Dovrebbe essere una corsa spedita verso l’obiettivo finale: sfruttare la spaccatura del centrodestra e riprendersi la Regione dopo un governo che – voci di parte, evidentemente – giudicano peggiore di quello di Crocetta. Invece prevale l’ammuina. Non si sa bene quale sia il perimetro del campo largo; cosa significhi volerlo allargare ancora; né chi debba essere a guidarlo; tanto meno come scegliere il candidato. Questa lunga, lunghissima stasi del centrosinistra, però, diventa persino più imbarazzante se proiettata sulle prossime Amministrative di Palermo. Dove si insinua il dubbio che la politica, grazie ai disastri ereditati da Orlando, voglia entrare in punta di piedi, coprendo le proprie vergogne sotto la foglia di fico del civismo.

Ma andiamo per gradi. Claudio Fava, attuale presidente della commissione regionale Antimafia, lo scorso aprile aveva annunciato la propria candidatura alla presidenza della Regione. Dal Pd e dai Cinque Stelle non la presero bene, giudicandola una fuga in avanti. Fava spiegò che era l’unico modo per evitare la melina e aprire un dibattito: “Se non mi vogliono me lo dicano chiaramente”. Ma anche questo appello è caduto nel vuoto e dopo dieci mesi siamo qui a parlarne. Luigi Sunseri, tra i più attivi del Movimento 5 Stelle, aveva consegnato la propria disponibilità a scendere in campo e partecipare alla corsa. Anche attraverso le primarie, se necessario. Oggi, invece, s’interroga: “Che significa “campo largo”? Chi sono questi personaggi e questi partiti politici da aggregare a pochi mesi dalle elezioni? Quali sono gli obiettivi? E quali le ragioni sottese ad improbabili coalizioni?”.

Il Pd, che s’è rimesso al centro della scena dopo aver subito batoste inenarrabili, non sembra volersi accontentare di una coalizione “limitata” alla sinistra e ai Cinque Stelle. Il segretario Barbagallo, cui va il merito di aver raccolto i cocci della stagione renziana (finita con la detronizzazione di Faraone), sta cercando di proiettare il “campo largo” un po’ più al centro. Prima di Forza Italia, però, vengono +Europa, Azione, magari Italia Viva. E infine Miccichè. Barbagallo sa bene di dover “allargare il più possibile” per avere una chance di tornare a palazzo d’Orleans, anche se gli alleati naturali dell’attuale coalizione, con cui s’è lavorato bene a Sala d’Ercole negli ultimi due anni e mezzo, non sono convinti. La linea del M5s, ribadita più volte dal capogruppo Nuccio Di Paola, è quella di aggregare a partire da un progetto. E non da un partito.

Sunseri è addirittura tranchant, e a proposito dei “politici da aggregare” non si fa troppi scrupoli: “In Sicilia ci conosciamo tutti e li conosciamo tutti. Non sono gli stessi che stanno in politica da 20 anni, almeno? Non sono gli stessi le cui azioni e la cui strategia politica è pensata per continuare a dimorare saldamente dentro quei palazzi che qualcuno dice di voler far tremare? Chi sono questi politici riverniciati di nuovo? La Sicilia ha davvero bisogno dei vari Miccichè, Cuffaro, De Luca, Faraone? È possibile immaginare un cambio di direzione di questa maledetta Terra, finita in un baratro, con questi nomi nei posti chiave? Mi pongo un’altra domanda: in questo campo cosa vogliamo piantare e cosa vogliamo far crescere? Parliamo di questo, confrontiamoci sui temi”.

Per grandi linee, sono tutti sostenitori di questa tesi: ritroviamoci sui programmi. Ma chi mastica un pochino di politica, sa bene che le alleanze di scopo e le alchimie – anche strane – fanno parte di questo mondo. Inoltre il Movimento 5 Stelle ha poche armi a disposizione contro le eventuali imboscate: grazie a Giuseppe Conte, per il momento leader “congelato”, è rimasto senza un referente regionale che guidi le trattative. Uno che sieda ai tavoli con Barbagallo e la sinistra per capire da che parte andare e come muoversi. L’alternativa adottata fin qui – cioè le maxi delegazioni – non funziona. Anche se i dem danno la sensazione di non patire questo “vuoto di potere” giacché anche loro sono molto indecisi sul percorso da intraprendere. Se ne parlerà in direzione il 21 febbraio.

Lo stallo, però, va superato. Soprattutto a Palermo dove la costruzione del ‘campo largo’ rischia di essere molto più frastagliata. Al netto dei civici – c’è un progetto in itinere di Mariangela Di Gangi, attivista dello Zen – c’è una sinistra di governo, appollaiata sulle poltrone di Orlando (e di cui fanno parte anche i post-orlandiani, come il vicesindaco Fabio Giambrone), che non sembra affatto appassionata dall’idea di aprire di ragionare con il centrodestra. Ma nemmeno con il centro. “C’è la consapevolezza che governare una città come la nostra, in questo momento, è difficilissimo – ha spiegato a Live Sicilia l’assessore alla Mobilità, Giusto Catania, di Sinistra Comune – e quindi l’asse si sposta su un altro livello: non sul governo della città ma su come costruire lo scambio fra la Regione e il Comune, con Palermo che fa da tappa intermedia. Un ragionamento che rifiuto ma che sta facendo, oltre alla destra, anche un pezzo del centrosinistra. E non uso il termine sinistra perché parlo del Pd”. Il dem Francesco Boccia, dalle colonne di Repubblica, ha rilanciato l’ipotesi delle primarie pur sapendo di essere – per il Comune – già fuori tempo massimo: “Devono unire aree diverse e non essere, invece, un rodeo tra compagni di partito”, ha detto l’ex Ministro aprendo al M5s e suggerendo il modello Manfredi, risultato vincente a Napoli.

I veti incrociati silenziosi, però, non fanno il gioco dell’unità. Tendono ad allontanare il redde rationem e, di conseguenza, un accordo che tenga in vita la coalizione. Anche se le due partite, come ha detto qualche settimana fa Barbagallo, non sono sovrapponibili. A Palermo si chiede al Movimento 5 Stelle, da sempre oppositore del modello Orlando, di abbracciare una coalizione che fino all’ultimo dei suoi giorni ha difeso e continua a difendere le aberrazioni del sindaco (e il M5s, nonostante qualche mugugno, sembra disposto a starci). Alla Regione, invece, è il M5s a non sopportare l’idea di finire in braccio a Miccichè, sebbene, in passato, anche Giancarlo Cancelleri avesse manifestato interesse per un “modello Draghi” depurato dagli estremi (la Lega?). Ecco: c’è un evidente imbarazzo ad affrontare le questioni, a conciliare le posizioni, ad accettare compromessi. Il Pd affida buona parte delle sue speranze al sindaco di Messina, il “disturbatore”, per recuperare un pezzo del gap che la separa dal centrodestra ormai in frantumi.

Un centrodestra che continua a litigare ma che, almeno, dà prova di esserci. Mentre a sinistra l’unica tattica è attendere (che gli avversari si autodistruggano). Buttare sul tavolo qualche nome di sicura attrattiva – come quello di Caterina Chinnici – perché tanto i tasselli del puzzle andranno a posto da soli. Nel frattempo, all’Assemblea regionale, dove martedì è in programma il dibattito sul Pnrr e sulla gestione delle risorse da parte dell’assessore Razza, ci sarà spazio per l’ennesimo esercizio di ars oratoria, utile a ribadire quant’è brutto e cattivo Musumeci. Ma poi? A quale alternativa ci si affiderà per scalzarlo da quella poltrona scomoda? Chi deciderà cosa? E soprattutto, quando? La clessidra si è rovesciata già da un pezzo.