Il futuro finanziario e contabile della Regione siciliana è sempre più cupo. Nei prossimi tre anni rischia di saltare dalle casse di Palazzo d’Orleans un miliardo e mezzo: un terzo della somma è destinata ai Comuni. Gaetano Armao e il ragioniere generale Ignazio Tozzo hanno annunciato i nuovi tagli – di fatto – presentando in seconda commissione, all’Ars, una corposa variazione di Bilancio per rimediare alle contestazioni di Roma, che come una scure si abbattono sull’impianto dell’ultima Legge di Stabilità e impongono correttivi. Sarà il voto di Sala d’Ercole a decidere tutto. Ancora una volta l’assessore all’Economia, suo malgrado, diventa l’artefice di un pasticcio e prova a rimediare in corsa: attivando le sue conoscenze romane per ridiscutere il contributo della Sicilia alla finanza pubblica (una partita da un miliardo l’anno) ed evitare il de profundis. Il rischio, va da sé, è consegnare ai posteri, e ai governi che verranno, una Regione con l’acqua alla gola. Sull’orlo del fallimento.
Le riparazioni graveranno per 65 milioni sull’esercizio in corso: si tratta di somme relative alla copertura dei debiti delle aziende sanitarie e della rata per l’anno 2021 di un prestito contratto con lo Stato ai sensi di un vecchio accordo. Ma si profila uno scenario di gran lunga peggiore per il 2022, quando i milioni da tagliare saranno complessivamente 923 (di cui 223 per i Comuni, 84 per il trasporto pubblico e 76 per i disabili), e per l’anno seguente – il 2023 – quando il governo che arriverà dopo Musumeci dovrà rinunciare a più di mezzo miliardo. Armao e il ragioniere generale Ignazio Tozzo, presentando un emendamento al ddl stralcio della Finanziaria, hanno di fatto confermato le perplessità di Roma. E si giocano l’ultima carta per non incorrere nell’impugnativa di palazzo Chigi (in parte annunciata dal ragioniere generale dello Stato).
E’ il caos totale. Ma andiamo ad analizzare con ordine dove risiedono gli errori contabili dell’assessorato all’Economia. Il quadro normativo di riferimento è l’articolo 113 dell’ultima Legge Finanziaria, che dispone “l’accantonamento in apposito Fondo delle risorse derivanti da riduzioni di autorizzazioni di spesa”. E’ qui, e non altrove, che si annida il rischio più elevato. Gli accantonamenti contestati, sebbene non riguardino spese di natura obbligatoria, fa notare il Mef, “in taluni casi sono operati su tipologie di spese (quali i finanziamenti in materia socio assistenziale, trasporto pubblico e contributo di parte corrente a favore dei Comuni) con rilevante impatto a livello economico e sociale”.
I 65 milioni di quest’anno sarebbero dovuti servire alla copertura dei debiti delle aziende sanitarie rispetto a precedenti impegni assunti dal governo. Ma, sulla base di una presunta “determinazione, congiunta con lo Stato entro il 31 ottobre 2021”, la Regione ne ha disposto l’accantonamento. La complessiva riduzione delle somme iscritte in bilancio, scrive però il Mef, “risulta priva di idoneo presupposto giuridico”, oltre che “non in linea coi principi della chiarezza e della pubblicità del bilancio” contenuti nel decreto legislativo 118 del 2011.
Il comma 3 dell’articolo in questione, invece, prevede la riduzione del concorso della Regione al raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica “per un importo complessivo di 923.644.853,32 per l’esercizio 2022 ed euro 545.010.543,24 per l’esercizio finanziario 2023”. La riduzione, in questo caso, si fonda sulla previsione di un conguaglio definitivo a favore della Regione che però “non trova riscontro nell’andamento delle perdite tributarie afferenti agli esercizi finanziari 2020 e 2021, connessi all’emergenza Covid. Pertanto, la riduzione del concorso alla finanza pubblica, operata in via unilaterale dalla Regione, risulta priva di idoneo presupposto giuridico e lesiva del principio di chiarezza e di pubblicità del bilancio”. Anche in questo caso la Regione ha fatto i conti senza l’oste, sperando in una compensazione per le minori entrate a causa della pandemia.
L’assessore Armao, intercettato da Repubblica, ha cercato di alleggerire la presa: “Stiamo riparando ai danni del governo Crocetta. Entro poche settimane raggiungeremo l’accordo e il problema non si porrà più. Il Pd fa solo allarmismo”. Lupo, sul fronte opposto, lo stana: “Siamo di fronte all’ennesimo pasticcio del governo Musumeci, che ancora una volta tenta di mettere una pezza ai buchi di Bilancio emersi dopo l’ultima finanziaria. A farne le spese sono ancora una volta i cittadini poiché si prevedono tagli a spese previste per le amministrazioni locali, la cultura, lo sport, la scuola, e numerosi servizi che verranno ridotti per colpa di un governo che, da quando è in carica, ha messo in fila una serie di errori contabili e finanziari senza precedenti”.
Ma sul piatto ci sono altre aberrazioni che, da qui ai prossimi mesi, potrebbero presentare il conto. L’ultima è stata segnalata da Luigi Sunseri, deputato Cinque Stelle e componente della commissione Bilancio. Si riferisce a una contestazione mossa dal procuratore generale della Corte dei Conti, Pino Zingale, che, nell’atto di citazione in appello rivolto a Musumeci e Armao (di fronte alle Sezioni riunite, a Roma), ha chiesto “in via pregiudiziale che sia dichiarata rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale” dell’articolo 6 della Legge regionale n. 3/2016, e che gli atti siano trasmessi alla Corte Costituzionale. “Ciò che viene contestato – ha spiegato Sunseri con uno slang meno tecnico – è la distrazione di risorse dal Fondo sanitario (pari a 127 milioni, ndr) per il pagamento di un mutuo contratto con lo Stato. Somme, quindi, che anziché essere impiegate per garantire prestazioni sanitarie ai siciliani, vengono impiegate per pagare un mutuo contratto da questo e dai governi precedenti. Ciò – a detta del Procuratore – sarebbe contrario ai principi della Costituzione e mostrerebbe, da parte del governo regionale, una gestione sanitaria approssimativa e lontana dal raggiungimento dei cosiddetti LEA (livelli essenziali di assistenza). In altre parole, ad essere in pericolo non è soltanto il futuro dei giovani ma anche il diritto alla salute di tutti i cittadini”.
Fra le mille questioni in ballo, c’è pure l’esito dell’ultima parifica – di fatto una bocciatura ad ampio raggio – che sarà approfondito da Musumeci, Armao e Micciché (in rappresentanza dell’Ars) di fronte alle Sezioni riunite della Corte dei Conti in composizione speciale, a Roma. Sul groppone di palazzo d’Orleans pesano la bocciatura del Conto economico e dello Stato patrimoniale, oltre a un’ulteriore quota di disavanzo da circa 450 milioni. Sarebbe servito – dicono gli addetti ai lavori – un immediato assestamento di bilancio, che fin qui Armao non ha avuto la forza (o il coraggio) di proporre all’Assemblea. Che intanto, da martedì, sarà tenuta a ribattere sulle variazioni per “coprire” l’ultima malefatta. Musumeci, in questa triste storia, fa da spettatore. Non è avvezzo a questioni di bilancio, e ha affidato tutto nelle mani del suo mentore. Di volta in volta, con una sfuriata esibita nelle segrete stanze, prova a svegliare i responsabili degli strafalcioni (il presidente sbottò dopo la clamorosa svista da 300 milioni che, l’inverno scorso, rese necessario il ritiro del rendiconto in autotutela, facendo slittare i tempi della parifica). Ma di fatto, si limita a delegare. Non potrà farlo in eterno, però: quando tutti i nodi verranno al pettine, le responsabilità saranno soprattutto sue. Per essersi fidato della persona sbagliata.