Tra le fughe in avanti di Musumeci, i mal di pancia sovranisti e gli esperimenti di Miccichè, c’è un fattore che in pochi, nel centrodestra, considerano: il ritorno alla politica attiva di Raffaele Lombardo. Non si sa come né quando. L’ex governatore di Grammichele, infatti, è ancora alle prese con il processo-bis di Catania, in cui è accusato di concorso esterno in associazione mafiosa e corruzione elettorale aggravata. La prossima udienza è in programma il 16 novembre, a ruota arriverà la sentenza. Lombardo, in un modo o nell’altro, ne uscirà prima, molto prima delle Regionali. In tempo utile – in caso di assoluzione – per far sentire il proprio peso, che non è mai mancato nemmeno alle ultime Amministrative: gli Autonomisti, infatti, si sono aggiudicati due sindaci nei comuni al voto col proporzionale, Adrano e Canicattì. Oltre a riconquistare Grammichele, il feudo indiscusso dell’ex presidente della Regione, con quello che è stato il suo capo di segreteria: Pippo Greco.
Ma andiamo con ordine. Lombardo ha rinunciato alla politica attiva dopo le dimissioni del 2012, con qualche mese d’anticipo sulla fine della legislatura. Per lui è cominciato un calvario infinito nelle aule di giustizia, che non si è ancora esaurito. Nel 2018, infatti, la Suprema Corte di Cassazione ha deciso di annullare la sentenza di secondo grado, che era terminata con l’assoluzione dall’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa e con la condanna, parimenti, per corruzione elettorale aggravata dal metodo mafioso (pena sospesa). Il rinvio alla Corte d’Appello di Catania ha riaperto la questione, oltre che le ferite nella carne viva dell’ex governatore, che lo scorso 11 maggio s’è dovuto sorbire gli ultimi strali della Procura: una richiesta a 7 anni e 4 mesi di carcere per la presenza di un patto mafioso-elettorale fra Lombardo e alcuni esponenti della mafia catanese. Una tesi completamente rigettata dalla difesa, che ha parlato di capo d’imputazione “mostruoso”. Questo lungo preambolo serve a stabilire un fatto: che il politico di Grammichele ha, o avrebbe, ben altro a cui pensare.
In parte l’ha fatto. Evitando telecamere e dichiarazioni. Centellinando le apparizioni pubbliche. Limitando la propria attività politica a incontri e telefonate coi “colonnelli”. Ma Lombardo c’è. E’ uno dei protagonisti più pensanti e pragmatici della scena. Difficilmente fa il passo più lungo della gamba e intrattiene – tuttora – rapporti privilegiati con molti esponenti regionali e nazionali. In primis quello con Matteo Salvini. Non sfugga, infatti, l’incontro di qualche settimana fa a Montecitorio col segretario della Lega, alla presenza di Nino Minardo e Roberto Di Mauro. Quest’ultimo, vicepresidente dell’Ars, è l’attuale frontman del Movimento per la Nuova Autonomia (Mna). Artefice di una federazione con il Carroccio che ha portato i due partiti a collaborare all’Ars e fuori dall’Ars.
Il peso elettorale di Lombardo, e la sua capacità d’influenzare la politica siciliana (ne è prova la presenza a macchia di leopardo negli organi di sottogoverno) si è manifestato anche alle ultime elezioni Amministrative. Di Grammichele s’è già detto: il nuovo sindaco è Pippo Greco, che nelle urne ha spazzato via cinque anni di grillismo. Greco è stato il capo della segreteria politica di Raffaele Lombardo, che nei suoi anni alla Regione l’ha piazzato in Cda di prestigio: dalla Serit alla Crias, passando per l’incarico di commissario liquidatore del consorzio Asi di Caltagirone. Ma Greco è anche stato assessore provinciale a Catania. Un altro protagonista della stagione lombardiana è Fabio Mancuso, da poco eletto sindaco di Adrano, comune da 40 mila abitanti nella provincia etnea. Mancuso, deputato della XV legislatura, è stato il presidente della commissione Territorio e Ambiente all’Ars. Fra le liste che lo sostenevano alle ultime Comunali, svettava il simbolo della colomba bianca del vecchio Mpa. E di recente è entrato nel gruppo di lavoro di Antonio Scavone, assessore al Lavoro legatissimo a Lombardo.
Ma tra i primi cittadini autonomisti, o simpatizzanti tali, c’è anche Vincenzo Corbo, eletto sindaco per la terza volta a Canicattì, nell’Agrigentino. La terra di Roberto Di Mauro. Il vicepresidente dell’Ars aveva presentato la lista “Facciamo squadra” affiancata al suo nome e alla vigilia del ballottaggio aveva convinto persino Diventerà Bellissima, il partito di Musumeci, a sostenerlo. Anche ad Agrigento, lo scorso anno, gli autonomisti avevano fatto man bassa di preferenze, garantendo l’elezione di Franco Micciché contro un’accanita concorrenza (di centrodestra). Questo dimostra che l’ex Mpa tira ancora e che Raffaele Lombardo, pur nell’anonimato politico di questa sua seconda vita, è una roccaforte di consenso che non si sgretola, e che bisognerà esplorare fino in fondo. Per Musumeci, che lotta con i denti per ricandidarsi, sarebbe complicatissimo farne a meno.
Il Movimento per l’Autonomia, in questa fase storica, si muove all’ombra della Lega, che ha portato a galla tutto il proprio malcontento per l’operato del governatore uscente (che presso Lombardo, fra l’altro, non gode di grande stima). Ma non digrigna i denti. Opera da stratega più che da pungolo. Anzi, nell’ultimo periodo il dialogo fra Musumeci e Di Mauro – dopo alcune scorie a causa dello scarso coinvolgimento dei partiti – sembra essersi irrobustito.
Ma rimane tale e immutata la stima anche nei confronti di Cateno De Luca, che ha invitato il leader in pectore dell’Mna all’ultima assemblea regionale di Sicilia Vera, a Taormina: “C’è un rapporto di stima nei confronti di De Luca – ha detto Di Mauro per l’occasione -, una comunanza politica sin dall’inizio e rispetto a idee e progetti condividendo un senso di estraneità rispetto ai partiti nazionali”. Alcuni organi di stampa, nel Messinese, hanno ipotizzato qualcosa più di un ammiccamento. Lo stesso Scateno, pubblicamente, ha confermato di aver litigato con Lombardo, alla vigilia delle Regionali 2017, per sdoganare Musumeci, evitando che il candidato alla presidenza fosse Armao, “di cui Lombardo era innamorato”. Una partnership politica c’è già stata, ma nelle condizioni attuali sarà quasi impossibile riproporla. Proprio perché i lombardiani sono abituati a operare chirurgicamente, senza lasciare nulla al caso. Mentre De Luca agisce più di pancia, e ha già annunciato la propria candidatura senza aver chiaro il perimetro delle alleanze (anche a costo di andare a sbattere).
Chi nel centrodestra vorrà cercare ventura, dovrà fare i conti col peso numerico degli Autonomisti, che nel corso dell’ultima legislatura hanno creato un gruppo unico col Cantiere Popolare e con Idea Sicilia di Lagalla. Al prossimo giro, invece, è assicurato il partenariato con la Lega: i due partiti, come si legge nell’accordo federativo, presenteranno “una lista Mna e una lista Lega, entrambe forti ed adeguate a supportare il candidato presidente della Regione siciliana che, in accordo col Mna, sarà indicato dalla Lega”. Minardo, oltre che per Salvini, sarebbe un buon compromesso anche per Lombardo. Ma prima di rimettere le mani in pasta, e di passare dai consigli alla prima linea, l’ex governatore di Grammichele vuole rinchiudere processi e udienze nel cassetto dei ricordi. Per tornarsi a occupare di ciò che sa fare meglio. La politica.