Il grato, lunghissimo applauso che il pubblico milanese della prima della Scala ha ieri tributato a Sergio Mattarella, primo Presidente siciliano della Repubblica, mi ha commosso. In fondo, noi meridionali desideriamo ancora essere riconosciuti dagli altri italiani come coautori e non solo come passivi e neghittosi percettori dell’impresa nazionale. Quel che è stato è stato, certo, gli eccessi coloniali della fase unitaria non possono cancellarsi, anche se la storiografia ufficiale per troppo tempo ha stentato a raccontarli. Il primo Presidente del Consiglio a visitare il Mezzogiorno fu Zanardelli, nel 1902, oltre quarant’anni dopo l’annessione al Regno di Sardegna. E come dimenticare la iattanza, quando non l’autentico disprezzo, con cui il nord industriale ha integrato, giocoforza, i cafoni meridionali, a milioni, nel miracolo economico del dopoguerra? Servivano braccia, sono arrivati uomini e donne, troppo diversi. Né, d’altronde, alla causa unitaria ha giovato il piagnisteo meridionale, le impotenti geremiadi di un popolo troppo a lungo incapace di ergersi a costruttore del proprio destino, rassegnato alla indecorosa e subalterna prassi del sussidio e del favore.

Ma voltare pagina si può, si deve. Il Presidente Mattarella e la Scala di Milano sono due simboli del Paese, che nella serata di ieri si sono reciprocamente riconosciuti: il grande teatro di fama universale, perfetta espressione culturale e artistica di una città avanzatissima, non più solo “vicino all’Europa”, come cantava Lucio Dalla, ma già, da tempo, la quintessenza del continente, e il saggio, lungimirante galantuomo venuto dal sud, dal centro del pensiero classico, portatore di una visione serena, ispirata ma inflessibile del suo ruolo di custode della Costituzione e dell’equilibrio istituzionale. I due mondi che quei simboli rappresentano, l’uno senza l’altro rimarrebbero province, avvelenate e rimpicciolite dall’egoismo e dal risentimento, insieme sono l’Italia. Ma l’interesse comune non basta, occorre l’affetto. Nello scrosciante battimani di ieri mi è parso di sentirlo.

(tratto da Facebook)