Quasi in sordina Nello Musumeci s’è presentato al cospetto di Matteo Salvini – dopo che settimane fa aveva lanciato alla Lega una specie di ultimatum per uscire dal “suo” governo – a chiedergli un impegno dei ministri del Carroccio su alcune cause siciliane (come la disponibilità della città di Catania a ospitare lo stabilimento Intel, proposta in parte scartata dal ministro Giorgetti). Fin qui la versione ufficiale. In realtà, nel vertice di ieri al Senato, s’è parlato d’altro. Anche se la discussione, scivolata velocemente sul tema della ricandidatura, è abortita di fronte alla diffidenza di Salvini, che del governatore siciliano non si fida più. Altrimenti non avrebbe proposto un candidato della Lega per palazzo d’Orleans. E non avrebbe ‘ingaggiato’ uno dei suoi detrattori più importanti, come Luca Sammartino.
L’atteggiamento spregiudicato di Musumeci ne ha subito risentito. Tanto che alla prima occasione utile – un’intervista a ‘Un giorno da pecora’, la trasmissione di Rai 1 – ha spiegato che parlare di ricandidatura a un anno dalle elezioni sarebbe “presuntuoso”. In realtà Musumeci, da un anno a questa parte, non fa altro. Nelle interviste rilasciate a tv, siti e giornali, ma anche nelle occasioni pubbliche (come la kermesse organizzata allo Spasimo dal suo governo), il presidente non ha mai predicato prudenza. E soprattutto non ha mai fatto mistero delle proprie ambizioni: portare avanti, per altri cinque anni, un piano di risanamento di questa Regione che s’è maldestramente arenato di fronte agli spasmi della pandemia. Per raccogliere, in questo modo, il frutto del suo impegno.
Da ieri, però, il governatore prova a dissimulare. Decidendo di posticipare il momento della scelta all’estate prossima. Codificandolo con un’altra chiave: la collegialità. Sarà la coalizione, in sostanza, a decidere. Strano per uno che non ha mai “ammesso” i partiti nella sua attività di governo. E che, per citare Micciché, li ha trattati quasi come un cancro. In questo nuovo mood c’è certamente un pezzo di strategia: tenere in ghiaccio le proprie intenzioni limiterà il margine di manovra di quelli che non lo vogliono (e sono in tanti). Ma c’è anche un pezzo di realtà: molti degli alleati, a partire da Salvini e dalla Lega, non sono affatto convinti di affidargli le chiavi della Regione per un altro quinquennio. Persino la Meloni, che sembrava prossima a un riavvicinamento – dopo aver subito sulla propria pelle lo snobismo del governatore – ci sta riflettendo su. Non sarebbe convinta della bontà dell’operazione proposta (che un pezzo del suo partito, in Sicilia, osteggia apertamente): cioè creare una lista unica con Diventerà Bellissima alle Regionali. Anche Forza Italia, negli ultimi tempi, è tornata a dubitare della buona fede del presidente: “Dice di essere ricandidato, ma non si comporta come tale”, è stato l’appunto di Micciché. Per non parlare dei cespugli centristi – da Romano a Cuffaro – che mai hanno nascosto i propri interrogativi sul proseguo dell’esperienza.
Ecco, se da un lato Musumeci vorrebbe giocare d’anticipo standosene fermo, dall’altro è la coalizione che lo costringe a mettere da parte (momentaneamente) le proprie ambizioni sfrenate. Qualcuno lo attende al varco per tendergli il tranello. Ma Nello uomo furbo è. Non sarà facile sbattergli le porte in faccia. Se avverrà, ha già pronto un piano di riserva: candidarsi da solo. “Sarò in campagna elettorale alle prossime Regionali: vedremo se i candidati saranno due, tre o quattro…”. L’ha detto proprio lui, Musumeci, non più tardi del 26 ottobre scorso. Lo stesso Musumeci che oggi mette da parte la presunzione e diventa improvvisamente umile. Alla fine, molto probabilmente, resterà solo con i suoi tre moschettieri: Ruggero Razza, Manlio Messina e Gaetano Armao.