Michele Guardì, Michelangelo Antonio all’anagrafe, avvocato classe 1943, si racconta nella quiete bucolica del suo giardino. Vittima delle zanzare e delle temperature record dell’estate 2021, ecco l’immaginifico ritratto en plein air, mentre fa ritorno a Casteltermini, quell’ameno paesino dell’entroterra siciliano che gli ha dato i natali e da dove l’avvocato, con la passione per la recitazione, ha cominciato a muovere i primi passi: nella vita e nel teatro, due realtà inscindibili per Guardì. Democristiano non pentito, una militanza politica alle spalle e un futuro nel mondo dello spettacolo e della scrittura. “Io puparo nasco”, l’inappellabile vaticinio che a 78 anni gli fa dire di essere ancora “troppo giovane per fermarsi”. Caparbio e determinato come chi ha attraversato vette e abissi e sa che l’uno non è meno importante dell’altra. Nella narrazione disincantata, quasi oggettiva, dell’artista che, mentre smentisce, celebra ed edifica se stesso, quel che è stato e quel che è.
Parliamo degli esordi, dei suoi primi anni a Casteltermini.
“Da piccolino avevo solo una cosa che mi divertiva, fare teatro. Nel cortile organizzavo recite con gli amici, piuttosto che giocare a calcio. Mia mamma mi chiamava “il puparo”. Mi servivo dei miei quasi coetanei che un po’ si divertivano e un po’ subivano”.
In quinta elementare la folgorazione sulla via di Damasco.
“Già. Ebbi la geniale trovata di allestire uno spettacolo teatrale che aveva come argomento la morte del marito di un’amica intima di mia mamma. Senza peraltro lesinare sui particolari drammatici che -pensavo- mi avrebbero arrecato quanto meno un sacco di botte. E invece il pubblico si limitò ad applaudire”.
Comincia, quindi a “calarsi” nel personaggio.
“Proseguii da studente al liceo: dapprima mi cimentai nella presentazione degli spettacoli a scuola, passando poi rapidamente a quella che è stata la mia passione primigenia: la cabina di regia”.
Poi è la volta di Palermo.
“Mentre portavo avanti i miei studi a Giurisprudenza, a Palermo raggiunsi quello che lì costituì il mio maggiore successo: presentare Rita Pavone. Laureatomi, rientro ad Agrigento e Casteltermini”.
Gli anni della svolta…
“Con mio cugino Enzo Di Pisa decidiamo di aprire un cabaret sull’onda del Bagaglino visto a Roma. Affittiamo tre locali comunicanti fra loro e compriamo 60 sedie. Nasce Il set della discordia, uno spettacolo sulle liti politiche di Agrigento. Seguito da Scompare Alfio, scompare Turiddu, versione rivisitata della Cavalleria Rusticana. Ci viene affidato un programma settimanale di mezz’ora, il sabato, L’atto sparlante che raggiunge un buon risultato di audience sul piano regionale. Sentì questo programma Pippo Baudo, attraverso Tuccio Musumeci, suo amico, e mi chiamò. Avevo 34 anni e nacque Secondo Voi, un programma abbinato alla Lotteria di Capodanno, con Fioretta Mari, Tullio Solenghi, Beppe Grillo. E nel pomeriggio un quiz legato alla storia d’Italia. Questo il nostro debutto nella capitale”.
Il perché del vostro successo
“La chiave di racconto umoristica dei fatti. Cosa che colpì Antonello Falqui di Studio Uno che ci volle conoscere e col quale nacque Due come noi. Dopo aver scampato la cacciata, con annessa damnatio memoriae, dagli studi RAI per via di qualche mal gestita intemperanza di mio cugino, decisamente il meno politico dei due. Protagonisti del programma, Pino Caruso e Ornella Vanoni. Una satira impostata sulla metafora dell’eterno scontro Nord-Sud, rappresentato appunto dai due conduttori. Funzionò molto”.
Dunque, quel modo tutto “siculo” di dire le cose, anche le più pesanti, con la leggerezza che è caratteristica imprescindibile della nostra terra, l’ossimoro potente e prepotente che ci abita. Pensiamo a quel pirandelliano “sentimento del contrario”, indispensabile per capire quanto controverso e travagliato sia il nostro modo di ridere del mondo e della vita. Poi però…
“Quando va in onda Due come noi la sciagura di Punta Raisi che, in una delle notti più buie, quella del 23 dicembre 1978, porta via mio cugino, compagno di vita e di lavoro. Mi ritrovo solo. La famiglia il mio unico sostegno. La tentazione di tornare a “fare” l’avvocato è forte…”.
Ma la “vocazione” lo è ancora di più. E, forse, sopra ogni cosa, quella buona stella che sempre sceglie e decide… Nell’attimo in cui la vita smarrisce le proprie coordinate, cosa accade?
“Accade che mi ritrovo a fianco Antonello Falqui, scomparso due anni fa, col quale avevo già fatto Due come noi. Facciamo coppia per sette anni, con lui abbiamo vinto la Rosa d’oro di Montreaux, manifestazione internazionale che premiava i migliori varietà tv. Dopo sette anni ritenevo quel programma superato e sciolsi la coppia. Mi misi in proprio. La televisione italiana mi affidò Uno Mattina insieme a Piero Badaloni e al prof. Giorgio Calabrese. Fu un boom clamoroso. E poi, da solo, con Europa Europa e Scommettiamo che la grande popolarità della prima serata di Rai 1”.
E il colpo di genio?
“Quando invento I Fatti Vostri, un programma che avrebbe dovuto coprire la stagione dicembre/gennaio e invece… eccolo qui!… oggi siamo alla 32^ stagione. Praticamente il programma più longevo di tutta l’Europa. Che si occupa della quotidianità del nostro Paese in maniera leggera ma profonda al contempo. Siamo stati i primi ad occuparci di fatti di portata internazionale, come quelli di Saddam Hussein, o quelli più controversi della transessualità. E’ la cartina di tornasole delle profonde trasformazioni sociali e culturali. In punta di piedi, noi ci siamo. Oggi cambia la conduzione con Salvo Sottile, insieme ad Anna Falchi e con gli interventi di Umberto Broccoli. A Magalli, invece, un quiz nel pomeriggio”.
Parliamo di quel clamoroso successo a Milano del 2010 che ad un’autorevole testata nazionale fece titolare “San Siro, Guardì batte il Manzoni…”.
“Il musical dei Promessi Sposi -perché io… puparo nasco- che debuttò a Milano il 16 giugno del 2010 allo Stadio in condizioni, direi, abbastanza curiose”.
Ossia?
“Pioveva all’impazzata. Un’impresa da 30 miliardi del vecchio conio rischiava di andare in default. Mi sentii chiamare da certa stampa mainstream che mi chiedeva cosa potesse accadere. “Non può piovere!” esordii. Perché lo spettacolo si conclude col Padre Nostro cantato da tutta la compagnia. Non vorrà certo il Padre Eterno arrecarci questo dispiacere”. Alle tre del pomeriggio smise di piovere. Un trionfo! Alle tre di notte riprese a piovere. Standing ovation della stampa ufficiale con recensioni a nove colonne”.
Ancora la “buona stella”… E adesso?
“Dopo il primo romanzo Fimminedda, ora un secondo dal titolo ancora incerto che narra di una sorta di Tangentopoli degli anni ’70. E appena ultimato una commedia teatrale su un clamoroso caso accaduto ad Agrigento, anche questo nei controversi anni ’70. L’illustre sconosciuto caso Tandoy alla base del quale sta un clamoroso errore giudiziario che porta Mario La Loggia, influente psichiatra, nonché fratello del Presidente della Regione, totalmente innocente, in galera per nove mesi. Nella mise en place l’autore si reca in soffitta dopo anni di inattività e vi (ri)trova gli attori di quella storia con i quali entra in contatto. La metterò in scena molto presto avvalendomi ancora della collaborazione di Alessandro, mio figlio, verso il quale ho un debito di riconoscenza per avergli funestato l’estate. Ma grazie a lui adesso l’opera è definitivamente riconoscibile. Preziosa la sua collaborazione per testi ed editing”.
Dalla rigogliosa vivacità umoristica mai gratuita ai paradossi della giustizia, il genius loci di Casteltermini inventa un teatro giocato fra antiche e autorevoli memorie e poi -sornione- si avvia verso l’epilogo della scena recitando ad effetto la battuta finale: “Questa la mia attività artistica che ho cercato di sintetizzare in una decina di minuti. Ne estrapoli quello che può e poi si dedichi ad altro, magari a cose più serie”. Già perché “io puparo nasco…” e ancora una volta, l’artista, mentre smentisce, edifica. Avvezzo com’è a muovere le fila di quel teatrino che da sempre gli appartiene. Del resto siamo o non siamo nella Terra di Pirandello?