Governare la Sicilia è diventata un’impresa. A tutti i livelli. La Regione non ha più un euro per finanziare gli interventi di somma urgenza da parte della Protezione Civile su un territorio devastato dal maltempo e dai crolli; le ex province sono ancora vive, ma non “esercitano” perché mancano progetti e progettisti, oltre ai soldi; per non parlare dei Comuni, stretti nella morsa di una crisi finanziaria senza precedenti. L’attesa per un ritorno alla normalità è vana e si prolunga da anni. E le pretese della politica di incidere sul governo del territorio, sbatte sulle condizioni poste da Roma: che, ad esempio, non ha ancora concesso (ma lo farà) il via libera a un accordo con la Regione, che permetterebbe di liberare 66 milioni di euro e chiudere, in questo modo, le variazioni di Bilancio. Un passaggio utile a ripristinare i capitoli della Protezione civile, per intenderci. Indagare le responsabilità è utile, ma non decisivo: la Sicilia, colpita da una sciagura dopo l’altra, ha la testa sott’acqua.
Sulla Statale 113, in zona Torrazza, è venuto giù un pezzo di carreggiata. E’ sprofondato sotto il livello dell’asfalto mentre – per fortuna – non ci passava nessuno sopra. Fra Termini Imerese e il bivio di Cerda le comunicazioni sono interrotte. E’ chiuso lo svincolo per l’accesso alle autostrade A18 e A19. Dovrebbe intervenire l’Anas per rimettere l’arteria in sicurezza (limitando, al contempo, la circolazione). Ma non è solo quello. Il sindaco Maria Terranova, divenuto da qualche giorno vicepresidente nazionale dell’Anci, non sa che pesci prendere: “Ho richiesto agli organi competenti, tra cui la Presidenza della Regione Siciliana, il riconoscimento dello stato di calamità, in ragione degli ingenti danni subiti dal patrimonio pubblico e privato. Il maltempo ha causato cedimenti, allagamenti, frane, smottamenti e ingombro di detriti che hanno danneggiato gravemente strade statali e provinciali, strade di accesso alle abitazioni, strade comunali. Per non parlare dei danni subiti dall’agricoltura. A fronte di tali problematiche, i Comuni, con le loro forze e con le scarsissime e residuali risorse finanziarie, hanno eseguito e stanno tuttora eseguendo interventi urgenti ma non possono, in alcun modo, procedere alla realizzazione di interventi strutturali di messa in sicurezza”.
Interventi che le pastoie della burocrazia ridurranno in brandelli. Anche la proclamazione dello stato di crisi e di emergenza, che il governo Musumeci ha già avanzato per i numerosi episodi di maltempo di quest’autunno, richiedono tempi lunghi. I Comuni non hanno un centesimo e nemmeno le strade provinciali, di cui dovrebbero occuparsi Liberi Consorzi e Città Metropolitane, otterranno le cure appropriate. Di ex province si continua a discutere solo all’Ars, dove ieri è stato votato l’ennesimo rinvio delle elezioni di secondo livello. La stagione dei commissari verrà prorogata fino alla prossima primavera. Le consultazioni indette per il 22 gennaio sono state cancellate con un colpo di spugna trasversale da parte di maggioranza e opposizione. Non sarebbe cambiato molto. Le province, infatti, risultano “cancellate” dal 2013, quando Crocetta decise di abolirle con una mossa populista e sconclusionata in diretta tv, da Giletti. Senza tener conto però delle loro funzioni: dalla manutenzione della viabilità secondaria e degli edifici scolastici, passando per l’assistenza ai disabili. Pratiche rimaste in pancia a un ente senza arte né parte e soprattutto senza soldi.
Il Libero Consorzio comunale di Siracusa non approva un bilancio consuntivo dal 2017. Ed è in una situazione di profondo rosso. Gli altri non navigano in buone acque, e non hanno mezzi per intervenire. Soprattutto sulla manutenzione stradale. Molti percorsi sono preclusi per la presenza di buche e asfalto dissestato. Frutto degli eventi atmosferici che hanno reso, ad esempio, non più percorribile il tratto fra San Cipirello e Corleone, nel Palermitano; o la strada che collega il piccolo comune di Campofelice di Fitalia a Mezzojuso. Lo ha scritto Repubblica qualche giorno fa. Eppure sui commissari piovono centinaia di citazioni civili per gli incidenti provocati dalle arterie dissestate. E a farne le spese, finendo spesso sotto processo, sono anche gli ingegneri e i responsabili degli uffici. Un effetto a cascata che li ha resi sempre più vuoti: negli anni i dipendenti delle ex province sono passati da 7 a 5 mila. Non sempre vengono pagati in maniera puntuale. Il presidente dell’Anci Sicilia, Leoluca Orlando, ha denunciato la “carenza di figure apicali nelle strutture tecniche delle nostre Città metropolitane, che necessitano di un concreto supporto economico e strutturale mediante l’inserimento di adeguati profili professionali abilitati alla redazione dei progetti”. Anche il Pnrr mette in palio una bella cifra (circa 2,5 miliardi) per il recupero del patrimonio edilizio e per migliorare il decoro urbano, ma il termine ultimo per la presentazione è il 7 marzo. Per i Liberi Consorzi e le Città Metropolitane sarà impossibile partecipare.
I Comuni, da parte loro, continuano a vivere sulla graticola. Siamo letteralmente sprofondati per ‘qualità della vita’, come ha appurato l’ultima classifica stilata dal Sole 24 Ore. Tutte le città siciliane occupano i bassifondi. La meno peggio è Agrigento, all’84.esimo posto su 108 (ma al primo posto peer qualità dell’aria). Catania è alla posizione 102, Trapani alla 106. Una sciagura. Non basta l’esposizione al mare o il gran vanto delle bellezze artistiche per proiettarci in vetta. Servirebbero altri criteri che le nostre città non possiedono. Anzi, bisognerebbe guardare i numeri in prospettiva per rendersi conto – al netto dei criteri adottati e sviscerati dagli addetti ai lavori – che una piazza come Palermo non potrebbe ambire a qualcosa di meglio del 95.esimo posto, considerata la sua attuale decadenza. Una decadenza acclarata all’interno delle istituzioni e per strada (in senso letterale). Il deputato della Lega Vincenzo Figuccia, assieme al Codacons, ha promosso un’azione legale che “vedrà costituirci parte civile contro il Comune” per denunciare il sistema delle buche: “Palermo come un campo minato – scrive Figuccia in una nota – è diventata una vergogna nazionale, il pericolo più grande per automobilisti e pedoni che, per andare a lavoro, fanno quotidianamente gincana evitando danni e incidenti. Buchi in bilancio, buchi nei servizi, adesso buche sulle strade”.
La sofferenza finanziaria di Palermo è storia nota. Anche se il sindaco Orlando, rispetto alle indicazioni del suo ragioniere generale, per il momento preferisce non dichiarare il dissesto. Ma entro la fine dell’anno dovrebbe, quanto meno, rendere noto il piano di riequilibrio per scongiurare il default. Spera, prima, nell’intervento da parte dello Stato. A Roma, infatti, si ragiona su un emendamento alla Legge di Stabilità per offrire una sponda economica alle città con gravi deficit di bilancio (anche Napoli e Torino fanno parte del lotto), in cambio di una serie di impegni sul fronte della riscossione, del patrimonio, della fiscalità. Anche il senatore Faraone aveva annunciato un aiutino da 75 milioni, come quota parte di un contributo complessivo da 150 milioni per tutti i Comuni siciliani. Palermo è la città in cui si fatica a misurare persino il concetto di dignità, dato che al cimitero dei Rotoli, in attesa dei loculi temporanei, e del finanziamento promesso da Roma, le bare rimangono accatastate al freddo e al gelo di un tendone. E in cui non si riesce più ad organizzare il Natale, se non fosse per qualche stratagemma o l’ausilio dei privati.
La prima ad aver sperimentato il dissesto, qualche anno fa, fu Catania. Che oggi si misura con altre forme di precarietà: una raccolta differenziata all’11% (l’assenza di una discarica in cui conferire, per un periodo, ha fatto straboccare i marciapiedi di monnezza); le alluvioni, come quella di fine ottobre che ha devastato via Etnea e le attività del centro; la cenere vulcanica che ammorba il circondario dell’Etna, provocando disagi sotto il profilo economico. Mentre Messina, che sta facendo qualche passo avanti sul fronte dei rifiuti e si è salvata per il rotto della cuffia dal precipizio dei conti, è ancora segnata dalle difficili condizioni abitative di alcuni villaggi, che solo grazie all’impegno del Ministro Carfagna si sta iniziando a sbaraccare dopo oltre un secolo di incuria.
E’ una rara eccezione all’immobilismo (forzato) delle istituzioni siciliane. Che da queste parti faticano a incidere: hanno le armi spuntate, i conti prosciugati, una cattiva fama che li precede. La Regione, artefice e vittima di una mala gestio che dura da anni, sta pagando i rapporti incancreniti con Roma. La scarsa fiducia sul percorso – segnato ma ignorato – di risanamento dei conti attraverso una riqualificazione della spesa. Andare col piattino in mano, pretendere svolte sull’insularità, ottenere risorse in forma di compensazione, potrebbe risultare l’ennesimo esercizio sterile.