A pochi giorni della tremenda alluvione che ha colpito il Catanese, procurando tre vittime, la politica siciliana torna a premere sul Ponte. Dimostrando – per l’ennesima volta – scarso attaccamento alla realtà. E pessimo amor proprio. Quella del collegamento stabile sullo Stretto, è una recita che non fa più ridere. C’è solo uno studio commissionato dal Ministero per le Infrastrutture e la Mobilità sostenibile, stop. Poi ci sono trent’anni di intollerabili prese in giro ai danni del popolo siciliano, che alle prime piogge vede il proprio territorio sgretolarsi. Da Mondello a Scordia ad Augusta. Le opere contro il dissesto, che secondo Musumeci sarebbero costate alla Regione 400 milioni negli ultimi tre anni, ancora non bastano. Ci vorrebbe un piano da tre miliardi, ha detto il governatore. Ma il suo vice, Gaetano Armao, insiste con il Ponte sullo Stretto.
Ogni occasione è buona. Armao, in questi giorni, ha ritirato fuori dal cilindro la storia dell’insularità (altro cavallo di battaglia). Cioè il riconoscimento dei costi dovuti al nostro “essere isola”. Una tassa occulta da circa 6,5 miliardi, come dice uno studio realizzato dalla Regione con Prometeia e le università siciliane. Mille e trecento euro cadauno. “I costi annuali sono gli stessi che servirebbero a costruire il Ponte sullo Stretto”, ha spiegato il responsabile dei Bilanci (di cartone). Omettendo che basterebbe la metà dei soldi – a detta del suo stesso presidente che i quattrini li chiede all’Europa – per risanare l’intero territorio siciliano. Chissene. Viene prima la magnificenza del Ponte. Un’opera mastodontica senza eguali sul globo terrestre. Una fesseria cavalcata da governi e governanti senza pudore. Un’operetta per illusionisti e per progettisti senza scrupoli. “Sembra impossibile che non si trovino le risorse”, ha detto ancora Armao, riferendosi alla valanga di denaro che arriverà in Sicilia nei prossimi 5-6 e che l’Isola, col personale ridotto all’osso, rischia di non poter drenare.
Facciamo così. Costruiamo questo benedetto Ponte e per un anno avremo abbattuto i costi dell’insularità. E dopo che succede? Quando avremo smesso di specchiarci sulle tre campate (o sulla campata unica) fra Reggio e Messina, e ci accorgeremo che un singolo investimento non può cambiare il corso della storia, torneremo a investire qualche spicciolo sulla viabilità secondaria? Chiederemo al governo centrale di ripianare per davvero il gap infrastrutturale col resto del Paese? Ci appelleremo a un nuovo Recovery Plan – dato che questo rischia di diventare un’occasione persa – per curare le ferite di un territorio martoriato da decenni di incuria e di clientelismo da parte della politica? O credete che basti un ponte per prendere in giro 5 milioni di siciliani?