L’assunzione di nuovi orchestrali, nonostante un buco da dieci milioni nel Bilancio 2020, è l’ultima delle anomalie registrate alla Foss, la Fondazione Orchestra Sinfonica Siciliana. Un ente a uso e consumo della politica, che ha fatto scadere uno dei fiori all’occhiello della cultura musicale dell’Isola (l’istituzione della Sinfonica risale al 1951). Sono tanti gli esempi di mala gestio. Quelli degli ultimi anni confermano una tendenza a cui nessuno del governo Musumeci è riuscito a opporsi.
IL CONTENZIOSO DI ESTERINA – A dicembre 2018, a qualche mese dalla scadenza del suo mandato, il sovrintendente della Foss, Giorgio Pace, viene licenziato in tronco dall’assessore al Turismo dell’epoca, il meloniano Sandro Pappalardo (prima di migrare all’Enit e lasciare la poltrona a Messina). Si innesca un cortocircuito che porta a sei mesi di polemiche e vacatio. In cui torna alla ribalta, per riprendersi un incarico che era già stato suo dal 2007 al 2013, Ester Bonafede. L’ex assessore di Crocetta è spalleggiata da un partito intero: l’Udc. Sembra tutto apparecchiato per il gran ritorno – arriva persino la nomina del Consiglio d’Amministrazione – finché i giornali non scoprono un contenzioso fra Esterina e la Fondazione di circa 40 mila per l’acquisto di mobili e suppellettili inutili, ancora cellofanati nelle stanze del teatro. Con quei soldi erano stati pagati anche cinque bolli auto per un’Alfa 155 di cui la Fondazione non avrebbe mai usufruito. Ma c’è dell’altro: un paio di stipendi arretrati che la Bonafede pretendeva, e che il Cda non voleva scucire a causa di una presunta incompatibilità (Esterina fu nominata sovrintendente mentre ricopriva l’incarico di assessore al Lavoro).
LA REVOCA DELLA BONAFEDE – Su quest’ultimo punto la terza sezione del Tribunale di Palermo ha dato ragione all’esponente dell’Udc, che però è stata condannata al risarcimento di 14 mila euro per l’acquisto di beni “del tutto superflui effettuati ad insaputa del Cda”. Ma il contenzioso, un anno prima del pronunciamento dei giudici, aveva già spazzato via i sogni di gloria dell’ex assessore. Il presidente del Consiglio d’Amministrazione, l’avvocato Stefano Santoro, a giugno 2019 decise per la revoca del procedimento: la Bonafede, infatti, non era riuscita a produrre le dichiarazioni attestanti “l’insussistenza di cause di incompatibilità e di inconferibilità” dell’incarico, come da contratto. Ne nacque una querelle politica senza precedenti: anche il presidente dell’Assemblea, Gianfranco Micciché, oltre a una furibonda Eleonora Lo Curto (capogruppo dell’Udc all’Ars), chiesero le dimissioni di Santoro. “E’ stato scelto dalla politica – disse Micciché -. Se lui non si assume la responsabilità delle scelte che la politica gli chiede, è meglio che faccia un passo indietro”.
LE DIMISSIONI DI SANTORO – Accadrà qualche tempo dopo, e per un altro motivo. Cioè il braccio di ferro con gli “Amici della Musica”, che ha determinato l’intervento del Comune di Palermo affinché fosse rinnovata la concessione che prevedeva l’utilizzo del Teatro Politeama da parte dell’associazione per 40 giorni all’anno (Santoro, invece, lo riteneva “illegittimo”, visto un presunto debito pregresso pari a 671 mila euro). Intanto, nel ruolo che doveva essere di Bonafede, s’era insediato il catanese Antonio Marcellino. I cui rapporti – non buoni – con alcuni membri del Cda, avrebbero determinato le dimissioni di massa (che hanno portato all’impasse attuale), oltre al suo addio. E’ durante la sua gestione, a ottobre 2019, che Repubblica svela l’altarino delle spese pazze.
LE SPESE AL RISTORANTE – Tutto ha inizio da Massimo Provenza, direttore amministrativo della Foss, che mette in nota spese, per l’ente, un conto pagato in un ristorante romano di 699 euro. Oltre al cibo prelibato, tre bottiglie di vino (per 156 euro) e tre bicchieri di distillato 15 euro l’uno. Il manager – come rivelato dal quotidiano – si era auto liquidato la somma con un ordine di pagamento firmato anche dal sovrintendente Antonio Marcellino e dal presidente Stefano Santoro, protocollato l’11 settembre dello stesso anno. Sebbene la Fondazione, a quell’epoca, non navigasse nell’oro: la Regione era intervenuta direttamente con un prestito per coprire un buco da sette milioni. Nel giro di qualche giorno Santoro dispose il rimborso della cifra a mezzo bonifico bancario. Ma il danno, ormai, era fatto. E coincise con l’invio di tre commissari da parte della Regione per verificare sul groviglio di sprechi e storture (anche sotto il profilo amministrativo) che avevano segnato quegli anni. A partire dalle esenzioni dal lavoro – poi abolite da Santoro – che avevano permesso a 72 maestri d’orchestra di rimanere a casa (fino a cinque mesi, ferie escluse), pur essendo regolarmente retribuiti con 4.800 euro al mese. Ma finirono nell’occhio del ciclone anche i compensi dell’ex sovrintendente Pace, che ad avviso di Riggio (l’ex presidente del Cda) e dello stesso Santoro, sarebbero stati in parte non dovuti. “L’indennità – disse Santoro – è più alta rispetto al tetto stabilito dalla Regione, oltre al fatto che, essendo in quiescenza, per la legge Madia non avrebbe dovuto proprio percepirla un’indennità”.
LE DENUNCE PER ASSENTEISMO – E’ una valanga travolgente che si arricchisce di picchi inattesi: come quello del novembre 2020, quando la Procura di Palermo denunciò 47 persone (fra cui trenta lavoratori ex Pip, 15 amministrativi e un paio di orchestrali) per truffa aggravata in concorso nei confronti della Regione. Questi dipendenti, dopo aver passato il badge, si allontanavano dal luogo di lavoro senza alcun permesso. Non è un caso l’ultima richiesta dei Cinque Stelle: “Chiediamo che nei nuovi locali in cui saranno trasferiti gli uffici della Fondazione, siano installate apparecchiature per le timbrature del personale. Non vorremmo che si ripetessero spiacevoli episodi registrati nel recente passato”. La Schillaci, per la verità, propone di utilizzare parte dei fondi previsti dal Pnrr per Turismo e Cultura anche per la manutenzione del Politeama che “ha importanti problemi strutturali”. Questioni aperte ce ne sono una miriade. Ma la politica non ha mai voluto fare ordine. Forse il carrozzone della musica ha ragioni che la ragione non conosce.