C’è un altro tavolo apparecchiato a Roma, in via XX Settembre, al Ministero dell’Economia, dove la Regione cercherà di scucire un altro accordo di favore. Che prevede una posta in palio molto alta, da circa un miliardo. Sono i soldi accantonati in Bilancio dall’assessore Gaetano Armao, d’accordo col presidente della seconda commissione dell’Ars, Riccardo Savona. Soldi che la Regione non può spendere in attesa dell’accordo di cui sopra, che servirà a ridefinire il contributo alla finanza pubblica della Sicilia. In mancanza di quello, il ‘tesorone’ si tramuterà in un maxi taglio con vista sul 2022.
Il rischio non si pone, dal momento che è interesse della Regione e (soprattutto) dello Stato concludere il negoziato (la promessa è di farlo entro settembre). Un negoziato all’interno del quale – lo ha detto Armao a Sala d’Ercole – verranno poste le solite questioni relative all’attuazione dello Statuto. La continuità territoriale sui voli aerei, il riconoscimento della condizione di insularità, le zone franche montane, eccetera eccetera. Sgravi di natura fiscale che la Regione, per il tramite dell’assessore, chiede al Mef dal 2018. Senza ottenere nulla in cambio. Le uniche agevolazioni, sponsorizzate dal sottosegretario Cancelleri, riguardano l’introduzione delle tariffe sociali (con sconti del 30%) sui voli in partenza da Catania e Palermo per quattro categorie di viaggiatori, oltre al riconoscimento della continuità territoriale, con tariffe agevolate, ma solo per gli scali minori di Trapani e Comiso. Per il resto, e su questioni di più ampia portata (all’Ars c’è qualcuno che continua a pretendere di trattenere l’Iva o le imposte di produzione), solo fumate nere. Che sia questa la volta buona? I trascorsi non sono incoraggianti.
La cosa più importante, al momento, è ridefinire l’accordo di finanza pubblica relativamente alla parte che la Sicilia deve versare allo Stato come contributo annuale. Per legge. Quello scaduto a luglio 2020, parlava di un miliardo l’anno. Risultato che lo stesso Armao ha rivendicato, tirando fuori un pezzo del suo repertorio: “Quando andai via io (era assessore con Lombardo, ndr) era di 600 milioni. Dopo Crocetta lo ritrovai a 1,3 miliardi. Siamo riusciti a ottenere una riduzione di 300 milioni”. I viaggi a Roma, frequenti, saranno pur serviti a qualcosa. Nel frattempo, però, l’assessore prosegue nella trattativa e sfodera l’altro cavallo di battaglia: lo scaricabarile. “Stiamo provando a rimediare ai disastri del governo Crocetta. Il Pd fa solo allarmismo”. Ma c’è un altro passaggio che dovrebbe tranquillizzare tutti: “Nel bilancio non ci sono buchi. Abbiamo 4 miliardi in cassa”.
Nonostante ciò, da più parti rivendicano i mancati pagamenti da parte della Regione. Il capogruppo del Pd, Giuseppe Lupo, racconta che si stanno “accumulando ritardi pesantissimi nei pagamenti alle aziende e nel trasferimento alle pubbliche amministrazioni delle somme necessarie al pagamento di forniture e servizi. Diverse associazioni di categoria stanno facendo sentire la loro voce e stanno rappresentando il disagio di imprese che non riuscendo neppure ad accedere al credito ‘girando come garanzia’ le fatture della Regione, sono costrette a licenziare se non addirittura a chiudere”. Ma anche gli industriali si sono lamentati per il ‘tappo’ messo dalla Regione ai bandi europei, alcuni dei quali già pubblicati. Il motivo? Palazzo d’Orleans, con tutti gli assessorati al seguito, non riesce a garantire la quota di co-finanziamento utile allo ‘sblocco’ della spesa comunitaria. Ci saranno pure quattro miliardi in cassa, ma lo stesso Armao ha dovuto provvedere a scrivere un emendamento per rimpinguare il capitolo con 15 milioni di euro (approvato ieri), confidando che tutti i dipartimenti chiudano “l’accertamento dei residui per liberare le somme”. Della serie: non è colpa del mio assessorato.
Musumeci, che sui conti non spiccica una parola dal giorno della parifica della Corte dei Conti, fa da spettatore. Non parla. Segue da lontano, preferendo altri palcoscenici. Eppure anche il presidente della Regione dovrà presenziare, in udienza, di fronte alla Corte dei Conti in composizione speciale, a Roma, dove è stato citato (assieme ad Armao e Micciché, in qualità di presidente dell’Ars) dal procuratore generale Pino Zingale. L’obiettivo è dare una spiegazione ai tantissimi punti oscuri del rendiconto 2019. Che è vero, ha ottenuto la parifica; ma non ha affatto convinto i giudici, che hanno bocciato – a titolo d’esempio – il conto economico e lo Stato patrimoniale. Secondo gli ultimi calcoli di Armao, esposti l’altro giorno al parlamento siciliano, dalla parifica sarebbe emerso un disavanzo di “appena” 170 milioni (nel dispositivo della sentenza si parla di 449 milioni). Soldi perfettamente “recuperabili e sostenibili”. Anche se una piccola infrazione, successiva al giudizio severo dei magistrati, c’è già stata: ossia la decisione di prelevare cinque milioni del Fondo Contenziosi per assicurare l’ingresso in funzione di Aica, il nuovo consorzio per la gestione dell’acqua in provincia di Agrigento. Senza quei soldini, 33 comuni sarebbero rimasti a secco dal 3 agosto. L’infrazione sta nel fatto che la Corte dei Conti ha già segnalato “il mancato accantonamento di 315 milioni nel Fondo Contenziosi”. Che, prima dell’altro ieri, era stato depauperato abbastanza.
Eppure, da parte dell’assessore all’Economia, proviene l’invito ad abbassare la guardia. A non fare allarmismo, a non considerare l’attuale situazione economico-finanziaria della Regione un problema. “Capisco le opposizioni, ma non è utile ai siciliani”. Armao avrà ancora la possibilità di spiegare ai suoi interlocutori – il ministro Daniele Franco e il viceministro Laura Castelli su tutti – le buone intenzioni della Sicilia. Ma gli converrà non fare cenno all’ultimo accordo sottoscritto a gennaio 2021 con il governo Conte. Prevedeva, ad esempio, la razionalizzazione delle spese per le partecipate e la chiusura delle procedure di liquidazione coatta per tutti gli enti in dismissione. Una forma di risanamento dei conti che, fin qui, consta soltanto di un paio di tentativi: il mantenimento del blocco delle assunzioni (con una deroga per Sicilia Digitale, che può continuare a stipulare contratti a tempo determinato per figure tecnico-informatiche); e una riduzione delle spese di amministrazione e gestione del 5% annuo a partire dal 2018, per un triennio. Restano alcune promesse vaghe che, come imposto dall’accordo, andrebbero valutate il 30 aprile di ogni anno.
Quell’accordo, con tutti i suoi limiti (Musumeci ha proposto di riscriverne un pezzo, proprio per evitare il blocco delle assunzioni), ha concesso alla Regione di spalmare un disavanzo da 1,7 miliardi in dieci anni. Adesso, con un nuovo disavanzo da 170 milioni in vista, ne servirà un altro. Oppure, se lo Stato non avrà voglia di fare nuove concessioni, basterà un assestamento di Bilancio che provveda ad accantonare quella somma. Altri tagli, insomma. Per il momento, gli unici messi in conto, riguardano il 2021: con le variazioni proposte all’Ars, verranno sforbiciati 10 milioni di trasferimenti ai comuni agonizzanti, 2 milioni alle ex province, 10 milioni al fondo pensioni degli ex dipendenti regionali, 550 mila euro ai precari che lavorano negli enti locali (per cui l’Anci aveva proposto, al contrario, maggiori risorse allo scopo di incrementarne il monte ore). Mancheranno dei soldi anche alla scuola e ai trasporti. Ma tutto ciò può apparire come “allarmismo infondato”: ci sarà sempre un tavolo, da qualche parte, pronto a risolvere i mini intoppi di una Regione che naviga nell’oro.