se n’è mai occupato, il nuovo che era già tutto impiattato. E’ il classico scaricabarile, che non permette di individuare il luogo in cui si collocano la decisione e la responsabilità: se sul piano del governo o dell’amministrazione. Ed è la sensazione che ci hanno restituito 50 audizioni su vent’anni di ciclo dei rifiuti. Hanno tutti giocato a scaricare la palla delle decisioni su qualcuno assente dai nostri ragionamenti: il burocrate faceva riferimento a un funzionario; l’assessore dava la colpa al dirigente generale, e così via…”.

E ancora: “Se, in questi dieci anni, avessimo investito un decimo di quanto abbiamo dato ai privati, oggi avremmo impianti pubblici che lavorano i rifiuti, a monte, con la possibilità di conferire in discarica il 10% della spazzatura prodotta in Sicilia e non il 90%. Il dolo – diceva il presidente dell’Antimafia, ma il tema è attuale a distanza di venti mesi – non sta nell’aver tollerato questa situazione per dabbenaggine, ma nell’averlo voluto, perché c’erano dietro gli interessi di alcuni imprenditori che supplicavano di poter gestire un giro d’affari da 300 milioni l’anno”. Oggi i privati non escono di scena. Anzi. Alcuni vi entrano per la prima volta. Come l’azienda, ancora top secret, che vorrebbe realizzare un termovalorizzatore nei pressi di Bellolampo, a fianco della discarica. Sebbene – e questa è un’altra rimostranza nei confronti del governatore – l’osannato piano dei rifiuti, adottato dalla giunta (quando c’era ancora l’assessore Pierobon) dopo una lunghissima trafila tra Ministero dell’Ambiente e Cga, non ammette impianti di incenerimento.

L’ha detto in tutte le salse Giampiero Trizzino, deputato regionale e facilitatore per l’ambiente del Movimento 5 Stelle: “Il piano dei rifiuti, quello pubblicato ad aprile del 2021 – afferma Trizzino – rinvia ad un altro piano per la determinazione delle frazioni da inviare in eventuali inceneritori. Dunque, gli inceneritori non sono previsti. Sempre in tema di grandi contraddizioni – continua il parlamentare M5s – va sottolineato che costruire due inceneritori va contro il ragionamento dello stesso Musumeci, il quale propone di dividere la Sicilia in 9 ambiti territoriali e di garantire ad ognuno di essi l’autosufficienza”. La scelta di puntare sui termoutilizzatori, che per il presidente della Regione appare lineare e necessaria, per il mondo che lo circonda non lo è affatto.

Resta un’ultima vicenda. La legge sui rifiuti. Il sogno di una notte di mezza estate, abortito a novembre 2019, quando in aula andarono in scena la pantomima sui franchi tiratori (rei di aver cassato l’articolo 1 col voto segreto) e le accuse a Fava: “Con lo stop a questo ddl chi abbiamo fatto contento? Chi vuole bloccare questa legge? Ci vuole serietà ed etica della responsabilità”, tuonò in aula il governatore riferendosi al presidente dell’Antimafia e ai grillini, nella seduta più folcloristica di questa legislatura. Il ddl in questione, fra l’altro, si apprestava a diventare una legge sulla governance, sulla “scomposizione” di Ato ed Srr, sulla creazione degli Ada. Una combutta fra acronimi che nulla aveva a che vedere col cuore del problema: cioè come evitare l’emergenza, le infiltrazioni criminali, il business delle discariche. E come, al contrario, rendere i rifiuti una risorsa, alla stregua dei paesi e delle regioni più avanzate. Un discorso che la Sicilia dovrà affrontare ancora per qualche anno. In attesa di capire se la rivoluzione promessa da Musumeci – l’incenerimento – sarà vera rivoluzione. Oppure uno sterile tentativo di imboccare la strada più facile a pochi mesi dalle elezioni.