Io mi ricordo le vacanze intelligenti con un inarrivabile Alberto Sordi, fruttarolo di mestiere, che per compiacere le istanze artistiche dei figli acculturati trascorre le vacanze con la moglie buzzicona tra festival, musei e arte concettuale (scena cult: la donna che si addormenta su una sedia alla Biennale di Venezia e viene scambiata per un’installazione dagli altri visitatori).

Quarant’anni fa avevano già fiutato questo meraviglioso vento del cambiamento, questa falsa necessità di abbandonare la vacanza nazionalpopolare, accessibile a tutti e per questo un po’ burina, per approdare a livelli di conoscenza che voi umani. L’arte come specchio delle proprie velleità frustrate, la rappresentazione concettuale e onirica da applaudire costi quel che costi per per dare di sé l’immagine figa di quel che in realtà non siamo.

“A Beethoven e Sinatra preferisco l’insalata, a Vivaldi l’uva passa che mi dà più calorie”. Chissà oggi il Maestro di Milo con che occhi vedrebbe l’installazione all’Orto botanico (fra gli eventi di Manifesta) in cui un artista pratica una fellatio a una foglia e poi, non soddisfatto, consuma un rapporto sessuale con la terra.

Vedete, mentre lo scrivo mi viene pure da ridere ma vi avverto subito: non farò di queste righe una condanna dell’esibizione (non ne ho i titoli, io sto all’arte come i Rolling Stones alla musica da camera) né coltivo l’ambizione di annoiarvi con la solita questione morale o con roba sorpassata come l’oltraggio al pudore. Figuriamoci.

Solo che è un mondo strano, in cui siamo chiamati ad applaudire soprattutto ciò che non capiamo, che non ci appartiene, che è, ma lo dico sottovoce per non offendere nessuno, provocazione scema e senza senso. L’arte che alza ogni volta l’asticella per dimostrare di essere un passo avanti rispetto a noi tutti, insignificanti formiche che abbiamo colpevolmente delegato la nostra sete di conoscenza alle veloci e distratte visite al Moma o al Louvre.

La nostra mediocrità messa a dura prova dai pensatori di professione (artisti e curatori), un po’ come quando al prestigioso festival cinematografico premiano il noiosissimo film iraniano perché fa chic. Vero, l’arte non è omologazione ma guardiamoci negli occhi e siamo sinceri: c’è qualcuno da queste parti che crede davvero che un tizio che succhia una foglia con la stessa insaziabile voluttà della buonanima di Moana Pozzi sia arte?