L’unica possibilità per Musumeci è presentarsi al cospetto dei siciliani e dire: “Avete di fronte il presidente che vi ha portato fuori dalla pandemia”. Sarebbe un colpaccio. Ma allo stato attuale la Sicilia è una regione assai distante dai propositi ‘covid free’ della primavera scorsa. Il turismo ne sta risentendo soltanto negli ultimi giorni, da quando il ritorno in ‘zona gialla’ ha convinto qualche viaggiatore a mettere in stand by l’arrivo nell’Isola. Anche se da un report recente, sbandierato dall’assessore Messina, risulta che i flussi siano aumentati del 6% rispetto a un paio d’anni fa, prima della pandemia. Ciò non toglie l’immobilismo del governo, della cui azione non si ha traccia. Il presidente Musumeci colleziona titoli onorifici – nei giorni scorsi è diventato commissario delegato per l’emergenza incendi – ma che fine hanno fatto le proposte legislative della sua maggioranza?
E’ soprattutto una questione di riforme. Sono rimaste annacquate quella sui rifiuti (non è scontato che verrà approvata prima della fine della legislatura), sui Forestali, sui Consorzi di Bonifica, sulla dirigenza, su Beni culturali, sul Turismo. La gestione dell’emergenza Covid ha mostrato i suoi limiti, soprattutto in tema di edilizia sanitaria (pochi i cantieri completati rispetto alle premesse). E’ stato approvato finalmente il piano dell’energia, ma non ci sono segnali tangibili di cambiamento. Tranne la riforma urbanistica, approvata con la complicità delle opposizioni, e la norma sull’edilizia, che il M5s ha chiesto a Palazzo Chigi di impugnare nella parte relativa al mini condono edilizio per le aree a inedificabilità relativa, davvero si fatica a scorrere una fila di risultati che testimonino i successi del governo.
A questo punto viene da chiedersi: quali carte potrà giocarsi il presidente uscente nella prossima campagna elettorale? Perché i siciliani dovrebbero sceglierlo? Per la sua onestà? Perché “non ho mai conosciuto un’impresa prima di aggiudicare i lavori, vivo in una casa popolare ristrutturata, i miei figli vivono alla giornata”? In realtà, a fine giugno, Musumeci aveva intrapreso dallo Spasimo di Palermo quello che sarebbe dovuto diventare un tour nelle nove province siciliane per esaltare i successi dei primi tre anni di governo. Detto che gli anni, nel frattempo, sono diventati quattro, la manifestazione itinerante non s’è mai tenuta. E’ rimasta ferma a quel singolo episodio, che fra l’altro verrà ricordato per l’autocandidatura più che per il resto: “Non avevamo messo nel conto un anno e mezzo di blocco per la pandemia, che ha occupato il 70% del nostro tempo – spiegò all’epoca Musumeci -. Abbiamo seminato tantissimo e continueremo a farlo nel prossimo anno e mezzo, ma abbiamo il diritto anche di raccogliere. Lo dice la legge del contadino: chi semina, raccoglie. Non siamo talmente generosi da avere sputato sangue per anni e consentire al primo arrivato di raccogliere i frutti”.
Non aveva fatto i conti, però, col tackle di Salvini, che a inizio agosto sancisce l’inizio della scalata leghista a Palazzo d’Orleans. Di Musumeci ha detto che è “un buon governatore”, e niente più. Del Carroccio, invece, che ambisce a guidare la Regione. La campagna acquisti, con l’arrivo di Sammartino e altri, ha messo l’ex Ministro in una posizione di forza. Musumeci, che a questo scatto felino del Capitano avrebbe dovuto rispondere con i fatti, si è invece limitato a una battuta: “Non è detto che al tavolo della coalizione tutti i desideri diventino diritti”. Sempre che riesca a parlarci con la coalizione. Lo scollamento con quasi tutti i partiti del centrodestra, lo scarso coinvolgimento rispetto all’azione di governo, il tentativo di rinchiudersi nelle stanze dei bottoni e tenere gli altri alla larga, è al centro di questo suo isolamento. Le parole fanno il resto: “I partiti servono a selezionare la classe dirigente, la classe dirigente occupa le istituzioni – disse Musumeci allo Spasimo -. Se si rompe questo rapporto non è colpa del presidente della Regione. Dopo aver selezionato, attraverso i partiti, gli assessori, questi diventano i miei interlocutori. Ma il rapporto coi partiti non si è mai interrotto: solo che una volta comandavano loro, oggi decide la giunta”.
Un’invettiva contro la partitocrazia, nell’accezione peggiore del termine. Ma al di là delle apparenze, permane la sostanza. E il problema di parlare e confrontarsi con gli alleati non è ancora superato. Al contrario, quest’estate le differenze si sono acuite quando, alla vigilia di Ferragosto, un’ordinanza del governatore sull’obbligatorietà del Green pass negli uffici pubblici, fece scattare sulla sedia Lega e Fratelli d’Italia, che lo costrinsero e rivederla e poi, tramite la sponda del Garante della Privacy, a sospenderla: “Decisioni così importanti, che impattano in maniera così forte sul territorio e sull’economia – fu il commento di Nino Minardo, segretario regionale del Carroccio -, richiedono un confronto con i compagni di viaggio, ma anche un momento di riflessione ulteriore. Agire in maniera istintiva, anche se umanamente comprensibile, può rivelarsi dannoso e generare confusione”. Nei confronti di Giorgia Meloni, invece, Musumeci sta cercando faticosamente di riaccreditarsi. Ma la coperta è ancora troppo corte e il passato non depone a suo favore. Così l’unica strategia è fare melina. Dissimulare. Ripetendo fino alla noia che “l’ultima cosa che mi interessa è la campagna elettorale”.
Nel centrodestra, intanto, regna la confusione. E a un anno dal voto non è il miglior viatico per proporsi agli elettori. I lavori del parlamento, dove Musumeci non ha mai trovato l’humus per attecchire, sono fermi dal 29 luglio scorso. Le uniche due commissioni convocate per questa settimana sono state disdette, mentre da martedì si dovrebbe tornare a discutere di bilancio. Ma non c’è ancora una timeline per i lavori d’aula. E l’aula, si sa, è quella che può accelerare o far naufragare il percorso delle leggi. A proposito di conti: mancano all’appello i 250 milioni promessi alle aziende danneggiate dal Covid a margine dell’ultima manovra Finanziaria. Soldi che sarebbero dovuti arrivare per via amministrativa, ma di cui non si ha contezza. Gli unici pagamenti deliberati dalla Regione, con sette mesi di ritardo sulla tabella di marcia (fra approvazione del Bilancio e riaccertamento dei residui attivi), sono quelli nei confronti delle imprese edili, che già erano finite sul lastrico a causa della pandemia: “Ma Ance Sicilia – si legge in una nota – teme che si arrivi già in ritardo alle prossime scadenze. Ad oggi manca ancora la programmazione regionale dei fondi Ue 2021/2027, che avrebbe dovuto essere pronta questo mese anche per prevederne nel Defr (il documento di economia e finanza) le ricadute economiche e inserirne nel bilancio 2022 le quote di cofinanziamento regionale”.
L’associazione dei costruttori, inoltre, ha fatto luce su alcuni aspetti che riguardano da vicino i conti regionali: “L’amministrazione ha annunciato che la nota di aggiornamento al Defr sarà pronta entro fine ottobre. Ance Sicilia, quindi, auspica che la Regione riesca a depositare puntualmente i documenti contabili all’Ars entro metà ottobre, affinché il Parlamento regionale li approvi entro il prossimo 31 dicembre. Sul riaccertamento dei residui passivi, poi, l’amministrazione ha spiegato che quest’anno ha provato ad applicare il software utilizzato da anni dalla Regione Lombardia, ma che pure questo programma ha presentato problemi, per cui se ne sta sviluppando uno nuovo”. Sembra la stagione del work in progress: con zero certezze, zero pianificazione e un pesante groppone sulle spalle. Deve ancora tenersi, infatti, il giudizio di fronte alle Sezioni riunite della Corte dei Conti in composizione speciale. Musumeci e Armao dovranno spiegare ai giudici contabili – romani questa volta – il perché delle numerose irregolarità rinvenute all’interno dell’ultimo rendiconto parificato. Parificato sì, ma con riserva. Per il presidente della Regione – suo malgrado – rischia di diventare il biglietto da visita per la prossima campagna elettorale.