La ‘politica estera’ di Nello Musumeci registra un’altra scossa: l’addio di Valentina Palmeri ad Attiva Sicilia. Ossia il gruppo parlamentare, nato come progetto civico, che dopo essersi sfilato – lo scorso anno – dal Movimento 5 Stelle, è finito fra le braccia del governatore. E, nella sorpresa più generale di ex colleghi e addetti ai lavori, ha votato col centrodestra il mini-condono edilizio per gli edifici sorti prima del 2003 nelle aree a vincolo relativo. La prima votazione, con cui si era deciso di bocciare una riscrittura dell’articolo 20 proposto dal grillino Giampiero Trizzino, ha segnato un punto di rottura insanabile fra la Palmeri, ambientalista convinta (tanto da aver aderito ai Verdi) e il resto della compagnia. Un momento dal passaggio della deputata al gruppo misto: “La difesa dell’ambiente e la lotta ai cambiamenti climatici, insieme all’ascolto del territorio e delle fasce deboli, saranno sempre il mio faro”.
Sulla circostanza si è riflettuto parecchio. Sui termini della questione pure: è diritto della Palmeri, e degli altri suoi colleghi, votate contro o a favore di quel provvedimento. Ma l’effetto di questa separazione segna un ulteriore sgretolamento delle forze che fanno capo al presidente della Regione. Ai sostenitori della tesi “che vuoi che sia un deputato in più o in meno”, ricorderà qualcosa ‘Ora Sicilia’. Si tratta del gruppo parlamentare di ispirazione ‘razziana’ – nel senso che il deus ex machina, come con Attiva, è stato l’assessore alla Salute Ruggero Razza – che vide la luce a luglio 2019 in Assemblea. Ne facevano parte Luigi Genovese, figlio di Francantonio, il ras della formazione professionale nonché ex segretario regionale del Pd che aveva militato anche in Forza Italia; Luisa Lantieri, eletta col Partito Democratico ed ex assessore nel governo Crocetta; Daniela Ternullo, che ha rimpiazzato Pippo Gennuso, dichiarato prima sospeso e poi decaduto per alcune inchieste a suo carico; e, dulcis in fundo, Totò Lentini, eletto con Forza Italia e ora fra i banchi degli Autonomisti.
Una composizione variegata che, nei piani di Razza e Musumeci, avrebbe potuto aprire un solco nei rapporti (freddi) con la Lega. La terza gamba del centrodestra, al netto dei cespugli centristi, sarebbe dovuta servire al presidente della Regione per agganciare Salvini e siglare una federazione col Carroccio, ritenuta necessaria in vista di appuntamenti elettorali futuri. Non accadde. Complice la ferma resistenza di Stefano Candiani, l’ex commissario regionale del partito, che già alla vigilia delle Europee, a maggio 2019, aveva chiesto a Genovese di stare alla larga (l’intera famiglia sostenne Attaguile, non eletto). “Non vogliamo a casa nostra trasformisti, opportunisti, Genovesi o altre figure del genere che con noi non hanno e non possono avere nulla a che fare. E non vogliamo neanche i loro voti. Che sia chiaro”, aveva tuonato il senatore di Tradate. Il quale, subito dopo la creazione di Ora Sicilia (che non esiste più come gruppo parlamentare), non tentennò neanche un attimo a bocciare l’operazione: “Il figlio di Genovese, una ex del Pd e una in lista con Lombardo non hanno nulla a che fare con noi. Noi pensiamo ai fatti, loro a fare i guazzabugli”.
La Lega riuscirà ad entrare all’Ars dal portone principale, nel febbraio 2020, con altri deputati. Musumeci, invece, non riuscirà mai a fare breccia in Salvini. Che lo stima – questo sì – per la sua rettitudine e il suo rigore morale. Ma non si è mai spinto oltre dopo che, nell’estate scorsa, il governatore ha detto ‘no’ a una proposta servita sul piatto d’argento: fondere l’esperienza di Lega e Diventerà Bellissima in un’esperienza comune. E’ la stessa richiesta che Musumeci, da un anno a questa parte, propone senza costrutto a Nino Minardo, nuovo segretario regionale del Carroccio. Che non gli dà il sazio. E, anzi, sigla un patto d’acciaio con gli Autonomisti di Raffaele Lombardo. Un accordo bilaterale che non prevede il terzo incomodo.
Nell’ultimo periodo, poco prima della nomina di Daniela Baglieri come assessore all’Energia e ai Rifiuti, è stato portato alla ribalta un nuovo tentativo da parte del delfino del governatore: scalare l’Udc. Un altro partito della coalizione di governo, che ha dovuto mandar giù (con disappunto) il boccone amaro del licenziamento di Alberto Pierobon, a suo tempo indicato da Lorenzo Cesa. Un tecnico “sacrificabile”, secondo il presidente della Regione, che si intestò personalmente i risultati e le strategie in capo all’assessorato. Omettendo il seguito: ossia il disegno politico che si celava dietro quella mossa. Accostare alla maggioranza un plotoncino più ampio dei tre deputati in forza al partito centrista: vale a dire l’allievo prediletto Luigi Genovese (oggi al Misto); e, solo in seguito, gli ex Sicilia Futura, Tamajo e D’Agostino. Sulla nomina della Baglieri ci sarebbe anche il loro ‘via libera’. Ma il tentativo di realizzare un’Opa è stato respinto sul nascere dalla vecchia guardia, rappresentata dall’assessore Mimmo Turano e dal segretario regionale Decio Terrana.
Ecco perché la politica estera di Musumeci, affidata al fido Ruggero Razza, appare rabberciata. Non fa presa. Non suscita entusiasmo, ma solo diffidenze. Almeno fino allo scorso anno, quando il lavoro ai fianchi dell’assessore alla Salute ha dato alla luce un bellissimo bebè. Attiva Sicilia. Cinque deputati fuoriusciti dal Movimento 5 Stelle. Un granaio di voti non indifferente per redimere gli intralci dell’Ars. Per svuotare le opposizioni di quella cattiveria che si era tradotta in qualche batosta inattesa (come la bocciatura dell’articolo 1 del disegno di legge sui rifiuti). Un punto di partenza per ampliare la maggioranza parlamentare e, in parte, dare lustro alla figura di un governatore che mal volentieri si approccia con Sala d’Ercole. Attiva parte con la schiena dritta, poi esce allo scoperto con un comunicato – diramato da palazzo d’Orleans – dello scorso 22 maggio, che conferma “su precisi punti programmatici (…) la convergenza tra il governo regionale e il gruppo parlamentare. Tra gli obiettivi: la riforma degli Ipab regionali, della gestione dei rifiuti, dei Consorzi di Bonifica, l’abrogazione della sfiducia consiliare ai sindaci, la modifica della normativa sulla gestione dell’acqua pubblica, l’istituzione di un circuito regionale di finanza complementare”.
Quella deriva a destra, legittima per carità, ad appena due mesi fa segnare i primi scricchiolii: Valentina Palmeri comunica la sua adesione ai Verdi, dichiarandosi indipendente (pur restando nel gruppo); poi gira i tacchi e si iscrive al Misto. Sottolineando non tanto l’appiattimento su posizioni governative (uno di loro, Tancredi, ha partecipato alla manifestazione dello Spasimo di qualche settimana fa), bensì un errore di valutazione su prerogative specifiche – come le politiche dell’ambiente – che gli ex Cinque Stelle avrebbero sacrificato senza alcun ripensamento.
Dalla saga dei tentativi mal riusciti, abbiamo omesso i rapporti incrinati con Stancanelli e la Meloni, gli screzi saltuari coi lombardiani, e i bisticci passeggeri con Micciché, che ancora s’interroga se sia opportuno ricandidarlo. Alla fine della corsa, insomma, Musumeci non è riuscito ad arricchire granché la sua offerta politica. Tanto meno ad aggregare grandi elettori: uno di essi, il sindaco di Messina, Cateno De Luca, minaccia di farlo perdere. Basterà l’ingente bottino di poltrone di sottogoverno portate a casa in questi anni, a renderlo appetibile anche per i prossimi?