Forza Italia dà, Forza Italia toglie. La decisione di candidare Gianfranco Micciché alla presidenza della Regione, pone un ostacolo insormontabile sul percorso del ‘centrodestra unito’, che Musumeci sperava di cooptare nel prossimo autunno per rientrare – trionfante – a palazzo d’Orleans. L’ultima volta che Salvini pronunciò sui giornali il nome di un papabile candidato alla successione (il segretario regionale della Lega, Nino Minardo), il governatore replicò al vetriolo, dando l’aut aut al Carroccio: o con me, o fuori dal governo. La crisi rientrò nel giro di pochi giorni, grazie al lavoro paziente dello stesso Minardo, che garantì lealtà fino all’ultimo giorno della legislatura (non oltre). Ora è diverso. Non basterà un semplice ambasciatore per convincere Musumeci della “buona fede” di Forza Italia. Concetto richiamato in aula mercoledì, durante il dibattito sulla crisi negata. L’impianto del governo torna a vacillare, ma potrebbe bastare la premessa – “Nessun rinnovo tacito né espresso” – per chiudere un occhio. E andare avanti con questa precarietà.
FI, al netto delle voci contrarie o assenti, come nel caso degli assessori Falcone e Armao, e del senatore Renato Schifani, ha preso posizione. Pensa al dopo-Nello senza Nello. Poi, a fronte della ferita con l’endorsement per il presidente dell’Ars, ha scelto addirittura di rigirare il coltello nella piaga, facendo approvare la mozione di revoca nei confronti di Tuccio D’Urso, soggetto attuatore dell’emergenza Covid e fedelissimo del governatore. Non sono bastate all’ingegnere le scuse – un po’ forzate – recapitate a Micciché prima della seduta (“Ho profondo rispetto per il parlamento e non si ripeteranno fatti analoghi”) a seguito di alcuni post irriguardosi, pubblicati sui social, nei confronti dei parlamentari. Una votazione, fortemente osteggiata da Diventerà Bellissima, che ha finito per infliggere a Musumeci un’altra umiliazione pubblica (e palese) dopo quella di un mese fa, che aveva terremotato il governo. In questo intreccio di strategie una cosa è certa: Forza Italia e Musumeci, al netto degli assenti, non giocheranno più nella stessa metà campo.
L’aveva lasciato intendere lo stesso Micciché, qualche giorno fa, a Buttanissima: “Garantisco che con Musumeci non vinceremo più. Avrebbe dovuto tenere i rapporti coi partiti. Invece si vanta di non averlo fatto. Come puoi pensare di vincere con uno che si è fatto odiare? Chi dovrebbe votarlo?”. Giusto ventiquattr’ore prima del summit forzista, dall’aula era arrivato un altro avvertimento. Stavolta con la firma di Tommaso Calderone, capogruppo azzurro: “Noi onoreremo il patto stipulato nel 2017 – ha detto Calderone -, che però non prevedeva un rinnovo né tacito né espresso. Di questo discuteranno i partiti. In questo rogito, però, non ci faremo condizionare da notai romani”. Fino a ieri, inoltre, Miccichè s’è scagliato su Musumeci per non aver censurato il comportamento di D’Urso: “Sarebbe bastato per evitare un dibattito imbarazzante. Non si doveva arrivare a questo punto”. Invece ci si è arrivati. La mozione è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso.
Le divergenze sulla gestione della sanità, sul governo (e sottogoverno) a trazione catanese, sui rapporti incrinati con il parlamento e sul mancato coinvolgimento dei partiti, erano quattro buone ragioni per chiuderla qui. Ma c’è dell’altro. C’è un sentimento diffuso di intolleranza nei confronti dell’azione di Musumeci, che Miccichè, dopo aver proiettato sulla scena il fratello Gaetano (fin qui refrattario), ha provato a capitalizzare con una dichiarazione concisa: “Metto la mia eventuale candidatura a disposizione dei nostri alleati nazionali, Lega e Udc, e di tutti gli altri possibili alleati siciliani”. Miccichè non cita volutamente la “notaia romana”, Giorgia Meloni, e Fratelli d’Italia, unico partito a rimanere fuori dal dibattito. Ma lascia le porte aperte a chi, nel centrosinistra o dalle parti di Messina (il sindaco dimissionario Cateno De Luca), abbia orecchie per intendere. La Lega offre una fessura: “Abbiamo grande rispetto per il dibattito interno a Forza Italia – spiega Minardo – e prendiamo atto della proposta avanzata alla coalizione. Per quanto ci riguarda, di candidature se ne parlerà al momento opportuno”. Gli Autonomisti, con Di Mauro, evidenziano che la candidatura di Micciché è “un fattore di chiarezza che consentirà di avviare un confronto costruttivo tra candidati e programmi nei partiti della coalizione di centrodestra”.
La mossa di Micciché, come smozzica al telefono un big del centrodestra, potrebbe avere un duplice obiettivo: attivare una procedura d’emergenza che parta da Roma per riunire il centrodestra (nonostante la discrepanza fra Salvini e Meloni); e fare tabula rasa dei nomi, privando Musumeci della possibilità di guidare una coalizione che lui ha contribuito a frammentare. Non è detto che il presidente della Regione accetti di farsi da parte, ma l’operazione per isolarlo sembra entrata nel vivo.